Al termine di una crisi politica che si trascinava da settimane, il Partito socialdemocratico (Spd) del premier Olaf Scholz e l’Unione cristianodemocratica (Cdu, all’opposizione) hanno trovato un accordo sulla data delle elezioni anticipate: i tedeschi andranno a votare per rinnovare il parlamento federale il 23 febbraio 2025. A segnare la fine della cosiddetta coalizione semaforo – dai colori dei partiti che la compongono: Spd (rosso), liberaldemocratici (giallo) e Verdi – è stato il licenziamento del ministro delle finanze Christian Lindner, causato da divergenze su come affrontare le difficoltà economiche del paese e che ha poi determinato l’uscita dei liberali dal governo. A questo punto, con la popolarità di Scholz in netto calo, nell’Spd molti sembrano contrari a ricandidare il cancelliere, che potrebbe essere sostituito dall’attuale ministro della difesa, Boris Pistorius. Un’idea che non convince la Frankfurter Rundschau: “La campagna elettorale verterà intorno all’economia. Lavoro, trasformazione industriale, inflazione, costo dell’energia: tutti temi sui quali Pistorius non si è mai espresso. Chiaramente non è lui l’uomo adatto a sostituire Scholz”. ◆
Dalla crisi alle urne
Shell assolta per le emissioni
Il 12 novembre la corte d’appello dell’Aja, nei Paesi Bassi, ha assolto in appello la multinazionale petrolifera Shell, che non dovrà quindi ridurre le sue emissioni. Nel 2021 il tribunale dell’Aja aveva ordinato all’azienda anglo-olandese di ridurre le sue emissioni di anidride carbonica di almeno il 45 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019, perché stavano contribuendo al riscaldamento globale. La Shell aveva presentato ricorso contro la sentenza, sostenendo che non fosse fondata su considerazioni giuridiche ma politiche. “La denuncia ha comunque dato il via a un dibattito sulla responsabilità dei grandi inquinatori”, spiega De Volkskrant.
Ancora sott’acqua
Sale a 220 il numero ufficiale delle vittime causate dalle alluvioni che hanno colpito la regione di Valencia. Il 10 novembre migliaia di persone hanno manifestato in tutta la Spagna per protestare contro il governo. Intanto, il 12 novembre, è stata dichiarata allerta rossa a Malaga e sulla costa meridionale intorno a Tarragona, scrive La Vanguardia.
I populisti verso il governo
La formazione del governo lituano dopo la vittoria dei socialdemocratici (Lsdp) alle elezioni di ottobre sta incontrando diverse difficoltà. Contrariamente a quanto annunciato dopo il voto, l’Lsdp ha fatto sapere che della coalizione dovrebbero far parte, oltre al partito di centro sinistra Per la Lituania, anche i nazionalpopulisti di Nemuno Aušra (Na), il cui leader ad aprile è stato escluso dal parlamento per alcune dichiarazioni antisemite. Il presidente Gitanas Nausėda ha però dichiarato che metterà il veto all’ingresso di Na nel governo. “Da Stati Uniti, Germania e Polonia stanno già arrivando le prime critiche”, scrive il sito Lrt. “Il rischio è danneggiare i rapporti della Lituania con vicini e alleati”.
Tornano i missili su Kiev
M entre la stampa di tutto il mondo s’interrogava su come la vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi potrebbe cambiare il corso della guerra in Ucraina, le forze di Mosca sono tornate a colpire pesantemente Kiev. Dopo una prima offensiva l’8 novembre, all’alba del 13 novembre la capitale ucraina e la sua regione sono state attaccate con novanta droni kamikaze e più di venti missili balistici, alcuni dei quali sono stati intercettati dalla contraerea ucraina. Come spiega il quotidiano online Kyiv Independent “negli ultimi due mesi la capitale è stata sottoposta a una serie costante di attacchi con droni. Secondo gli esperti militari, con ogni probabilità era una strategia per indebolire le difese aeree in vista di un attacco su vasta scala, pensato soprattutto per colpire le già provate infrastrutture energetiche civili del paese”. Nel frattempo, l’offensiva russa prosegue anche nel Donbass e Mosca ha inoltre mobilitato cinquantamila soldati, tra cui i militari inviati dalla Corea del Nord, per riprendere il controllo dei territori occupati dagli ucraini nella regione russa di Kursk. Sotto il profilo diplomatico, invece, l’11 novembre il Washington Post ha riferito di una telefonata tra Trump e Vladimir Putin, in cui il presidente eletto statunitense avrebbe chiesto al leader russo di evitare una nuova escalation. Il Cremlino ha però seccamente smentito la notizia, spiegando che per adesso Putin non ha in programma contatti diretti con Trump. ◆
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