Quando Ferdinand Marcos Jr. ha stravinto le elezioni presidenziali a maggio del 2022, molti si aspettavano che il suo mandato sarebbe stato solo la continuazione di quello appena concluso di Rodrigo Duterte. Il supporto di molti influenti sostenitori di Duterte e la scelta di sua figlia Sara per la vicepresidenza sono stati fondamentali per il successo di Marcos Jr., che ha dimostrato la sua gratitudine per l’aiuto ricevuto. L’ex ministra della giustizia e presidente della commissione sui diritti umani Leila de Lima, fatta incarcerare da Duterte quasi sette anni fa, è ancora in detenzione preventiva, e gli investigatori della Corte penale internazionale (Cpi) non hanno ricevuto il permesso di entrare nel paese per raccogliere prove in vista di una possibile azione nei confronti dell’ex presidente per le sue presunte violazioni dei diritti umani.
Marcos Jr. però sembra aver capito che il suo predecessore non è un esempio da seguire. Duterte era arrivato al governo promettendo di ripulire il paese dalla droga con le maniere forti. Tre mesi dopo l’inizio del suo incarico dichiarò: “Hitler ha massacrato tre milioni di ebrei… ci sono tre milioni di tossicodipendenti… Sarò più che felice di massacrarli”. Nacque così l’operazione guidata dal capo della polizia Ronald “Bato” dela Rosa (oggi senatore), che doveva dare la caccia agli spacciatori. “Se resistono all’arresto, sparate”, diceva Duterte ai poliziotti, garantendogli che avrebbe concesso la grazia a chiunque di loro fosse stato accusato di omicidio.
Le operazioni antidroga avvenivano soprattutto nelle zone più povere della capitale e di altre città. Secondo i dati ufficiali, dall’inizio della campagna, nel maggio 2022, sono state uccise 6.252 persone. Secondo la Commissione Onu per i diritti umani, però, le vittime sarebbero 8.663, mentre per alcune organizzazioni che difendono i diritti umani sarebbero il triplo. Gli omicidi sono continuati anche nei primi mesi della presidenza di Marcos Jr., che ora però sta adottando uno stile diverso. La sua dichiarazione sul cambio di rotta nella guerra alla droga è il segnale di un allontanamento dal suo predecessore: “Non m’interessa il ragazzino che guadagna cento pesos alla settimana vendendo erba”, ha detto ai poliziotti durante una conferenza, invitandoli a dare la caccia ai grandi spacciatori.
Salvare la faccia
Da tempo c’è la percezione che la polizia e chi controlla il traffico di droga abbiano legami molto stretti. L’amministrazione di Marcos Jr. sembra voler spezzare quest’alleanza. Sei mesi dopo l’inizio del mandato, il ministro dell’interno e dei governi locali Benjamin Benhur Abalos ha chiesto ad alti funzionari della polizia di dimettersi, mentre una squadra di cinque persone indaga con l’obiettivo di ripulire le forze dell’ordine.
Secondo i detrattori di Abalos, il ministro starebbe garantendo ai generali corrotti una comoda via d’uscita, ma potrebbe anche essere un modo tipicamente filippino di affrontare una brutta situazione senza far perdere la faccia a nessuno. Oltretutto, una guerra aperta alla corruzione e alle attività illecite della polizia sarebbe un’impresa mastodontica e lunghissima, che farebbe finire sotto esame l’intero corpo di 227mila uomini e donne in divisa.
Il generale Benjamin Santos, accusato di aver insabbiato le complicità con il narcotraffico, è stato invitato a congedarsi e 49 poliziotti dell’antidroga, tra cui dodici ufficiali di alto rango, hanno ricevuto l’ordine di consegnare le armi per aver commesso delle irregolarità.
Siamo lontani anni luce dall’era Duterte, quando solo tre funzionari di polizia sono finiti in tribunale. Accusati dell’omicidio extragiudiziale di uno studente di 17 anni, Kian Loyd delos Santos, sono stati condannati a quarant’anni di carcere ciascuno perché, secondo il giudice, quell’omicidio non era “necessario al mantenimento dell’ordine pubblico”. In quel caso a Duterte fu suggerito di non accordare la grazia ai colpevoli.
L’esiguo numero di condanne per omicidi extragiudiziali è finito sotto gli occhi della Corte penale internazionale, che ha avviato un’indagine sulle violazioni dei diritti umani di cui Duterte sarebbe responsabile.
Il cambio di linea non si ferma qui. Ci sono stati progressi nei procedimenti contro il generale Jesus Durante III, comandante della squadra per la sicurezza presidenziale di Duterte, e contro altri cinque soldati accusati di essere coinvolti nell’omicidio di Yvonette Chua-Plaza, un’imprenditrice di Davao, avvenuto a dicembre del 2022.
A indicare il cambio di rotta ci sono anche le azioni intraprese per portare in tribunale le persone coinvolte nell’assassinio del giornalista radiofonico Percy Lapid e di alcuni detenuti nel carcere di massima sicurezza del paese – in entrambi i casi sarebbe coinvolto anche l’ex direttore della prigione Gerald Bantag, nominato da Duterte – e nel recente omicidio del governatore della provincia di Negros oriental, Roel Degamo, aggredito e ucciso in pieno giorno.
“Questo è solo l’inizio”, afferma una fonte affidabile a conoscenza dei piani del presidente. Marcos Jr., prosegue la fonte, ha dichiarato che la sua priorità è far diventare il paese una destinazione privilegiata per gli investimenti stranieri. Per raggiungere questo obiettivo è essenziale garantire la legalità.
Resta ancora da vedere quanto il presidente possa prendere le distanze da Duterte senza rischiare contraccolpi politici. Anche se non è più in carica e ha la Cpi alle calcagna, Duterte è ancora molto potente sulla scena internazionale e ha un enorme seguito nell’opinione pubblica. ◆gim
◆ Il 28 marzo 2023 il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. ha annunciato che avrebbe interrotto i contatti con la Corte penale internazionale (Cpi) dopo che il tribunale pochi giorni prima aveva respinto l’appello di Manila a interrompere le indagini sulla guerra alla droga di Rodrigo Duterte. “Non possiamo collaborare con la Cpi su quel che consideriamo un’ingerenza e un attacco alla sovranità della repubblica”, ha detto Marcos Jr. Nel 2018 Duterte aveva ritirato le Filippine dallo statuto di Roma, il trattato fondativo della Cpi, che però può indagare su presunti crimini avvenuti quando il paese era ancora tra i firmatari. Reuters
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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati