La Tupperware è ancora “molto popolare”, dice Larissa Schimmel, che nel suo negozio online Lastore Tupperware vende circa settecento articoli dell’azienda. Da quando il produttore di contenitori ha presentato istanza di fallimento, Schimmel è stata travolta dagli ordini. “Non riusciamo a starci dietro. Riceviamo centinaia di richieste, cinque volte più del normale. È un prodotto che si trasmette di generazione in generazione”. La stessa Schimmel ha conosciuto il marchio grazie alla madre, insieme alla quale gestisce il negozio: “Lei è cresciuta con la Tupperware, e anch’io”.

Schimmel sottolinea che chi conosce questi prodotti sa quanto siano di buona qualità. “A volte riceviamo messaggi da clienti che ci dicono di avere un contenitore da quarant’anni e chiedono se per caso vendiamo il tappo, perché quello originale si è appena rotto”. Tra l’altro la Tupperware offre una garanzia a vita sulla maggior parte dei suoi contenitori. Ottimo per i clienti, meno per un’azienda che deve fatturare: il 16 settembre ha depositato i bilanci presso il tribunale fallimentare, gravata da debiti per settecento milioni di dollari che non è in grado di onorare.

Società dei consumi

La crescita – e in un certo modo il declino – della Tupperware va di pari passo con quella della società dei consumi statunitense. Earl Silas Tupper cominciò a produrre plastica nel 1938. Durante la seconda guerra mondiale la Tupper Plastics fabbricava, tra l’altro, maschere antigas per l’esercito statunitense. Dopo la guerra, alla ricerca di nuovi mercati, sviluppò la Wonder bowl, una ciotola con coperchio flessibile ermetico e a tenuta stagna che ancora oggi fa parte dell’offerta.

Nei grandi magazzini i contenitori non ebbero subito un grande successo: i consumatori erano abituati a usare barattoli in vetro o in ceramica, che coprivano con la pellicola di alluminio. Non vedevano alcun vantaggio nel coperchio rigido della Wonder. Le cose cambiarono nel 1947, quando Brownie Wise entrò in contatto con i prodotti Tupperware. Dopo averci messo tre giorni a capire come funzionava il coperchio, Wise ebbe l’intuizione dei Tupperware party. In queste feste la padrona di casa, oltre alle amiche (a quel tempo la gestione della casa era compito esclusivo delle donne), invitava anche Wise in qualità di consulente Tupperware, per dimostrare dal vivo i prodotti. Lei riempiva d’acqua una Wonder bowl, mostrava come mettere bene il coperchio e lanciava la ciotola a una delle ospiti senza che ne uscisse una goccia. Le liste di ordini chilometriche erano garantite.

Nel 1951 i prodotti Tupperware furono ritirati dalla vendita nei negozi e Wise fu nominata direttrice del marketing per mettere in piedi una rete di consulenti. Anche qui la situazione socioeconomica del dopoguerra statunitense diede una mano all’azienda. Le donne, che durante il conflitto avevano quasi tutte lavorato, ora erano di nuovo a casa. Partecipare ai Tupperware party come consulenti gli permetteva di lavorare “senza minare l’ordine familiare”.

All’epoca Wise era una delle poche donne a ricoprire una carica così importante in un’azienda statunitense. Il successo della Tupperware era considerato sempre più merito suo. Questo causò del risentimento in Tupper, che finì per licenziarla nel 1958. L’azienda restò però fedele al modello dei consulenti.

Troppo a lungo, ipotizza ora la stessa Tupperware nei documenti depositati in tribunale: “I vantaggi storici del nostro modello di vendita si sono trasformati negli ultimi anni in punti deboli”. Se nel settore dei casalinghi solo il 4 per cento dei prodotti è venduto tramite consulenti, nel caso della Tupperware si arriva al 90 per cento. Oggi l’azienda ha 465mila consulenti in tutto il mondo, che lavorano in modo autonomo e ricevono una commissione sulle vendite. Ha anche un negozio online, sul quale però si può trovare solo il 13 per cento dell’offerta. E tra i prodotti mancanti ci sono proprio quelli che hanno più successo. È disponibile su Amazon solo dal 2022, ma questo ha fatto emergere nuovi problemi. “Tupperware è un termine di ricerca molto usato su Amazon, ma i prodotti richiamati sono soprattutto di altre marche”, spiega l’azienda. “Questo mina il nostro obiettivo strategico di vendita sulla piattaforma”.

Nei Paesi Bassi la Tupperware si è fermata già nel 2021. Il sito olandese esiste ancora ed è possibile comprare i suoi prodotti da consulenti attivi in Belgio e in Germania. Molti di loro vendono i contenitori nei mercati o continuano a organizzare party, dice Schimmel. Lei ha cominciato nel 2021, ma ha scelto la vendita online. “Nel vecchio modello il consulente ordinava dalla Tupperware e il cliente riceveva la merce due settimane dopo. Non è al passo con i tempi: oggi la gente vuole ricevere l’ordine il giorno dopo”. Schimmel compra dal distributore e così è in grado di spedire velocemente gli ordini. “A volte i prodotti sono in vendita solo per un mese e poi possono volerci degli anni prima che siano di nuovo disponibili. Noi compriamo grandi quantità, in modo da poter vendere più a lungo”.

Nel 2023 il fatturato della Tupperware era di 1,1 miliardi di dollari, il 16 per cento in meno dell’anno precedente. E nel 2022 il calo è stato simile. Oltre al modello di vendita sorpassato, ha giocato un ruolo anche la diffidenza verso i prodotti di plastica. Il commento della Tupperware: “E dire che l’azienda punta proprio a contrastare lo spreco, in questo caso di cibo”.

Le possibilità di crescita del produttore dei contenitori indistruttibili sembrano esaurite. E nel frattempo la concorrenza è molto cresciuta. “Un recipiente dell’Ikea o della Action si rompe dopo un anno se non di meno”, dice Schimmel. “In netto contrasto con l’idea di sostenibilità così importante oggi.” ◆ vf

Da sapere

◆ A causa della crisi, la Tupperware ha sospeso la produzione nella sua fabbrica di Montalvo, in Portogallo, con l’obiettivo di smaltire le scorte di magazzino. L’impianto, situato nel distretto di Santarém, a nord di Lisbona, è il più grande dell’azienda statunitense in Europa, insieme a quello di Aalst, in Belgio, e dà lavoro a circa duecento operai. La notizia è stata data ai lavoratori direttamemte dall’amministratrice delegata Laurie Ann Goldman, il 12 settembre 2024 nel corso di una videochiamata. A quanto riferito dai dipendenti, la dirigente avrebbe accennato alla possibilità di chiudere uno degli impianti europei, ma senza specificare se si tratta di quello belga o di quello portoghese. Diário de Notícias


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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 113. Compra questo numero | Abbonati