È il turno dell’Argentina. Il 19 novembre Javier Gerardo Milei, un economista di 53 anni, è stato eletto presidente del paese sudamericano. È l’ultima manifestazione di una tendenza che vede affermarsi governi di estrema destra nella regione. Le particolarità del caso argentino rispetto agli altri a cui è spesso paragonato sono molte: Milei non è legato al conservatorismo morale o all’esercito come l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro; non evoca dittatori del passato come il cileno José Antonio Kast (che ha perso le elezioni nel 2022); non vuole costruire megacarceri per rinchiudere i criminali né vuole uno stato iperpaternalista come il leader salvadoregno Nayib Bukele; e non crede che il governo debba essere una forza senza contropoteri, come il guatemalteco Alejandro Giammattei. Ma allo stesso tempo Milei somiglia a tutti i leader citati per come promette di rompere con quella che considera la politica tradizionale, abbraccia il politicamente scorretto, disprezza le politiche di genere, attacca i diritti delle minoranze e degli immigrati, si dice favorevole alla liberalizzazione del commercio di armi ed esalta la meritocrazia in un paese di enormi disuguaglianze.
Paragone scomodo
L’Argentina non ha mai avuto un presidente così eccentrico, a parte forse solo Carlos Menem, che governò dal 1989 al 1999. Menem adorava ricevere regali di lusso (come le Ferrari), si lanciò nel delirio della convertibilità dollaro/peso e delle privatizzazioni. Inoltre durante i suoi governi le persone vicine a lui e alla sua cerchia furono coinvolte in intrighi e morti sospette. Menem è passato alla storia per aver concesso indulti ai complici dell’ultima dittatura militare (al potere dal 1976 al 1983), come vuole fare la nuova vicepresidente Victoria Villarruel.
Come Menem, anche Milei non nasconde la sua sconfinata vanità, che lo spinge a legarsi a donne di spettacolo esibite per trasmettere l’immagine di maschio alfa in grado di vantare una “superiorità estetica” su quelli che la pensano diversamente da lui.
Come Menem, anche Milei non vuole preoccuparsi dei paesi vicini né vuole che l’Argentina somigli ad altre nazioni latinoamericane. Per chi non lo ricordasse, Menem parlava di mantenere “relazioni carnali” con gli Stati Uniti. Milei invece vuole attaccare il Mercato comune del Sudamerica (Mercosur) in nome della “libertà” di stipulare trattati di libero commercio con il resto del mondo e stringere legami con “Israele e l’occidente”.
Il classico Pizza con champán. Crónica de la fiesta menemista, un libro del 1995 di Sylvina Walger che racconta la fervente eccentricità degli anni novanta, “dollarizzati” e con un presidente mezzo svitato alla guida dell’Argentina, merita sicuramente di essere riletto per avere un riferimento su cosa potrebbe succedere dal 10 dicembre, quando Milei assumerà la presidenza.
Milei ha vinto grazie alla stanchezza della maggioranza della popolazione per il kirchnerismo, la corrente dominante del peronismo dall’elezione di Néstor Kirchner, nel 2003, e poi durante i governi della moglie Cristina Fernández de Kirchner. Questa stanchezza era già emersa nel 2015 e aveva portato all’elezione di Mauricio Macri, di centrodestra.
Tuttavia neanche Macri aveva saputo ridurre l’inflazione, realizzare i cambiamenti economici necessari e attirare gli investimenti. Come risultato in quel periodo la povertà aveva raggiunto livelli simili a quelli altissimi di oggi. La situazione ha cominciato a precipitare nel 2018, quando l’Argentina ha accettato un prestito da 56 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale. Quella decisione ha compromesso l’economia del paese negli anni successivi, caratterizzati dalla pandemia e dalla grave siccità che ha provocato danni per venti miliardi di dollari.
Il peronista Sergio Massa, ministro dell’economia da appena un anno e avversario di Milei, ha meno colpe di quelle che gli sono state attribuite durante la campagna elettorale. Le cause reali della grave situazione economica in cui si trova l’Argentina dipendono soprattutto dalle misure che il presidente Alberto Fernández si è rifiutato di adottare all’inizio del suo mandato nel 2019. La pessima relazione tra il presidente e la sua vice, Cristina Fernández, non ha aiutato a rilanciare l’economia. In ogni caso incolpare Massa dell’inflazione, che quest’anno ha superato il 140 per cento, si è rivelata una strategia elettorale molto efficace.
La cattiva gestione di Macri ha suscitato un’esasperazione sociale peggiore di quella che nel 2015 l’aveva fatto vincere. Se all’epoca la popolazione si lamentava della corruzione e della crisi economica, puntando il dito contro il kirchnerismo, nel 2023 l’insoddisfazione è diventata rabbia rivolta non solo al governo, ma anche all’opposizione di centrodestra. La strategia di Milei di accusare tutti i politici di far parte della casta l’ha avvantaggiato fin dall’inizio, quando è stato eletto deputato nel 2021.
Malcontento
Per valutare le possibilità di riuscita di Milei e del suo governo bisogna tenere conto della storia. Uno dei pochi successi di Macri è di essere stato l’unico oppositore del peronismo a completare un mandato. Questo fantasma accompagnerà Milei quando il peronismo, oggi all’opposizione, darà prova della sua capacità di mobilitare i sindacati, i militanti e le province che amministra da decenni. Un altro ostacolo sarà il parlamento, dove non ha la maggioranza. Lo stesso vale per la costituzione, che intralcerà la sua idea di promuovere consultazioni popolari vincolanti per approvare misure economiche, come la dollarizzazione.
Usciti di scena i Kirchner, il peronismo si compatterà intorno a nuove figure e occuperà lo spazio lasciato libero dalla destra di Macri. Ha le risorse per contenere la rabbia ed evitare l’esplosione di tensioni sociali, soprattutto attraverso la capacità di distribuire sussidi e agevolazioni. Milei non ha questa possibilità. Se non otterrà risultati concreti nei primi mesi di governo, le probabilità che gli argentini scendano in piazza per contestarlo sono molto alte. ◆ as
Sylvia Colombo è una giornalista brasiliana. Si occupa di America Latina per il quotidiano Folha de S.Paulo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati