Adnan al Qassas, 24 anni, piange la sua bambina Aisha. La mattina del 20 dicembre lui e la moglie, Rana, hanno provato un orrore inimmaginabile: “Mi sono svegliato per le urla di mia moglie. La nostra bambina giaceva immobile, con il viso e le labbra blu”. Al Qassas, che è stato sfollato dall’area di Sheikh Nasser, nella parte orientale di Khan Yunis, e ora vive in una tenda malconcia a pochi metri dalla spiaggia di Al Mawasi, ha portato di corsa la figlia al complesso medico Nasser, dove hanno confermato che era morta di freddo.

Aisha è una dei sei bambini morti per ipotermia a Gaza da metà dicembre.

L’inverno nella Striscia sta diventando mortale e lo sarà sempre di più. Circa due milioni di persone sono state sfollate a causa della violenza genocida di Israele negli ultimi quindici mesi. La stragrande maggioranza vive in tende o in rifugi improvvisati, senza riscaldamento, elettricità o carburante per i generatori. La tenda di Al Qassas è “fatta di tessuto logoro e sembra un frigorifero”, racconta. Qualche settimana fa, quando sono arrivate le piogge, si è allagata.

I neonati sono quelli che soffrono di più in inverno. Non sono attrezzati per affrontare il freddo e generano meno calore corporeo dei bambini più grandi o degli adulti. Con la carestia e l’assenza di protezione dalle intemperie, sono già fisicamente indeboliti, il che li rende meno capaci di combattere l’ipotermia.

Sila al Fasih è morta di freddo il giorno di Natale. Aveva solo due settimane. La sua famiglia, originaria della città di Gaza, vive in una tenda fatiscente sulle rive della spiaggia di Al Mawasi, nel sud della Striscia. Nariman al Fasih, 35 anni, madre di Sila e di altri due bambini di due e quattro anni, dice che di notte la famiglia ha solo tre coperte per proteggersi dal gelo. Non sono bastate per Sila. Al Fasih si è svegliata all’alba per allattarla, ma la bambina non reagiva. “Il suo corpo era freddo e immobile. Ho acceso la luce del telefono per controllarla e ho notato che la sua pelle era blu e che sanguinava dalla bocca e dal naso. Ho appoggiato l’orecchio sul suo petto, ma non ho sentito il battito cardiaco”.

Troppo tardi

Ahmed al Farra, primario di pediatria dell’ospedale Nasser, dichiara che il reparto riceve più di cinque casi al giorno di bambini in ipotermia: “La maggior parte è trattata e salvata. Ma alcuni arrivano troppo tardi. I neonati non sopportano le basse temperature per vari motivi, tra cui la bassa percentuale di grasso corporeo e la limitata attività fisica”.

Jumaa al Batran aveva venti giorni quando è morto di freddo. Suo padre Yahya, 39 anni, racconta che la moglie, Noura, ha trovato Jumaa e il gemello Ali congelati la mattina del 29 dicembre. Li hanno portati di corsa all’ospedale Al Aqsa di Deir al Balah, nella parte centrale della Striscia. La famiglia di otto persone vive in una tenda, che il giorno prima era stata spazzata via dal vento. Al Batran l’aveva rimessa in piedi, ma non aveva i soldi per riparare le parti strappate. Il 30 dicembre è morto anche Ali.

Più continua il genocidio israeliano, ha detto Al Farra, più alle persone saranno negati i beni di prima necessità come un riparo, cibo e vestiti, più bambini moriranno. Nel frattempo, la gente prende le precauzioni che può. Adnan Al Qassas si sveglia tre volte ogni notte per assicurarsi che i figli siano vivi. È ancora sotto shock per la morte di Aisha. A Gaza, dice, c’è solo una costante lotta con la morte: “Chi sopravvive ai bombardamenti si ritrova solo ad affrontare il freddo”. ◆ dl

Taghreed Ali è una giornalista freelance di Gaza. The Electronic Intifada è un sito indipendente di notizie sulla Palestina.

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Questo articolo è uscito sul numero 1596 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati