È una domenica di aprile e il presidente ha rispettato alla lettera la routine che precede la partita. È arrivato allo stadio a bordo di un minivan con i vetri oscurati, sotto scorta, dal palazzo in cui abita. Ha salutato i suoi ospiti, evitando quelli che potrebbero portare sfortuna. Poi si è seduto al centro della tribuna che accoglie autorità e personaggi famosi. Accanto a lui la moglie, i suoi avvocati e gli amici, nei posti che gli ha assegnato. Mentre il pubblico dello stadio Maradona scandisce i nomi dei giocatori del Napoli, la sua squadra di calcio, questo elegante signore dai capelli impomatati resta imperturbabile.
Diciannove anni dopo aver rilevato la squadra in fallimento, il produttore cinematografico Aurelio De Laurentiis assapora il suo successo e dà il benvenuto al Milan per una partita di campionato. Eppure questa sera le cose gli stanno per sfuggire di mano: tre minuti dopo il calcio di inizio la curva B, quella degli ultrà del Napoli, comincia a insultarlo rinfacciandogli il suo peccato originale: “De Laurentiis tu non sei napoletano!”. In effetti è romano ed è una sfumatura importante. Questo signore di settantatré anni, considerato molto impulsivo, riesce comunque a controllare i nervi, sembra a una sfinge in mezzo al caos: sa che la squadra sta per conquistare il suo terzo scudetto, l’ultimo risale al 1990, all’epoca del “dio” Maradona. E se si confermerà la consacrazione, Napoli l’ingrata lo dovrà in parte a lui, il romano.
“Ha sbagliato a sottovalutare gli ultrà e a non capire il lato emotivo della città”
Per molto tempo De Laurentiis ha fatto i conti pensando non al calcio, ma agli incassi di Natale. È il re dei cinepanettoni, commedie per famiglie che hanno fatto la sua fortuna: Natale sul Nilo, Natale in India, Natale a Rio. Un filone inesauribile con cui ha fatto ottimi incassi, arricchendo la sua vetrina dei trofei: cinquanta biglietti d’oro e quindici David di Donatello. Dal 1975 De Laurentiis ha prodotto più di quattrocento film, cominciando a lavorare con il padre Luigi De Laurentiis nella casa cinematografica Filmauro.
La grande occasione
Suo zio Dino De Laurentiis aveva prodotto capolavori del cinema come Riso amaro (1949) e La strada (1954), ma anche film realizzati negli Stati Uniti come Serpico (1973) o Conan il barbaro (1982). Era stato proprio lo zio Dino ad aprire le porte degli Stati Uniti a questa famiglia originaria di Torre Annunziata, una località balneare ai piedi del Vesuvio in cui i nonni di Aurelio avevano un pastificio. Da allora i De Laurentiis sono sempre stati in viaggio tra Roma e Hollywood. Finché un affare imperdibile ha portato Aurelio nel golfo di Napoli. Era l’estate del 2004, il produttore era a Los Angeles per finire il film Sky captain and the world of tomorrow, con Jude Law e Gwyneth Paltrow, quando una telefonata lo fece andare via in fretta e furia. Una decina di ore dopo era a Capri. Da lì prese un aliscafo per Napoli, dove aveva un appuntamento nella sede della banca UniCredit. Per 32 milioni di euro comprò una squadra di calcio fallita, privata della sua storia, dei giocatori, degli impianti sportivi e perfino del nome: la prestigiosa Società sportiva calcio Napoli, fondata nel 1926, prendeva il nome di Napoli soccer.
La squadra era appena stata retrocessa in serie C. De Laurentiis non sapeva niente di calcio, ma era ambizioso e voleva applicare i metodi usati nel cinema allo sport. Dopotutto è sempre intrattenimento, entertainment, come dicono negli Stati Uniti. In una stanza d’albergo, senza fotografi, il primo giocatore a firmare fu un attaccante argentino proveniente dal Messina. Roberto Sosa, detto El Pampa, ricorda gli inizi caotici del Napoli soccer: “Il campionato era già cominciato e noi avevamo solo quattro giocatori professionisti in squadra. Ci portavamo le nostre attrezzature e avevamo preso un vecchio pallone mezzo sgonfio dalla Lazio. Andavamo ad allenarci in un campetto vicino a Paestum, perché gli impianti sportivi della squadra erano sotto sequestro”. Sulle divise bianco-azzurre al posto degli sponsor c’erano i titoli dei film del produttore. Poi arrivarono i successi: il Napoli ritrovò il suo nome, i trofei, prestigio e popolarità. Nel 2007 è tornato in serie A. Così De Laurentiis è sbarcato nel gran mondo del calcio, dove i potenti amano farsi vedere, dagli Agnelli a Silvio Berlusconi.
Di Roma il presidente conserva l’accento e l’ufficio sul Quirinale. Il resto dell’anno lo trascorre a Los Angeles. A Napoli invece sembra inafferrabile. È un uomo d’affari iperattivo e mantiene le distanze imponendo il suo stile. Soprattutto il look, con i suoi capelli bianchi pettinati all’indietro, la barba tagliata con cura, così come gli abiti che indossa e i Ray-Ban dorati. Ha un brutto carattere e si è fatto parecchi nemici. In città è considerato scontroso e tirchio, ed è soprannominato Pappone. Ha però molte risorse e un gran senso della messinscena quando deve presentare i nuovi giocatori. Nel 2011, davanti ai giornalisti, ha aspettato l’ultimo momento per far togliere al giocatore svizzero Gökhan Inler la maschera da leone che gli aveva messo, e ha gridato: “Et voilà!”. Un’altra volta, vedendo il senegalese Kalidou Koulibaly ha chiesto di farsi “rimborsare”: il ragazzone non gli sembrava alto un metro e novantadue come dichiarato sulla carta di identità.
Biglietti troppo cari
I napoletani ricordano un episodio che l’ha visto protagonista, diventato poi di culto. Milano, 27 luglio 2011, esterno giorno. Dopo la pubblicazione del calendario della serie A, che gli è sembrato troppo penalizzante per la sua squadra, De Laurentiis è nel cortile del luogo in cui sono stati decisi gli abbinamenti, si volta verso le telecamere e urla: “Voglio tornare a fare cinema. Siete delle merde!”. Poi andò via fermando uno scooter di passaggio.
De Laurentiis non ha lasciato il calcio. Anzi, è riuscito a guadagnarci. In realtà per far prosperare un’azienda come il Napoli non basta essere esuberante. Adl, le iniziali con cui firma i suoi tweet, è un negoziatore nato, un manager attento, circondato da collaboratori di fiducia. Prima della fine di questa stagione storica l’ordine è rifiutare tutte le richieste d’interviste. Per precauzione e scaramanzia.
Per il resto è la famiglia a reggere le fila. Sua moglie, la svizzera Jacqueline Baudit, e i loro tre figli, sono i più vicini a lui nell’organigramma della società. Edoardo tiene i rapporti con lo staff e i partner locali. A Valentina si deve la collezione di divise realizzate da Armani, tra cui una speciale per San Valentino, decorata con un’enorme bocca rosa e venduta ai tifosi per 125 euro. Luigi, l’altro figlio, è stato messo alla guida della squadra del Bari, un altro investimento di famiglia.
Luigi potrà ispirarsi al modello paterno, il “de laurentismo”, spiega lo scrittore Vincenzo Imperatore, tifoso del Napoli, in un libro in uscita a maggio: “Fin dall’inizio De Laurentiis ha saputo circondarsi dei migliori tecnici, ma anche di avvocati che hanno messo a punto contratti, voluminosi come libri, all’avanguardia nella gestione dei diritti di immagine. Se i conti della squadra sono tra i più in salute d’Italia, è anche perché lui controlla tutto, comprese le bottigliette d’acqua”. Costanzo Jannotti Pecci, presidente della Confindustria Campania e uno degli amici napoletani di De Laurentiis, vede in lui un “imprenditore incredibile, perfezionista, gran lavoratore”. Eppure la gestione della squadra fa disperare i tifosi, soprattutto quelli dei settori più popolari.
“Ha sbagliato a sottovalutare l’importanza degli ultrà, ma anche a non capire il lato emotivo degli abitanti della città”, spiega Gennaro, che va spesso in curva B e preferisce non dire il suo cognome. “Regoleremo i conti a fine stagione”, dice, e protesta perché un biglietto in curva può costare più di ottanta euro, anche per i bambini. “Questa è la stagione delle meraviglie, e tanti bambini delle classi popolari non avranno la possibilità di vedere nemmeno una partita dal vivo allo stadio”, afferma dispiaciuto Gennaro.
Nonostante un gioco entusiasmante, e il fatto che nel corso degli anni ci siano stati giocatori molto rappresentativi, come Marek Hamšík, Lorenzo Insigne, Edinson Cavani, i tifosi più accaniti rimproveravano al presidente la mancanza di ambizioni sportive e il fatto di essere interessato più ai conti e ai soldi garantiti dalla partecipazione alla Champions league, che allo scudetto, considerato da loro l’obiettivo principale. Per non parlare delle sue dichiarazioni sullo stadio, definito un “cesso”, e sulla pizza napoletana, ritenuta poco digeribile. Dei veri e propri sacrilegi.
Chiacchiere da bar
“Al presidente del primo scudetto, Corrado Ferlaino, misero delle bombe vicino a casa”, commenta il giornalista e saggista Gigi Di Fiore, autore di Storia del Napoli (Utet 2021). “De Laurentiis invece è un corpo estraneo alla città. Ma forse è necessario per avere successo, perché Napoli è una città che distrugge”.
In questa stagione memorabile, il produttore romano è al centro delle chiacchiere da bar. Come quelle durante un pranzo infinito in una trattoria dei quartieri spagnoli. A tavola tre amici, tutti di nome Maurizio e tutti innamorati della squadra: Maurizio Cortese, imprenditore nel settore della gastronomia; Maurizio Marinella, famoso produttore di cravatte di seta; Maurizio De Giovanni, autore di romanzi polizieschi di successo. Tutti ripetono lo stesso racconto polifonico di questa sequenza paradossale: “L’estate scorsa”, ricorda De Giovanni, “i tifosi hanno visto andare via i loro tre giocatori preferiti e arrivare tre sconosciuti, tra cui il sudcoreano Kim Min-jae. Ma se a questo tavolo ci fossero dieci geni, con al centro Einstein, non avrebbero comunque potuto immaginare la stagione che abbiamo vissuto”.
Il futuro del presidente – e quindi della squadra – alimenta già di per sé le chiacchiere. Il Maurizio romanziere ha una teoria tutta sua su questo capo che non ha voglia di farsi amare: “Adesso De Laurentiis è legato al Napoli da un bacio mortale”. La colpa è dei libri contabili: la squadra rappresenta ormai più del 9o per cento del volume di affari della Filmauro. In città si dice che De Laurentiis stia per comprare una casa sulla collina di Posillipo, non lontano da dove viveva Maradona. In attesa di un eventuale trasferimento, però, si è fatto immortalare con alcuni rappresentanti della curva B, in segno di distensione, pubblicando la foto su Twitter. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati