Asia centrale

“Il nostro paese non ha cento o duecento milioni di abitanti come la Russia, ma vogliamo essere rispettati. Siamo sempre stati accondiscendenti con i vostri interessi. Siamo forse una specie aliena? Presidente Putin, le chiedo di non trattare i paesi dell’Asia centrale come paesi dell’ex Unione Sovietica”. Il discorso che il presidente tagiko Emomali Rahmon ha pronunciato di fronte al suo collega russo il 14 ottobre ad Astana, in Kazakistan, in occasione della Conferenza sulle misure d’interazione e rafforzamento della fiducia in Asia (Cica), sta facendo discutere nei paesi della Comunità degli stati indipendenti (Csi). Le reazioni al discorso del presidente tagiko vanno da “incredibile, anche Rahmon ormai se ne frega di Putin” a “patetico, vuole solo più soldi!”. La seconda si riferisce a com’è stato pronunciato il discorso, nel modo più simile a una supplica servile che a un attacco diretto. Mentre la prima mette l’accento su chi ha parlato: Rahmon è un fedelissimo di Putin, l’unico leader andato a Mosca il 9 maggio 2021 per i festeggiamenti della giornata della vittoria (nel 2022 non ci sono state visite internazionali). Se comincia a indignarsi uno come lui, significa che non c’è più niente da fare, che la Russia in Tagikistan non ha più alcuna autorità.

Ragioni storiche

È importante capire come hanno funzionato le relazioni con i paesi dell’Asia centrale negli ultimi anni. Da un lato la Russia ha promosso lo sviluppo economico della regione, tenendola sotto controllo e proteggendola con le sue basi militari. Una politica estera tutto sommato normale, non fosse per l’arroganza che contraddistingue il modo di agire di Mosca, che negli ultimi vent’anni non si è mai liberata del suo paternalismo. I paesi dell’Asia centrale sono considerati una sorta di feudo a cui a un certo punto è venuto in mente di giocare la carta dell’indipendenza.

L’atteggiamento arrogante è stato condiviso anche dai cittadini russi. In molti pensano che il loro paese abbia portato la civiltà nell’Asia centrale e quindi quest’ultima deve tacere ed essere riconoscente. Questo senso di superiorità si vede anche da come sono trattati gli immigrati: per un russo medio infatti, chi arriva dall’Asia centrale deve superare molte prove prima di poter “essere considerato una persona normale”. Così si spiegano i cartelli “solo per slavi” e gli ostacoli che gli immigrati affrontano nella vita quotidiana.

Sembrava che i paesi dell’Asia centrale fossero pronti ad accettare le regole del gioco: per molte ex repubbliche sovietiche la migrazione è un elemento essenziale negli equilibri economici interni. Ma tra i rappresentanti di queste nazioni è gradualmente cresciuto un forte risentimento verso la Russia, perché non c’è popolo, nemmeno il più povero, che possa tollerare un’oppressione fondata solo sui meriti passati dell’oppressore.

I russi hanno costruito ospedali e scuole, ma ogni paese ora va avanti da solo, e non vuole più essere considerato un possedimento russo. I paesi dell’Asia centrale hanno la loro cultura, le loro tradizioni, i loro eroi, la loro visione della storia, la loro lingua e il loro modo di vivere. E Mosca dal crollo dell’Unione Sovietica non è stata in grado di offrire ai suoi vicini asiatici nulla che li unisse al di là del denaro e della condivisione di un nemico comune.

Occhi aperti

A un certo punto la Russia ha addirittura smesso di difendere i suoi “fratelli minori”, provocando per esempio la delusione dell’Armenia nei confronti di Mosca durante l’ultimo conflitto del Nagorno Karabakh. Nemmeno il Kirghizistan e il Tagikistan sono soddisfatti dell’atteggiamento distaccato del Cremlino nel conflitto che li riguarda.

I paesi dell’Asia centrale e del Caucaso hanno cominciato a chiedersi se la Russia sia davvero fondamentale. I governanti della regione hanno aperto gli occhi sulla varietà di partner geopolitici tra cui scegliere: Turchia, Cina, Stati Uniti, Unione europea, paesi che ora sentono di avere un ruolo molto più importante nell’Asia centrale e nel Caucaso. Per ottenere questo risultato non hanno dovuto fare quasi niente: le parole gentili di Erdoğan o del diplomatico statunitense, pronunciate nella lingua della repubblica che lo ospitava, hanno avuto un effetto molto più soddisfacente sugli autocrati dell’Asia centrale che non l’abbaiare di Mosca. Con lo scoppio della guerra in Ucraina la Russia si è trasformata da protettore a minaccia, e i suoi toni aggressivi ora sono percepiti come inaccettabili. Ma i leader orientali hanno un modo di fare politica diverso: quando c’è bisogno di prendere posizione, lo fanno sempre in modo velato.

È interessante notare che in Russia a percepire più di altri il cambiato atteggiamento dei paesi ex “fratelli”, siano i blogger patriottici e i canali Telegram noti per la loro xenofobia. Ma tutta questa animosità nazionalista si riduce a chiedere di irrigidire le relazioni tra Mosca e i paesi dell’Asia centrale, per esempio proponendo di istituire un regime di visti.

Questo rafforza l’idea che sia meglio allontanarsi dalla Russia per avvicinarsi a potenze più concilianti. Mosca, dentro fino al collo nella guerra in Ucraina, si ritrova in una posizione estremamente scomoda, è sempre più vicina a un vicolo cieco: i paesi asiatici sono tutti d’accordo nel chiedere relazioni paritarie, rispetto, garanzie di pacifica convivenza e denaro. Mosca non è contraria in linea di principio, ma ora non può soddisfare queste richieste: dovrebbe ammettere, soprattutto di fronte a se stessa, di non essere più il paese egemone della regione. E questo, per l’attuale regime di Putin, è di gran lunga più terribile di qualsiasi guerra. ◆ ab

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Da sapere
Il consiglio asiatico

◆ La Conferenza sulle misure di interazione e rafforzamento della fiducia in Asia (Cica) è un’organizzazione intergovernativa che mira a promuovere la pace e la cooperazione tra i paesi della regione. Il sesto vertice si è svolto ad Astana, in Kazakistan, tra il 12 e il 14 ottobre. In quest’occasione il presidente russo Vladimir Putin ha proposto di traformare la Turchia, che fa parte della Nato, in un centro per la distribuzione del gas russo in Europa. Ankara ha definito il progetto tecnicamente possibile. Ap.


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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati