Mentre lavora sotto un vasto cielo blu e un sole abbagliante, Kim Hae-soo avverte il caldo che sta cambiando il tratto di oceano in Corea del Sud in cui ha pescato per 44 anni. Con l’aumento della temperatura dell’acqua i calamari, che gli hanno dato di che vivere, stanno scomparendo, si spostano verso nord in cerca di acque più fresche. “D’estate l’acqua è sempre stata più calda, ma non così. Noi pescatori lo sappiamo. Lo sentiamo”.

A quasi mille chilometri a est, Seiji Abe parte a notte fonda da un porto di pescatori nella città di Ishinomaki, nel nord del Giappone. Sono le tre del mattino di una notte umida e immobile. Con le spalle larghe e curve e una mano muscolosa sulla lenza, mentre i primi raggi dell’alba illuminano le acque circostanti, dà la caccia a una nuova preda: il pesce sciabola, un animale lungo, sottile e argenteo a forma di lama che di solito preferisce le acque calde e fino a qualche anno fa qui al nord era molto raro. “Da queste parti il pesce sciabola non è conosciuto, la gente si chiede come cucinarlo”, spiega Abe. “Con cambiamenti così drastici su cosa, quando e dove sia possibile pescare, la vera sfida è riuscire a tenere il passo e adattarsi”.

Il peso dei pesci nell’oceano Pacifico nordoccidentale è diminuito

Kim e Abe appartengono alle tante comunità e imprese che in Asia orientale si reggono sulla pesca e il cui sostentamento è stato rapidamente stravolto dal cambiamento climatico. Nelle cittadine e nei villaggi costieri, il pescato locale ha profondi legami con il senso d’identità e l’orgoglio della comunità. Questo patrimonio, avvertono gli esperti, è in pericolo. “È praticamente certo che a partire dagli anni settanta la parte superiore degli oceani (i primi 700 metri) si sia riscaldata ed è estremamente probabile che l’influenza umana sia la causa principale”, ha dichiarato il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico in un rapporto del 2023. Secondo l’Agenzia meteorologica giapponese (Jma), nel 2023 la temperatura media della superficie marina ha superato di 0,4 °C la media trentennale, un record da quando si è cominciato a raccogliere questi dati, nel 1891. Sempre secondo la Jma, gli ultimi dieci anni sono stati il decennio più caldo mai registrato.

Gli oceani dell’Asia orientale si stanno riscaldando più rapidamente di quelli del resto del mondo. Secondo i dati della Jma, la temperatura media annuale della superficie del mare intorno alla Corea del Sud e al Giappone è aumentata tra 1 e 1,9 °C nei cento anni fino al 2023, rispetto all’aumento medio globale di 0,6 °C. Il riscaldamento del clima oceanico ha modificato la distribuzione dei pesci, rendendo difficile la cattura di alcune specie e mettendo in crisi i relativi settori industriali: la pesca è la principale fonte di reddito per decine di milioni di persone in tutta l’Asia. Il cambiamento climatico potrebbe essere la causa anche della riduzione delle dimensioni di alcuni pesci. Questo sta mettendo sotto pressione i pescatori, perché miliardi di persone in Asia ricevono dal pesce proteine e nutrimento.

Kim, un pescatore di 65 anni di Ulleung, un’isola a quasi tre ore di traghetto dalla costa orientale della penisola coreana, porta sugli avambracci robusti i segni della sua vocazione. Sulla pelle arsa dal sole ci sono le cicatrici dei tagli causati da ami da pesca vaganti e le ustioni dovute all’esplosione di un serbatoio di carburante sulla sua barca. Le ferite sono guarite, ma il problema che deve affrontare oggi può mettere a rischio l’esistenza stessa di chi, come lui, per sopravvivere dipende dai calamari. Secondo il governo, nel 2023 i pescatori sudcoreani hanno raccolto nelle acque nazionali 23mila tonnellate di calamari, molto meno della metà rispetto al 2020 e il 14 per cento di quanto pescato nel 2014. In questo modo molti restano senza una fonte di reddito.

Ulleung, inoltre, si pone seri interrogativi sulla sua sopravvivenza e sulla sua stessa identità, che per più di un secolo è ruotata intorno alla pesca dei calamari. Questi rappresentano ancora oggi il 94 per cento delle vendite di pescato. L’Istituto coreano per la scienza e la tecnologia oceanica definisce i calamari il simbolo dell’isola e sostiene che la loro pesca sia una sorta di “barometro” per l’andamento demografico dell’isola, che oggi ha circa novemila abitanti, poco più della metà rispetto al 1990.

La penuria di calamari sta facendo lievitare i prezzi. Un pasto a base di questi molluschi con riso e verdure costa 25mila won, quasi il doppio rispetto a piatti simili in altre parti del paese. I piccoli commercianti di Ulleung stanno cercando di diversificare l’offerta, vendendo una gamma più ampia di articoli che fanno leva sulla fama dell’isola come luogo incontaminato. Tutto questo offre poche speranze ai pescatori come Kim. L’uomo racconta che ogni uscita in barca gli costa circa un milione di won (circa 685 euro) in carburante, ed è quasi impossibile catturare calamari a sufficienza per guadagnarci qualcosa. Bang, un altro pescatore, dice che si è dato alla pesca degli strombi, dei molluschi meno costosi dei calamari. Secondo Sukgeun Jung, docente al dipartimento di biologia marina dell’università nazionale di Jeju esperto degli ecosistemi intorno a Ulleung, il governo dovrebbe aiutare i pescatori ad adattarsi ai cambiamenti climatici. “Andrebbero eliminate la quantità massima di pescato consentito, le zone di pesca o le dimensioni minime del pescato”, dice lo studioso.

Nel frattempo in Giappone, nella prefettura di Miyagi, dove si trova Ishinomaki, il riscaldamento delle acque sta infliggendo un colpo mortale all’hoya, o ascidia, una prelibatezza nota anche come ananas di mare. Quasi il 90 per cento di quelle allevate da Masao Atsumi sono morte nell’estate del 2023, quando la temperatura dell’acqua in superficie ha raggiunto i 27 °C, superando il livello massimo tollerato da questa specie, tra i 25 °C e i 26 °C. Il fenomeno sta colpendo anche la sua attuale fonte di reddito principale, le capesante, così, come altri nella zona, sta passando all’allevamento delle ostriche, più resistenti alle alte temperature. Questo però comporta ulteriori investimenti in attrezzature. “Non pensavo che la situazione sarebbe diventata così grave”, dice.

Secondo Shinichi Ito, docente dell’università di Tokyo, i cambiamenti climatici possono influire anche sulle dimensioni dei pesci. “Il riscaldamento globale sta causando una maggiore competizione tra i pesci per le risorse disponibili, e questo li rende più piccoli”, spiega. Uno studio del 2024 di cui Ito è coautore ha rilevato che il peso dei pesci nell’oceano Pacifico nordoccidentale è diminuito negli anni dieci del duemila, perché il riscaldamento dell’oceano ha impedito all’acqua più fredda e ricca di sostanze nutritive di salire in superficie, provocando tra i pesci una lotta per il cibo.

Crisi d’identità

A Ishinomaki le temperature dell’acqua, generalmente più alte, hanno costretto gli allevatori di salmone coho, una delle cinque specie di salmone del Pacifico, a sacrificare le dimensioni dei pesci. “Il peso medio degli esemplari disponibili quest’anno al mercato si è ridotto a due terzi del livello abituale”, spiega Shigeki Sasaki, che sovrintende alle operazioni del mercato ittico locale. “Molti produttori hanno subìto una perdita del 30-40 per cento”. Secondo Taichi Fuse, responsabile di un’azienda di trasformazione dei prodotti ittici, i commercianti sono in crisi d’identità. “Le aziende si distinguono per il tipo di pesce che lavorano”, spiega. La sua lavora con orgoglio il merluzzo fresco. Ma cinque anni fa ha dovuto cominciare a rifornirsi in Hokkaidō, nel nord.

Tornato al porto dopo la lunga giornata in mare, Seiji Abe affronta la sfida con determinazione: “Faccio del mio meglio per aggiornarmi e imparare nuovi metodi di pesca in modo da essere pronto quando cambia il pescato”. Il coreano Bang impiega tre lavoratori dello Sri Lanka, parte di un numero sempre più alto di immigrati in Corea del Sud occupati nella pesca, nell’agricoltura e nella manifattura. “Oggi nessun sudcoreano vuole fare questo lavoro”, dice Bang. Alla fine del 2023 il governo sudcoreano ha stanziato fino a 30 milioni di won (20mila euro) per ciascun pescatore di calamari che rischia di fallire. “Oggi la maggior parte non si prende nemmeno la briga di uscire con la barca e vive di sussidi”, dice Kim. “Siamo alla fame”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati