All’inizio del millennio la Germania era il grande malato d’Europa. Non era mai riuscita davvero a trovare una sintesi dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la riunificazione. Poi il suo modello di crescita basato su energia a basso costo dalla Russia, rapporti stretti con la Cina, conti pubblici sotto controllo e un’economia orientata alle esportazioni è diventato un modello per il resto dell’Unione europea. Fino al 2018 il pil pro capite tedesco, che è una misura di benessere individuale, superava del 25 per cento la media europea. Poi ha cominciato a ridursi ed entro il 2030 i tedeschi avranno un pil pro capite uguale alla media. Ora che la Germania sta per cambiare governo, deve azzerare tutto e ripartire? Non proprio. Per esempio spende l’1 per cento del pil per finanziare università e centri di ricerca, più degli Stati Uniti che stanno tra lo 0,6 e lo 0,7 per cento. Il problema è che, come molti sforzi della Germania, anche questa spesa è indirizzata a mantenere lo stato delle cose invece di cambiarlo. Troppi investimenti, per esempio, difendono l’eccellenza del settore automobilistico tradizionale, invece di competere sulle batterie per le auto elettriche o sull’intelligenza artificiale. La Germania ha ancora i mezzi per risollevarsi. Dal successo dei suoi sforzi dipendono le prospettive di tutta l’Europa. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati