Un anno e dieci giorni. È il tempo che gli israeliani hanno impiegato per uccidere la mente degli attentati del 7 ottobre 2023. L’operazione “Diluvio di al Aqsa” aveva permesso a Yahya Sinwar di costruirsi una reputazione mondiale. Anche se sembrava intoccabile, il capo di Hamas è caduto in combattimento, quasi per caso, in uno scenario che promette di alimentare la leggenda. Il 17 ottobre l’uomo più ricercato di Gaza è morto con il viso avvolto in una kefiah, resistendo fino all’ultimo. Il “macellaio di Khan Yunis”, noto per il suo carisma ma anche per la sua crudeltà, lascia dietro di sé un movimento indebolito. “È la fine di Hamas”, si è affrettato ad annunciare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Il giorno dopo – quello senza Hamas – è arrivato”, ha detto la candidata democratica alle presidenziali statunitensi Kamala Harris. La realtà però potrebbe essere più sfumata.
All’interno di Hamas i danni sono relativi. Le circostanze della morte del leader, che non è stato il bersaglio di un attacco mirato ma ha scelto di esporsi al fronte, permettono di inserire la sua morte in una narrazione eroica, perfino vittoriosa. Alimentano il mito di un capo eccezionale che ha anteposto la causa collettiva al culto dei singoli. “Sinwar diceva da anni che il suo obiettivo era morire da martire invece che per un semplice attacco di cuore o in un incidente d’auto”, spiega Mkhaimar Abusada, professore di scienze politiche all’università Al Azhar di Gaza e attualmente ricercatore alla Northwestern university negli Stati Uniti.
Il movimento islamista ha anche riaffermato la sua resilienza di fronte ai metodi di eliminazione israeliani. “Israele pensa che uccidere i leader segni la nostra fine, ma Hamas è guidato da persone che si battono per la libertà e la dignità, e questo non può essere eliminato”, ha dichiarato all’Afp Bassem Naim, esponente dell’ufficio politico dell’organizzazione. Negli ultimi dodici mesi Hamas ha confermato di poter continuare a combattere nonostante la morte di diversi pesi massimi: Ismail Haniyeh, ma anche Marwan Issa, Saleh al Arouri e probabilmente Mohammed Deif, secondo le dichiarazioni israeliane.
Spazio di manovra
L’omicidio, il 22 marzo 2004 a Gaza, di Ahmed Yassin, il fondatore del movimento, conferma questa caratteristica. “Gli omicidi non sono mai bastati a rimodellare Hamas. È questo il suo punto di forza: a differenza di Al Fatah, il gruppo non si affida a un singolo individuo”, osserva Tahani Moustapha, analista politico dell’International crisis group, riferendosi al partito rivale che amministra parzialmente la Cisgiordania.
Anche sul piano militare le conseguenze immediate sono limitate. L’organizzazione interna e i metodi di combattimento, decentralizzati e informali nella modalità della guerriglia, lasciano spazio di manovra alle diverse cellule. “Sinwar non supervisionava i combattimenti e non dirigeva direttamente i militanti”, spiega sul suo account X Muhammad Shehada, analista politico dell’European council on foreign relations. La lotta armata continuerà e la prossima generazione è pronta: Mohammed Sinwar, fratello del leader ucciso, è presentato come il favorito per garantire la continuità all’interno del territorio palestinese. “Non avrà un ruolo politico, ma probabilmente guiderà l’ala militare delle brigate Al Qassam”, secondo Mkhaimar Abusada. “Non ha né il carisma né le credenziali politiche per seguire le orme del fratello maggiore. Ma ha dato prova di sé e ha una certa base”, sostiene Andreas Krieg, docente al King’s College London.
Non un colpo mortale, dunque, ma una svolta simbolica: la morte di Sinwar apre un nuovo capitolo nella storia del movimento, e probabilmente anche nel conflitto in corso. “Stiamo parlando di una leggenda, di una persona che ha lasciato il segno ovunque”, continua Mkhaimar Abusada. Dato che aveva raggiunto una popolarità senza precedenti per un leader di Hamas, ma anche perché rappresentava la sintesi tra il ramo militare e quello politico, Sinwar occupava una posizione unica: incarnava sia l’immagine sia il cervello del gruppo. “Ha plasmato Hamas a sua immagine”, afferma Krieg.
Comandante dell’ala militare dal 2017, il suo peso è cresciuto negli anni, fino alla nomina di capo dell’ufficio politico il 6 agosto scorso, dopo l’omicidio di Ismail Haniyeh a Teheran. Elevato al rango di star in un’organizzazione fondata su valori collegiali, poco incline all’affermazione di personalità forti, Sinwar è stato un’eccezione. Chiunque gli succeda, sarà difficile uguagliare l’aura dell’uomo che ha fatto di Gaza il cuore della lotta contro Israele e di Hamas il suo braccio armato più attivo.
Diversi nomi sono in corsa per assumere la guida dell’ufficio politico. Khaled Meshaal, ex presidente dell’organizzazione dal 1996 al 2017, era in una buona posizione per assumere l’incarico dopo la morte di Haniyeh il 31 luglio. Ma è stato scartato a favore di Sinwar. I suoi rapporti tesi con Teheran e le voci non confermate sul suo stato di salute rendono oggi meno probabile la sua nomina.
Agli occhi degli osservatori, l’attuale favorito è Khalil al Hayya, ex braccio destro della mente del 7 ottobre, vicecapo dell’ufficio e incarnazione della frangia radicale del movimento. “Fin dalla nomina di Sinwar, il 6 agosto, è stato presentato come il suo potenziale erede”, spiega Tahani Moustapha. Ma pur avendo i requisiti necessari – è di Gaza e gode del sostegno iraniano – ora vive in esilio, come tutti i candidati più noti. “I calcoli di Hamas sono più complicati che mai”, riassume l’analista politico Hamada Jaber. Anche altre personalità, come il leader del movimento in Cisgiordania Zaher Jabarin o Moussa Abu Marzuk, ex capo dell’ufficio politico dal 1992 al 1996, potrebbero affermarsi a sorpresa, perché rappresentano figure meno attese alla guida del movimento.
Nuove versioni
Qualunque sia l’esito, la morte di Sinwar rende più evidente la disconnessione tra il cuore del movimento a Gaza, dove controlla il territorio, e la leadership in esilio, in grado di svolgere funzioni diplomatiche e finanziarie. Anche se il divario tra l’interno e l’esterno esiste da anni, il ponte che il leader di Hamas era riuscito a costruire tra i due poli ha facilitato l’unità, nonostante le difficoltà di comunicazione dall’interno della Striscia. Questo ponte scompare con lui.
La base militante potrebbe rifiutare un successore imposto dall’esterno. “Se Hayya assumesse la guida del movimento, non avrebbe comunque alcuna autorità sui combattenti”, osserva Andreas Krieg. “La morte di Sinwar lascia un vuoto che favorisce una maggiore decentralizzazione dei poteri”, prosegue. “La resistenza continuerà in altre forme, ma a chi ci si potrà rivolgere, soprattutto durante i negoziati? Gli israeliani hanno creato una situazione in cui non ci sono più interlocutori”.
L’entità delle devastazioni a Gaza, la riduzione delle capacità militari di Hamas e la distruzione di un gran numero di tunnel hanno indebolito la forza d’urto dell’organizzazione palestinese, ma non hanno intaccato la sua determinazione a continuare la battaglia. “Oltre al fatto che ci sono ancora migliaia di combattenti, le nuove reclute hanno dato ossigeno all’organizzazione”, osserva Krieg. È probabile che dalle rovine della guerra emergano nuove versioni di lotta, più incontrollabili e forse più radicali.
Hamas è più isolato sulla scena internazionale, ma resta comunque indispensabile finché riesce a mantenere la sua presenza sul terreno. “Non si tratta più di decidere chi governerà, ma semplicemente di continuare la resistenza”, conclude Krieg. Finché prevarrà questa logica, l’era del dopo Sinwar potrebbe tardare ad affermarsi. ◆ adg
◆Il 21 ottobre 2024 il segretario di stato statunitense Antony Blinken è arrivato in Israele nel tentativo di raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. È il suo undicesimo viaggio in Medio Oriente dal 7 ottobre 2023.
◆Il 20 ottobre l’esercito israeliano ha colpito decine di obiettivi della milizia libanese Hezbollah a Beirut e nel sud del Libano. Il giorno dopo tredici persone sono morte e 57 sono rimaste ferite a Beirut in un attacco israeliano vicino al più grande ospedale pubblico del paese.
◆ Prosegue anche l’offensiva israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza, dove la notte del 19 ottobre un bombardamento ha ucciso 73 persone a Beit Lahia, nel nord del territorio. Secondo i servizi di emergenza palestinesi a Gaza, dall’inizio dell’offensiva lanciata dall’esercito israeliano nella zona di Jabalia il 6 ottobre sono stati registrati almeno quattrocento morti.
◆Il 19 ottobre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato Hezbollah di aver cercato di ucciderlo lanciando un drone che ha colpito la sua casa a Cesarea, nel nord di Israele, mentre lui era assente. Non ci sono state vittime né danni consistenti.
◆Il 17 ottobre Israele ha annunciato che Yahya Sinwar, il leader di Hamas, è stato ucciso in un’operazione dell’esercito a Rafah, nel sud della Striscia. Sinwar, 61 anni, era il capo di Hamas a Gaza dal 2017 ed era considerato la mente degli attacchi di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023. All’inizio di agosto era stato nominato anche leader politico del gruppo dopo la morte di Ismail Haniyeh, ucciso a Teheran il 31 luglio in un attacco attribuito a Israele. In Israele il Forum delle famiglie, la principale associazione dei familiari degli ostaggi, ha invitato il governo Netanyahu ad “approfittare di quest’importante svolta per ottenere il rilascio degli ostaggi”. Hamas ha affermato che gli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza non saranno liberati fino a quando Israele non avrà messo fine alla sua offensiva. Afp
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Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati