F ino a che punto la Cina è disposta a spingersi nel sostegno alla Russia? La domanda è al centro del dibattito fin dallo scoppio della guerra in Ucraina. Il 20 febbraio il segretario di stato statunitense Antony Blinken aveva dichiarato che presto Pechino avrebbe potuto fornire “supporto letale”, cioè armi, a Mosca. Ma quattro giorni dopo, nell’anniversario dell’invasione russa, il governo cinese ha diffuso un documento in dodici punti in cui sosteneva la necessità di trovare un accordo politico per mettere fine al conflitto, omettendo in modo significativo qualsiasi riferimento alla sua “collaborazione senza limiti” con la Russia.
L’obiettivo della Cina era presentarsi come mediatore neutrale. In realtà, il legame tra Pechino e Mosca resta inalterato, anche se nell’ultimo anno per i funzionari cinesi il compito di mantenere il delicato equilibrio nelle relazioni con la Russia è stato esasperante. Il lavoro è sempre più difficile, visto che Vladimir Putin continua a fare dichiarazioni imprudenti e a minacciare l’uso di armi nucleari.
Davanti a un presidente russo che glorifica la legge della giungla nella sua forma più brutale, la Cina deve fare attenzione a non lasciarsi coinvolgere troppo nella guerra. Dopotutto i russi stanno chiaramente perdendo, e Pechino nutre grandi speranze nel recupero dei rapporti con le grandi economie europee. Ma, come prevedibile, Putin non perde l’occasione di sottolineare l’appoggio della Cina. È per questo che ha srotolato il tappeto rosso per accogliere a febbraio il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, e il 20 marzo il presidente Xi Jinping. Questi incontri permettono a Putin di presentare la posizione ambivalente della Cina come un sostegno all’invasione dell’Ucraina. Per Pechino il prezzo di un allineamento con Mosca oggi supera di gran lunga qualsiasi beneficio, ma bisogna tenere presente che i motivi per cui i leader cinesi vogliono mantenere un buon rapporto con il Cremlino vanno ben oltre la guerra in Ucraina.
Prima di tutto i due paesi condividono una frontiera che si estende per 4.300 chilometri (più o meno la larghezza dell’intera Europa) ed è stata definita in modo chiaro solo all’inizio di questo secolo, dopo anni di negoziati e circa duemila incontri.
Lo spettro della crisi sino-sovietica degli anni cinquanta e sessanta aleggia su entrambi i paesi, e difficilmente sarà esorcizzato in tempi brevi. Inoltre, mentre è concentrata sull’attività degli Stati Uniti e dei loro alleati in Asia orientale e nell’Indo-Pacifico, Pechino non può permettersi tensioni su altri fronti.
Interessi nazionali
Al contrario di quanto succede in occidente, la politica estera cinese è da sempre apertamente definita dagli interessi nazionali, senza ricorrere a giustificazioni morali. Il legame con la Russia si basa soprattutto sul risentimento condiviso verso l’egemonia statunitense. Rafforzando la cooperazione bilaterale negli ultimi anni, Pechino e Mosca si sono guadagnate lo status di grandi potenze necessario a controbilanciare Washington.
Ma la disavventura di Putin in Ucraina ha costretto Xi e i nuovi vertici del Partito comunista a fronteggiare una serie di rischi economici, finanziari e politici nuovi. La guerra di Mosca ha compattato l’occidente come non succedeva da anni. Considerando che i rapporti tra Pechino e Washington sono ai minimi storici, la classe dirigente cinese vorrebbe evitare d’inimicarsi anche l’Unione europea, uno dei partner commerciali più importanti.
È per questo che Xi e i funzionari cinesi hanno fatto attenzione a non adottare completamente le argomentazioni russe. L’ipotesi di rimanere isolata dall’occidente nel suo insieme non piace a una Cina che aspira a una solida ripresa economica dopo gli anni della strategia “zero covid”. Pechino vuole rassicurare l’Europa – è pronta a usare l’amicizia con la Russia per evitare che Putin usi armi nucleari – cercando di mantenere aperti i canali diplomatici e commerciali.
Allo stesso tempo cerca di rafforzare le relazioni con i paesi non occidentali, molti dei quali non giudicano la guerra in Ucraina attraverso la stessa lente morale dell’occidente. L’attenzione alla sicurezza energetica e alimentare, espressa nel documento presentato da Pechino lo scorso 24 febbraio, potrebbe favorire l’intesa con questi paesi, che risentono maggiormente degli effetti della guerra sull’economia. La maggior parte di loro, infatti, vuole basare la ripresa dopo il covid sul ritorno al commercio e agli investimenti, anche perché è esclusa dal nuovo boom dell’industria militare.
Se vuole evitare di venire ai ferri corti con l’intero occidente, anziché solo con gli Stati Uniti, la Cina non dovrebbe avvicinarsi ulteriormente alla Russia. Ma non sempre la ragione prevale. ◆ as
◆ “Sono in corso cambiamenti mai visti in un secolo”, ha detto Xi Jinping congedandosi da Vladimir Putin la notte del 21 marzo 2023. “E li stiamo guidando noi”. È finita con ventiquattr’ore di anticipo la visita del presidente cinese a Mosca, che doveva contribuire a raggiungere la pace in Ucraina. Non c’è stata, però, neanche l’attesa telefonata con Volodymyr Zelenskyj, che nelle stesse ore a Kiev ha accolto il premier giapponese Fumio Kishida. Comincia una “nuova era”, si legge nel comunicato congiunto diffuso da Cina e Russia: i due paesi rafforzeranno la cooperazione in vari campi strategici. Ma un riassunto brutale delle relazioni tra i due paesi l’ha fatta una fonte “vicina al Cremlino” al Financial Times: “La situazione ci impone di diventare una colonia cinese: i nostri server saranno prodotti dalla Huawei, ma noi saremo i loro principali fornitori per tutto. Loro avranno il gas russo, ma entro la fine del 2023 lo yuan diventerà la nostra valuta per gli scambi internazionali”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati