Il 6 giugno 2023 l’esercito russo ha fatto saltare in aria la diga della centrale idroelettrica di Kachovka in Ucraina. Sono stati sommersi dall’acqua migliaia di ettari di terreno e ottanta centri abitati, dove vivevano sedicimila persone. L’acqua ha coperto campi coltivati, abitazioni, industrie e infrastrutture. Le stime iniziali parlavano di 1,8 miliardi di euro di danni.

Il crollo della diga ha causato anche un disastro ambientale. Sono stati danneggiati almeno quattro parchi naturali nazionali, una riserva della biosfera e diverse aree protette dalle Convenzioni di Ramsar e Berna, che tutelano le zone umide e la vita selvatica in Europa.

L’evento è stato immediatamente accompagnato da previsioni estremamente pessimistiche: molti temevano che il bacino idrico si sarebbe trasformato in un deserto. Si è parlato di possibili tempeste di sabbia e della dispersione nell’aria dei sedimenti pericolosi che si erano accumulati sul fondo del lago. Ma niente di tutto questo si è avverato.

Per scoprire com’è cambiata nell’ultimo anno l’area del più grande disastro ambientale dall’inizio del secolo Rubryka ha parlato con i ricercatori ucraini che partecipano alle spedizioni al bacino idrico di Kachovka.

Previsioni e pessimismo

Le ricerche in realtà sono cominciate prima della distruzione della diga di Kachovka. Gli scienziati studiano gli effetti della guerra sul paesaggio e sull’ambiente già dalla liberazione dei territori della regione di Cherson a ovest del fiume Dnipro, nel novembre 2022. Il disastro di Kachovka è avvenuto sei mesi dopo.

La prima spedizione nella zona colpita dal crollo della diga si è svolta tre settimane dopo l’attacco russo e ha riguardato il parco nazionale di Kamjanska Sič, sulle sponde del bacino. “È stato abbastanza difficile entrare nel parco. Ma ci siamo riusciti, nonostante i pericoli”, racconta la biologa Anna Kuzemko.

Le spedizioni erano organizzate da Ivan Mojsienko e Oleksandr Chodosovtsev, professori dell’università di Cherson e collaboratori del parco di Kamjanska Sič, iscritti al Gruppo ucraino per la difesa dell’ambiente, e dal geobotanico ed ecologo Jakiv Diduch, dell’Accademia delle scienze ucraina. Anche se la ricerca era urgente e di grande importanza, gli scienziati hanno dovuto chiedere tutti i permessi del caso e seguire una lunga trafila burocratica. All’inizio tutti temevano le tempeste di polvere e pensavano che la nuova vegetazione non sarebbe sopravvissuta all’inverno. Ma le cose sono andate diversamente. Anna Kuzemko racconta che i dubbi sulla capacità di ripresa della natura si sono attenuati spedizione dopo spedizione. Finché tutti gli scenari più catastrofici non sono stati definitivamente abbandonati.

“Pensavamo che il limo accumulato sul fondo del bacino contenesse sostanze chimiche pericolose, e che si sarebbe seccato e disperso nell’aria. Ma quando siamo arrivati a Kachovka per la prima volta, tre settimane dopo la distruzione della diga, abbiamo constatato che il terreno era molto compatto ed era improbabile che si volatilizzasse”, racconta Kuzemko. “Inoltre avevamo paura che potessero attecchire specie vegetali aliene invasive come la robinia, il falso indaco, l’acero americano. Ma questi timori sono scomparsi durante la vista dello scorso ottobre, quando abbiamo trovato una giovane foresta di salici”.

Nel giugno 2023 i ricercatori avevano visto solo piccoli germogli, ma in quattro mesi si erano già formati vari boschetti di salici alti fino a due metri. Alcuni alberi superavano addirittura i tre metri. Anche allora, tuttavia, lo scetticismo non lasciava immaginare quello che sarebbe successo nei sei mesi successivi. “Dicevano che il bosco di salici non sarebbe sopravvissuto all’inverno, che non ci sarebbero state le inondazioni primaverili e che si sarebbe seccato. Ma in primavera siamo tornati e abbiamo visto il bosco. Abbiamo constatato che era cresciuto del 30 per cento rispetto all’anno precedente e che i salici erano in ottime condizioni, erano già solidi e con chiome folte”, conclude Kuzemko.

Una crescita insolita

Sulla base delle indagini sul campo, gli scienziati hanno usato i metodi di telerilevamento e l’intelligenza artificiale per realizzare una mappa dei biotopi del bacino di Kachovka. Nel novembre 2023 circa il 40 per cento dell’area era ricoperto da salici, pioppi e altra vegetazione. E il bosco continuava a espandersi. Ora i ricercatori sono in attesa dei risultati di un secondo studio, che quantificherà con precisione l’aumento della superficie boschiva da ottobre a maggio.

La giovane foresta di salici e pioppi che copre l’enorme area del bacino è un caso unico in Ucraina e anche in Europa. Secondo Kuzemko, una foresta alluvionale con caratteristiche simili esisteva già nella zona anche prima della costruzione della centrale elettrica. “Di solito queste foreste si formano esclusivamente lungo i corsi d’acqua, perché il terreno circostante è abitato, coltivato o occupato da altre attività. Una foresta come quella di Kachovka è davvero unica in Europa”, spiega la ricercatrice.

Il bosco cresce a una velocità altissima. È difficile immaginare che appena un anno fa l’area era un terreno brullo, mentre ora ospita alberi alti quasi cinque metri. “Vi rendete conto? Un salice che arriva fino a 4 metri e 70 centimetri in meno di un anno! Abbiamo confrontato i dati a nostra disposizione e non abbiamo riscontrato un tasso di crescita simile in nessun altro posto”, sostiene Mojsienko. Il suo collega Jakiv Diduch, che ha studiato la biomassa dei giovani alberi, afferma che a Kachovka i pioppi e i salici crescono due volte più velocemente rispetto ai ritmi normali. Ciò è dovuto alla fertilità della steppa del sud dell’Ucraina e all’abbondanza di limo, ricco di nutrienti, sul fondo del bacino.

Questa nuova foresta servirà a catturare anidride carbonica e sostanze nocive

In tutto questo è molto importante che, parallelamente allo sviluppo della foresta, cresca anche l’attenzione alla sua conservazione. Nella zona si sta formando un tipo di biotopi protetto dalla convenzione di Berna. “Con il passare del tempo il valore di questi territori non potrà che salire, perché i biotopi continueranno a formarsi. La biodiversità aumenterà e l’area consoliderà la sua appartenenza alla cosiddetta Rete Smeraldo (un network di spazi protetti coordinato a livello europeo)”, aggiunge Kuzemko. Ovviamente perché questo succeda bisogna che nulla interferisca con la formazione del bosco.

Chi vuole i numeri

Questa nuova enorme foresta servirà anche a catturare anidride carbonica e ad assorbire sostanze nocive. Tutti i ricercatori concordano su un punto: i benefici offerti dalla foresta di salici sono maggiori di quelli che in passato si ricavavano dall’ecosistema artificiale del bacino idroelettrico. Anche il clima della regione può migliorare grazie ai salici e ai pioppi. “Gli alberi e le altre piante hanno già assorbito milioni di tonnellate di CO2, che è la prima responsabile del riscaldamento globale. Non so se esista, in Europa o nel mondo, un ecosistema capace di combattere la crisi climatica in modo più efficace. Con il vecchio bacino idrico – che in realtà era una specie di ‘deserto idrico’ – non sarebbe potuto succedere”, spiega Mojsienko.

“Prima della sua scomparsa”, conferma Kuzemko, “il serbatoio assorbiva l’acqua dall’atmosfera. Oggi c’è chi ipotizza che in futuro il clima diventerà più temperato e che la siccità diminuirà in tutta la regione di Cherson”.

“Quello che è successo mi fa pensare al miliardo di alberi che saranno piantati senza criterio, in luoghi inadatti, nelle steppe, sulla sabbia… (il riferimento è al programma di rimboschimento promesso dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj). Chissà, magari qui nel bacino di Kachovka un miliardo di alberi sono già nati…”, sottolinea Kuzemko.

I benefici di questo nuovo ecosistema difficilmente possono essere sopravvalutati. Finora ci si è limitati a parlarne, ma oggi i ricercatori si sono posti un nuovo obiettivo: quantificarli.

Dopo l’ultima spedizione è stato diffuso un video in cui quattro uomini robusti cercano di estirpare un giovane salice di diversi metri nella giovane foresta di Kachovka. Non si trattava di un atto vandalico, ma di un esperimento scientifico.

Jakiv Diduch ha spiegato che l’albero era necessario per valutare il ruolo dei salici, il loro impatto sul clima, gli indicatori climatici, i processi di formazione del suolo e di assorbimento dell’anidride carbonica. In questo modo si possono fare previsioni su periodi di cinque, dieci o addirittura cinquant’anni.

Questi studi sono estremamente utili per spiegare agli economisti, agli agricoltori, agli idrologi e a chi rivendica il territorio liberato dall’acqua, la cosa più importante: l’ex bacino idrico allo stato naturale in cui si trova oggi è e sarà infinitamente più prezioso di qualsiasi progetto infrastrutturale si possa pensare di costruire. “Gli ambientalisti stanno cercando di produrre dati chiari inconfutabili per dimostrare l’enorme importanza di queste foreste. Idrologi, agricoltori, economisti hanno bisogno di numeri. Ed è per questo che facciamo analisi e calcoli e presto pubblicheremo i dati raccolti”, afferma Diduch.

Gli studi già effettuati dal team hanno dimostrano che i benefici di un ecosistema di foreste mature – quando arriverà a occupare almeno il 30 per cento dell’area – saranno sedici volte maggiori di quelli offerti dal vecchio bacino. E potranno anche fruttare denaro agli ucraini

Arrivano i soldi

Il ripristino della vegetazione e del letto naturale del fiume Dnipro a Kachovka è in linea con il _green deal _europeo. Anche altri paesi, infatti, si stanno impegnando a riportare i fiumi al loro stato naturale.

Nell’ambito della strategia europea per la biodiversità, entro il 2030 venticinquemila chilometri di fiumi dovrebbero essere restituiti al loro corso naturale. Ovviamente questo implica anche lo smantellamento delle dighe. Una prospettiva che sembra in netto contrasto con i piani dell’azienda pubblica ucraina Ukrhydroenergo per ripristinare il bacino, di cui si è cominciato a parlare un mese dopo il disastro di Kachovka. Il nuovo progetto annullerebbe anche tutti i vantaggi della nuova condizione “naturale” della zona.

È esattamente “non intervenendo” che si potranno portare risorse in Ucraina. Ci sono fondi d’investimento globali pronti a pagare per il ripristino della natura. I proprietari non devono fare nulla: devono semplicemente lasciare che la natura segua il suo corso e non usare la terra.

Per il bacino idrico di Kachovka sarebbe la soluzione perfetta. Tuttavia, affinché tutto questo si avveri devono verificarsi due condizioni. In primo luogo, bisogna mettere fine alla guerra, perché le attività belliche sono praticamente l’unico fattore che tiene questi territori in un limbo. Secondo, va garantito a chi gestisce i fondi d’investimento che la nuova centrale idroelettrica sognata da Ukrhydroenergo non sarà costruita qui.

“Se queste condizioni saranno rispettate, è più che probabile che i soldi per il ripristino della natura arriveranno. Ma garantirle non sarà facile”, conclude Mojsienko.

Nel frattempo, non resta che seguire le spedizioni dei ricercatori, attendere i risultati della nuova ricerca e osservare come la “grande prateria” che esisteva prima della costruzione del bacino idrico di Kachovka stia rinascendo rigogliosa come conseguenza di un disastro bellico e ambientale. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati