L’accordo raggiunto dai partiti di sinistra in Francia per formare la coalizione Nouvelle union populaire écologique et sociale (Nupes) in vista delle elezioni legislative del 12 e 19 giugno è un’ottima notizia per la democrazia europea. Chi lo considera il trionfo dell’estremismo evidentemente non ha capito niente dell’evoluzione del capitalismo e delle sfide sociali e ambientali che stiamo affrontando. In realtà, se si esamina la situazione con calma, il programma proposto dallo schieramento guidato dal leader della France insoumise Jean-Luc Mélenchon è meno ambizioso di quello del Fronte popolare nel 1936 o di quello di François Mitterrand nel 1981. Invece di cedere al conservatorismo, è meglio prenderlo per quello che è: una buona base di partenza per spingersi più lontano in futuro.
Il programma segna innanzitutto il ritorno della giustizia sociale e fiscale. Con l’inflazione che ha già cominciato a colpire i redditi e le economie dei meno ricchi, è urgente cambiare direzione. Chi sostiene che nessuno pagherà il prezzo di politiche improntate al whatever it takes, costi quel che costi, di Mario Draghi mente. Per proteggere le persone più fragili dagli effetti dell’inflazione e per finanziare investimenti nella sanità, nell’istruzione e nell’ambiente, bisognerà tassare i ricchi.
Il programma della coalizione guidata da Jean-Luc Mélenchon segna innanzitutto il ritorno della giustizia sociale e fiscale e propone di tassare i grandi patrimoni
Secondo la rivista francese Challenges, che non è certo di sinistra, tra il 2010 e il 2022 i 500 principali patrimoni francesi sono passati da duecento a quasi mille miliardi, vale a dire dal 10 per cento a quasi il 50 per cento del pil del paese. Questa crescita è ancora più evidente se allarghiamo il campo ed esaminiamo i primi cinquecentomila patrimoni (l’1 per cento della popolazione adulta), che superano oggi i tremila miliardi di euro (sei milioni di euro a persona secondo il World inequality database), contro i cinquecento miliardi in totale dei 25 milioni di persone più povere (il cinquanta per cento della popolazione adulta, in cui ognuno possiede in media ventimila euro). In un periodo di crescita così spettacolare dei patrimoni più alti e di stagnazione di quelli più bassi, scegliere di sopprimere la modesta tassa sui primi, invece di aumentarla, dimostra uno strano senso delle priorità. Gli storici non saranno teneri nei confronti del governo Macron, che prese questa decisione.
Il primo merito dei partiti di sinistra è aver saputo superare le loro differenze per opporsi a questa deriva. Oltre al ripristino della tassa sui grandi patrimoni, è stato proposto di trasformare quella fondiaria in un’imposta progressiva sul patrimonio netto, il che permetterebbe forti riduzioni fiscali per milioni di francesi indebitati della classe media. Per favorire l’accesso alla proprietà, prima o poi questa serie di provvedimenti potrebbe essere completata da un sistema d’eredità minima per tutti.
L’accordo tra il partito La France insoumise e i socialisti prevede inoltre di estendere le tutele sul salario ai lavoratori della gig economy e di rafforzare la presenza dei dipendenti nei consigli d’amministrazione delle aziende. Un sistema del genere esiste dal dopoguerra in Svezia e in Germania (dove i dipendenti possono occupare fino al 50 per cento dei posti nei consigli d’amministrazione delle grandi aziende) e ha permesso a tutti di partecipare alle strategie a lungo termine. Purtroppo in Francia la cosa rimane embrionale. Anche in questo caso bisognerebbe fare di più sul lungo periodo, per esempio garantendo ai dipendenti il 50 per cento dei posti nei consigli d’amministrazione di tutte le aziende e limitando al dieci per cento i diritti di voto di un singolo azionista nelle grandi società.
Veniamo ora all’Europa. Tutti i partiti della Nouvelle union populaire écologique et sociale sostengono l’integrazione sociale e l’armonizzazione fiscale nel continente e il passaggio a un sistema fondato sul superamento della regola dell’unanimità. Cercare di farli passare per antieuropei, quando sono i più federalisti di tutti, è una manovra grossolana. Se è vero che le classi popolari hanno votato in massa contro l’Europa nei referendum del 1992 e del 2005, e poi di nuovo in quello sulla Brexit del 2016, è successo soprattutto perché l’integrazione europea favorisce i soggetti economici più forti. È l’Europa che ha trascinato il mondo e gli Stati Uniti in una corsa verso una tassazione sempre più bassa delle multinazionali. Al punto che certe persone oggi si rallegrano di un’imposta del 15 per cento, appena più alta di quella irlandese del 12,5 per cento e comunque molto più bassa di quella che pagano le piccole e medie imprese. Per mettere fine al dumping fiscale (gli sconti su imposte e tasse offerti da un paese per attirare contribuenti e investitori da altre parti del mondo) e a quello sociale e ambientale in Europa, bisogna fare delle proposte sociali e federaliste precise.
Speriamo che la campagna per le elezioni legislative francesi sia l’occasione per fare un vero passo avanti su questi temi essenziali. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati