Di recente è stata riscritta gran parte della storia della pandemia di covid-19 negli Stati Uniti, con conseguenze che si faranno sentire per anni. Davanti a una sottocommissione del congresso statunitense alcuni rappresentanti delle istituzioni sanitarie, tra cui Anthony Fauci, fino al 2022 direttore del National institute of allergy and infectious diseases, e vari alti funzionari dei National institutes of health (Nih), hanno ammesso che molte delle regole imposte durante il primo anno della pandemia non erano sostenute da solidi dati scientifici. E anche che l’opinione pubblica è stata tenuta all’oscuro di informazioni ritenute problematiche, che sono state nascoste, smentite o sminuite.
Ricordate la regola di mantenere una distanza di due metri dalle altre persone? “È come se fosse venuta fuori dal nulla”, ha commentato Fauci durante un’audizione, aggiungendo di non essere “a conoscenza di nessuna ricerca” scientifica che avvalorasse questa raccomandazione. Ricordate quante volte ci hanno detto che il virus si diffondeva soprattutto attraverso i droplets (gocce di saliva contenenti le particelle virali emesse da chi è infetto), che precipitavano rapidamente al suolo? Durante un recente intervento pubblico, Fauci ha riconosciuto che in realtà il virus si trasmetteva per via aerea.
Invece di mettersi d’accordo su cosa dire e cosa tenere nascosto, bisognava informare l’opinione pubblica in modo trasparente e responsabile, al meglio delle capacità e conoscenze
Più volte ci è stato assicurato che il covid è partito da un mercato della città cinese di Wuhan e non dal laboratorio di ricerca per malattie infettive di quella città. Ma oggi scopriamo che i funzionari degli Nih erano preoccupati per lo scarso livello di sicurezza e per le attività rischiose condotte nel laboratorio. Nella sua testimonianza, Fauci ha dichiarato che ancora oggi “non esistono prove certe sull’origine del virus”.
Le autorità sanitarie hanno non solo diffuso idee discutibili, ma hanno ridicolizzato chiunque le contestasse. All’epoca i giornali pubblicavano spesso articoli con titoli come “Il dottor Fauci smentisce la teoria complottista secondo cui il coronavirus è stato creato in un laboratorio cinese”. Durante le audizioni è emerso anche che il dottor David Morens, importante scienziato degli Nih, ha cancellato molte email in cui si discuteva dell’origine della pandemia e aveva usato il suo account personale per evitare i controlli.
Mi piacerebbe poter sostenere che tutto questo è solo una dimostrazione di come la scienza si evolva in tempo reale, ma la verità è che le rivelazioni evidenziano arroganza, vigliaccheria e ostinazione. Invece di mettersi d’accordo su cosa dire e cosa tenere nascosto, queste persone avrebbero dovuto informare l’opinione pubblica in modo trasparente e responsabile, al meglio delle loro capacità e conoscenze.
Le loro esitazioni e bugie hanno avuto un effetto devastante sulla vita di molti statunitensi. La decisione di non condividere le informazioni basilari sulla trasmissione del virus ha spinto le autorità a chiudere inutilmente parchi e spiagge, costringendo milioni di persone a tapparsi nei loro appartamenti, magari affollati e scarsamente ventilati. Gli stessi errori hanno ritardato la riapertura delle scuole e portato a sprecare milioni di dollari per comprare barriere di plexiglass, mentre i fondi avrebbero potuto essere usati per acquistare sistemi efficaci per filtrare l’aria. Oggi le spiagge e le scuole sono aperte, ma le conseguenze più dannose di quelle scelte si faranno sentire per decenni, perché hanno spinto le persone a dubitare delle autorità politiche e scientifiche. Se il governo statunitense ha dato informazioni fuorvianti sulla trasmissione del covid, perché mai i cittadini dovrebbero credere a quello che gli viene detto sui vaccini, l’influenza aviaria o l’hiv? Come possono distinguere tra le teorie del complotto e i complotti reali?
Nel febbraio 2020 era già chiaro che stavamo andando verso una catastrofe, ma tutte le persone che capivano la gravità della situazione erano considerate allarmiste
Ho cominciato a occuparmi della pandemia nel febbraio del 2020. All’epoca era già chiaro che stavamo andando verso una catastrofe, ma tutte le persone che capivano la gravità della situazione erano considerate allarmiste, perché in quel momento molti funzionari del sistema sanitario sminuivano la minaccia. Un mese dopo, sconvolta da alcune dichiarazioni ufficiali secondo cui le mascherine potevano essere dannose, ho pregato le autorità di comunicare all’opinione pubblica i potenziali benefici dell’uso delle mascherine invece di preoccuparsi di evitare il panico sulla carenza di dispositivi sanitari. Ho fatto presente che la loro strategia si sarebbe rivelata controproducente. Avevo ragione.
I problemi sulle mascherine mi hanno portata a interessarmi del distanziamento e del dibattito sulla diffusione del virus. “È dimostrato: il covid-19 non si trasmette per via aerea”, aveva dichiarato a un certo punto sui social media l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nonostante si sapesse da tempo che la Sars, causata da un virus simile al covid-19, si trasmette per via aerea. Alcuni scienziati, palesemente frustrati, avevano chiesto ai centri statunitensi per il controllo e la prevenzione della malattie e all’Oms di prendere in considerazione le nuove ricerche.
In seguito ho implorato le autorità di riaprire i parchi (nell’aprile 2020), di parlare dell’importanza della ventilazione e di smettere di prendere di mira le persone che andavano in spiaggia (nel luglio 2020). Mentre facevo le mie ricerche, un sospetto mi perseguitava: che i funzionari di alto livello avessero paura di rivelare la verità o di ammettere di non avere risposte, per timore di spaventare la popolazione.
A tratti le testimonianze al congresso si sono trasformate in un circo, con alcuni parlamentari che hanno cercato di trarne un vantaggio politico. Ma altri hanno chiaramente evitato di affondare il colpo, per non rafforzare la disinformazione che continua a circondare questi temi. Un atteggiamento che evidenzia un fraintendimento molto pericoloso.
La disinformazione non si può sconfiggere solo comunicando in modo corretto i fatti. È indispensabile ottenere e mantenere la fiducia dell’opinione pubblica. Quando è stato il turno di Fauci, il parlamentare Kweisi Mfume ha citato l’esperimento condotto a Tuskegee, in Alabama, tra il 1932 e il 1972, in cui ad alcuni uomini neri malati di sifilide furono negate le cure in modo che i dottori potessero studiare l’evoluzione della malattia. Mfume ha sostenuto che ai pazienti fosse stato iniettato il batterio che causa la sifilide, una falsità che ha fatto nascere una teoria del complotto. Ma questo dettaglio è irrilevante rispetto all’interrogativo sollevato dal parlamentare: le persone vulnerabili possono davvero credere che le autorità le informeranno e le proteggeranno? Durante la pandemia le ricerche hanno rivelato che molti afroamericani erano riluttanti all’idea di vaccinarsi, ma non perché negassero l’esistenza del virus: prendevano precauzioni usando le mascherine ed evitando gli spazi affollati, ma non si fidavano delle dichiarazioni pubbliche degli scienziati sui vaccini. Nel 2021, quando sono andata a Londra, sono rimasta sconvolta dal fatto che in generale le persone non sapessero quale vaccino gli fosse stato somministrato né quando avrebbero dovuto fare il richiamo. I londinesi hanno risposto alle mie domande senza scomporsi, sostenendo che sarebbero andati a farsi vaccinare quando gli avessero dato un appuntamento. Come gli statunitensi, anche loro erano governati da un leader politico che aveva seminato il caos e leggevano continuamente teorie complottiste sui social. Eppure hanno risposto diligentemente a tutti gli appelli del servizio sanitario nazionale, perché negli anni le autorità avevano conquistato la loro fiducia.
È stato lo stesso per me negli Stati Uniti. Quando ho interrotto l’isolamento per lavorare come volontaria in un ambulatorio per i vaccini o quando ho tirato su la manica per farmi vaccinare, ero serena non perché avessi verificato personalmente tutte le informazioni che circolavano sui vaccini, ma perché sentivo di potermi fidare. Ero convinta che i produttori non avessero imbrogliato nei test, che gli scienziati non fossero corrotti e che nessuno avesse nascosto informazioni preoccupanti. Ero sicura che le fiale fossero state riempite nel modo corretto e che l’infermiera mi avesse iniettato il vaccino senza fare errori.
La chiave di tutto era la fiducia, non la conoscenza. Ma proprio quando la fiducia era più indispensabile che mai, è stata compromessa da alcuni funzionari incaricati di gestire la risposta alla pandemia. Durante le audizioni Deborah Ross, parlamentare democratica della North Carolina, ha giustamente sottolineato che “quando le persone non si fidano più degli scienziati, non si fidano più della scienza”. Diversi studi hanno dimostrato che una volta persa la fiducia nelle istituzioni, la popolazione tende a dare credito alle teorie del complotto anche su altri temi.
Gli opportunisti e gli agenti del caos approfitteranno di tutto questo per molti anni, alimentando teorie del complotto e idee bislacche di ogni tipo. L’ultima che ho sentito è che il covid sta compromettendo il sistema immunitario delle persone in modo paragonabile all’hiv. Con quale autorità gli scienziati pensano di poter confutare questa teoria?
Si dice che la fiducia si costruisce lentamente ma si perde in un attimo. Oggi è evidente che serviranno anni per ricostruirla. Spero che la pandemia, come esperienza di vita e come storia riscritta, abbia dimostrato che i messaggi paternalistici sono sempre controproducenti. La trasparenza e la responsabilità, invece, funzionano. Nei più di quattro anni trascorsi dall’avvento del covid-19, abbiamo perso milioni di persone ma anche qualcosa che è difficile da quantificare: la fiducia della popolazione nella scienza e nelle istituzioni sanitarie. Le autorità ne pagheranno inevitabilmente le conseguenze. Purtroppo, però, le pagheremo anche tutti noi. ◆as
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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati