Come spiegare lo spostamento a destra della politica francese? La questione è complessa, ma non c’è alcun dubbio sul fatto che l’esperienza del macronismo al potere abbia una responsabilità schiacciante. Bisogna essere chiari: anche le divisioni a sinistra e lo scoraggiamento che queste producono negli elettori progressisti contribuiscono a spiegare questa situazione in vista del primo turno delle presidenziali, previsto il 10 aprile 2022. Ma questo argomento da solo non basta. Secondo un sondaggio realizzato da Le Monde a dicembre del 2021 su un campione di quasi undicimila persone, l’insieme dei candidati di sinistra (socialisti, ecologisti, comunisti e così via) arriva a fatica al 27 per cento delle intenzioni di voto, contro il 29 per cento dei due candidati di estrema destra (Éric Zemmour e Marine Le Pen), il 17 per cento della candidata di destra (Valérie Pécresse) e il 24 per cento del presidente uscente Emmanuel Macron (che, per semplificare, può essere definito di centrodestra). In nessuno dei paesi vicini alla Francia si osserva una simile debolezza della sinistra. I partiti socialdemocratici o socialisti sono al potere in Germania e Spagna, e hanno qualche possibilità di tornarci alle prossime elezioni nel Regno Unito e in Italia.
Naturalmente bisogna tener conto del fatto che in Francia il Partito socialista è stato al potere per venti degli ultimi quarant’anni, il che ha potuto alimentare una certa stanchezza nell’elettorato. In confronto i socialdemocratici sono stati al potere solo sette anni in Germania (tra il 1998 e il 2005) e i laburisti tredici anni nel Regno Unito (tra il 1997 e il 2010). Solo in Spagna i socialisti sono stati al potere più a lungo, questo ha alimentato una scissione all’interno della sinistra, e la nascita di Podemos, che i due partiti hanno faticato a superare prima di governare insieme. In Francia sicuramente il centrosinistra avrebbe dovuto riconoscere i suoi errori e aprirsi maggiormente alla France insoumise (il partito guidato da Jean-Luc Mélenchon) dopo il disastro del 2017. Forse non sarebbe bastato, ma si poteva almeno provare.
Il macronismo al potere ha spostato gran parte degli elettori e dei deputati dal centrosinistra verso il centrodestra, o addirittura ancora più a destra
La svolta a destra può anche spiegarsi con altri fattori, a cominciare dal trauma postcoloniale e dalle tensioni tra Francia e Algeria. La nostalgia dell’Algeria francese e la xenofobia che aleggia intorno a queste ferite ancora aperte hanno avuto un ruolo nell’emergere sia del lepenismo sia dello zemmourismo.
Ma l’aspetto principale è che il macronismo al potere ha spostato gran parte degli elettori e dei deputati dal centrosinistra verso il centrodestra, o addirittura ancora più a destra. Dal punto di vista economico Macron ha applicato un programma conservatore: abolizione della tassa sui grandi patrimoni, flat tax sui dividendi e deregolamentazione del mercato del lavoro, con le conseguenze viste durante la crisi dei gilet gialli, che ha causato una perdurante ostilità verso ogni tassa sulle emissioni di anidride carbonica in Francia. Dopo essersi fatta rubare il suo programma economico da Macron, la destra si è lanciata in una gara con l’estrema destra a colpi d’invettive contro immigrati e musulmani.
Il governo di Macron, non sapendo più come rivolgersi alle classi popolari, si è messo a scimmiottare la destra più estrema. In particolare ha contribuito a normalizzare la nauseabonda retorica sulla “cancrena islamo-gauchiste nelle università”, la presunta vicinanza di intellettuali e partiti della sinistra radicale agli ambienti islamisti. Così facendo ha alimentato la svolta a destra, ponendosi al tempo stesso come antidoto a essa, come un pompiere piromane.
Quali conclusioni trarre? Prima di tutto i sostenitori di Macron dovrebbero rendersi conto di questa deriva e agire di conseguenza: o l’accettano e votano direttamente per la candidata di destra Valérie Pécresse, o si oppongono. È troppo facile per gli elettori benestanti avere tutti i vantaggi fiscali e finanziari del macronismo, pulendosi la coscienza con una patina di “progressismo”. Dopotutto non c’è niente di male nel votare per una destra favorevole alle aziende e nazionalista. Oppure disapprovano questa deriva e tornano a votare per la sinistra al primo turno.
E poi, cosa ancora più importante, tutti quelli che non si riconoscono in questo cinismo devono superare le loro differenze e ritrovarsi intorno a un programma fondato su giustizia sociale, fiscale e ambientale. Bisogna ridefinire il progetto europeo e le regole della globalizzazione, anche attraverso rapporti di forza e misure unilaterali (come l’imposta minima sugli utili registrati nei paradisi fiscali o l’imposta doganale sulle emissioni di anidride carbonica), ma anche con proposte costruttive di tipo socialista- federalista. Se la sinistra abbandona l’internazionalismo democratico e universalista, e lascia fiorire l’internazionalismo commerciale e fintamente europeo del centrodestra (che sia quello di Emmanuel Macron o quello di Valérie Pécresse), finirà per favorire l’ascesa al potere del nazionalismo xenofobo. ◆ ff
Thomas Piketty
è un economista francese. È professore all’École des hautes études en sciences sociales e all’École d’économie de Paris. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Una breve storia dell’uguaglianza (La nave di Teseo 2021). Questo articolo è uscito su Le Monde.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati