Nei giorni del vertice della Nato a Washington sembra esserci un consenso quasi unanime nelle capitali dei paesi occidentali: bisogna aumentare la spesa militare per affrontare i nuovi rischi. Nell’Unione europea, per convincere gli scettici si dice che un’integrazione della difesa garantirebbe maggior sicurezza a costi inferiori. Nel suo recente rapporto sul futuro del mercato unico europeo, l’ex presidente del consiglio italiano Enrico Letta evoca un numero ripetuto da anni: la frammentazione della spesa militare genera un costo extra di cento miliardi di euro all’anno.

In un nuovo studio realizzato per l’Institute for european policymaking dell’università Bocconi di Milano, gli economisti Carlo Cottarelli e Leoluca Virgadamo hanno ricostruito la genesi della stima del risparmio promesso dalla difesa comune. Si trova in un documento del 2013 del parlamento europeo che ne cita uno del 2005 di un’azienda statunitense, la Unysis, il quale a sua volta riprende il numero da un centro studi belga che si era basato su un confronto spannometrico con la spesa militare degli Stati Uniti.

Dati vecchi, metodi imprecisi, fonti discutibili: il progetto della difesa europea ha bisogno di basi più solide, se si devono convincere i cittadini a usare le loro tasse per carri armati e droni. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati