Dopo la denuncia presentata dal Sudafrica contro Israele in base alla convenzione sul genocidio, la Corte internazionale di giustizia (Cig) ha ordinato l’adozione di misure provvisorie, una decisione accolta senza sorpresa dalla maggior parte degli osservatori. Anche se le prove portate dal Sudafrica erano più che altro indiziarie (si basavano in larga misura su inferenze tratte dal grande numero di morti a Gaza, dalla disastrosa situazione umanitaria e da dichiarazioni di funzionari israeliani in cui si poteva leggere un’istigazione all’eliminazione), in questa fase iniziale la maggioranza dei giudici non ha voluto definire implausibile l’accusa. Solo due, l’ugandese Julia Sebutinde e l’israeliano Aharon Barak, hanno accettato il punto di vista di Israele, secondo cui l’ampio uso di scudi umani fatto da Hamas, gli sforzi dell’esercito israeliano per limitare le sofferenze e l’assenza di un nesso causale tra le dichiarazioni aggressive dei politici e le direttive trasmesse dal governo ai militari in realtà renderebbero poco plausibile l’accusa.

Tuttavia, per quello che è considerato il “principale organo giudiziario delle Nazioni Unite” sarebbe stato strano rifiutarsi d’intervenire in questo caso dalle implicazioni rilevanti, al centro dell’attenzione internazionale e legato a una catastrofe umanitaria urgente e gravissima. Questo soprattutto se si considera che meno di due anni fa la corte è stata pronta a intervenire nella guerra tra Russia e Ucraina.

Un funerale a Gaza, 17 gennaio 2024 (Afp/Getty)

È difficile, però, leggere nella decisione della Cig un’adesione convinta al quadro legale descritto dal Sudafrica. Lo standard della “plausibilità delle accuse” adottato dal tribunale al momento di valutare se richiedere le misure provvisorie è già di per sé basso e ambiguo quando si tratta di dimostrare accuse fattuali. La corte ha aggiunto un ulteriore elemento di confusione sostenendo che “almeno alcune accuse mosse dal Sudafrica” sono plausibili, senza indicare quali.

Vale poi la pena osservare che sono state respinte le misure provvisorie più importanti richieste dal Sudafrica: interrompere la guerra, non far peggiorare la crisi, annullare alcuni provvedimenti specifici (come quello che impone agli abitanti del nord della Striscia di Gaza di spostarsi a sud) e permettere l’ingresso degli ispettori internazionali. E la corte non ha chiesto il cessate il fuoco.

In fin dei conti quasi tutte le misure indicate dalla corte possono essere considerate delle richieste generali a Israele di non violare certe disposizioni della convenzione sul genocidio. Poiché Israele sostiene che le sue operazioni sono già conformi al diritto internazionale (e di aver cominciato a indagare sulle accuse d’istigazione), sembra poco probabile che la decisione della Cig porti a un cambiamento reale e tangibile delle politiche israeliane.

Ci sono però due contesti importanti in cui la decisione della corte potrebbe complicare le cose per Israele. In primo luogo, l’aver accettato la plausibilità di alcune accuse – per quanto deboli e vaghe – potrebbe spingere gli alleati di Israele a fare pressioni. In secondo luogo, il fatto che Israele dovrà riferire entro un mese sull’attuazione delle misure indicate dalla corte apre a un possibile monitoraggio continuo della condotta israeliana. Di conseguenza l’attività di Israele continuerà a essere sottoposta a uno scrutinio internazionale, nonostante le profonde riserve israeliane sulle istituzioni internazionali, compresi i tribunali. E in futuro le pressioni su Israele non faranno che aumentare, riducendo i suoi margini di manovra militari e politici.◆gim

Yuval Shany è un esperto israeliano di diritto internazionale dell’Università ebraica di Gerusalemme e del centro studi Israel democracy institute. Ha scritto questa analisi per il quotidiano britannico The Guardian.

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Questo articolo è uscito sul numero 1548 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati