In cinese il nome “baco da seta” (蚕) è composto dal carattere di “cielo” (天) e da quello di “verme” (虫). Quindi significa “verme celeste”. La provincia cinese del Sichuan, un angolo umido e senza sbocco sul mare a est dell’altopiano tibetano, è la più grande produttrice ed esportatrice di seta al mondo: un’industria da miliardi di dollari che nel 2023 ha esportato seta per un valore di cento milioni di dollari. Il suo fiore all’occhiello è la Tianhong Silk, un’azienda privata che lavora con quattromila famiglie locali su 3.200 ettari di campi di gelso e produce più di 150 tonnellate di seta all’anno a partire da 600 milioni di bozzoli, un filo abbastanza lungo da arrivare fino al Sole.
La Tianhong vende alle principali case di moda europee come Louis Vuitton, Gucci e Armani. Nel 2023 è diventata la prima azienda della Cina continentale a ottenere la certificazione Fair trade, cioè a essere giudicata da valutatori europei non solo sostenibile dal punto di vista ambientale, ma anche socialmente equa nei confronti degli agricoltori che forniscono la materia prima. Questo è sorprendente se si considera il ruolo della sericoltura nella storia cinese. Un tempo la seta era privilegio esclusivo degli aristocratici, fungeva da valuta, tributo e status symbol. La sericoltura richiedeva ampie strisce di terra per piantare gli alberi di gelso e manodopera altamente produttiva. In tutte le dinastie imperiali, la produzione della seta era gestita dall’apparato statale: perfino nei primi giorni della Cina comunista, gli agricoltori lavoravano in comuni per soddisfare la richiesta al livello nazionale. Il tessuto ricamato era uno dei doni più preziosi che la giovane repubblica potesse elargire alle autorità straniere. Nella loro visita a Mosca del 1949, per esempio, Mao e la sua delegazione portarono tessuti ricamati, porcellana, giada e avorio.
Ma da quando, negli anni ottanta, il paese ha abbracciato il libero mercato, gli agricoltori hanno preferito le colture commerciali o smesso di coltivare. Il paradosso della sericoltura è che la gente comune raramente indossa la seta. Senza più quote statali da raggiungere e con una bassa domanda interna, molti hanno lasciato i campi per farsi sfruttare nelle fabbriche sulla costa. Un tempo emblematico delle campagne del Sichuan, il verde sconfinato dei boschi di gelsi è andato scomparendo, lasciando radure incolte, vestigia di un’epoca in cui il nostro rapporto con la natura legava la sopravvivenza alle esigenze dello stato.
Quindi, come ha fatto la Tianhong Silk a trovare una nicchia postmoderna per quest’antica tradizione e a riportare alla terra gli agricoltori e il verde, producendo un bene di lusso in modo equo e redditizio? Nel settembre 2023 ho contattato l’azienda e ho chiesto se potevo andare da loro per un kao cha, un termine vago il cui significato spazia dall’ispezione ufficiale al caso di studio accademico. Avevo programmato di trascorrere sette giorni con gli allevatori di bachi per osservare la produzione della seta. Avrei trovato un successo di facciata o la dolcezza e la luce di una tradizione che rinasce?
Giorno 1: il bozzolo
Una distesa infinita di gelsi, alti più di tre metri e uno accanto all’altro. Rami sottili tesi verso il sole, appesantiti da fronde grandi come un palmo con una sfumatura di giallo in cima e un succulento color basilico vicino al gambo. In mezzo a questa distesa verdeggiante, ho intravisto lo scheletro metallico di una bigattiera (locale attrezzato per l’allevamento dei bachi da seta) delle dimensioni di un’arena, arredata con tende, sistemi d’irrigazione, ventole e un ripostiglio pieno di polvere di calcare. Passeggiando al suo interno, sotto le tegole di plastica bianca del tetto c’erano una sorta di letti a castello a quattro piani disposti in cinque file e otto corridoi, stile caserma. Ogni piano, fatto di bambù e largo come un letto, ospitava tremila bachi da seta, che banchettavano su un cuscino di foglie di gelso appena raccolte.
In una settimana ogni baco avrebbe filato un bozzolo dentro cui sognare di diventare farfalla. Al momento, si preparavano banchettando. Il mezzo milione di bachi di questa bigattiera consuma una tonnellata di foglie al giorno. I bachi sguazzavano nel fogliame e l’aria odorava di terra bagnata. Per ottenere la migliore materia prima, la Tianhong ha investito in quell’infrastruttura così da facilitare il lavoro dei fornitori. Dato che guadagnano solo vendendo i bozzoli all’azienda, gli allevatori accolgono qualsiasi sforzo per aiutarli a migliorare la produzione.
Ho accompagnato Hu Qiyong, il responsabile della produzione, durante un’ispezione di routine. Laureato in sericoltura, Hu è giovane e l’azienda lo apprezza particolarmente, perché prima di arrivare qui ha lavorato nel settore in tutta la Cina. Ha fatto un cenno di saluto a Deng Mingyang, il trentasettenne proprietario della struttura che trascina un carro pieno di foglie di gelso insieme ad alcuni operai che si alzavano sulle punte dei piedi per spargerle sui ponti superiori. Cominciano alle quattro del mattino per raccogliere foglie sufficienti per la giornata.
Sotto le tende era buio, così Hu ha puntato una torcia sui bachi: il loro tessuto adiposo aveva riflessi verde giada, grazie alla loro dieta ad alto contenuto di cloroplasti. Hu ha continuato a ispezionare. Se ne avesse trovati più di cinque per piano con difetti di crescita, il lavoro di Deng sarebbe stato valutato insoddisfacente. In quel caso l’azienda avrebbe inviato i tecnici per risolvere i problemi relativi alle pratiche igienico-sanitarie della bigattiera.
Dopo l’ispezione, Hu ha ringraziato Deng e si è allontanato in fretta. Nei quattordici villaggi del distretto di Fucheng, il giovane direttore di produzione aveva altre 334 bigattiere da ispezionare.
Giorno 2: l’incubatoio
Tutti gli allevatori ricevono le loro scorte di bachi dall’incubatoio della Tianhong. Il Cuiqing Zhongxin, letteralmente il Centro per la spedizione del verde, è un edificio in stile sovietico a tre piani. Il suo nome non è puramente metaforico: le uova dei bachi diventano verde scuro pochi giorni prima di schiudersi.
Al primo piano, Jia Yanfang, una manager di mezza età, stava inserendo le cifre in un file Excel. Mi ha detto che il problema principale di chi lavora con quattromila allevatori di bozzoli è distribuire abbastanza larve a tutti. Se tutte le famiglie le avessero ricevute lo stesso giorno, venti giorni dopo i bachi sarebbero stati così famelici che tutti i campi di gelso del distretto di Fucheng messi insieme non sarebbero stati sufficienti a nutrirli; così, da aprile all’autunno, le uova sono covate nei tempi previsti, in quattordici gruppi. Ogni bigattiera in media riceve quattro rifornimenti (ma può chiederne quanti ne vuole).
Dall’altra parte dell’ufficio, Hou Ya, una tecnica sui vent’anni, era al microscopio. Le uova scongelate e inseminate sono spedite da un deposito nazionale (una sorta di banca del seme dei bachi da seta) e arrivano in sottili involucri di plastica contenenti ciascuno 25mila minuscole uova scure che somigliano a perle di gel di silice. Sull’involucro del contenitore era indicata la provenienza: quel giorno aveva una linea paterna con nome in codice Chuanshan (le montagne del Sichuan) e una linea materna con nome in codice Shushui (i fiumi del regno di Shu). Hou ha versato alcune uova in una soluzione di acido cloridrico che ha mangiato il guscio esterno e le ha permesso di determinare al microscopio gli stadi di sviluppo embrionale dei bachi. Quelli del lotto attuale, ha detto, somigliavano più ad acari che a collemboli, il che significava che richiedevano una temperatura ottimale di 25,5 gradi e un’umidità del 78 per cento per schiudersi in quattro giorni. Ho chiesto a Hou come vengono stabilite queste cifre. Mi ha mostrato un manuale di istruzioni pieno di pagine ripiegate: “Per tentativi ed errori”.
In quattro giorni, le piccole larve delle dimensioni di escrementi di mosca sarebbero state trasportate sul loro focolaio dall’incubatoio a 120 stanze di coltivazione sparse in tutto il distretto di Fucheng, dove se ne sarebbero occupati gli operatori specializzati nell’allevamento dei bachi durante le prime due mute (quando sono più vulnerabili alle infezioni) prima di passarli alle bigattiere vicine per altre due mute. La divisione del lavoro consente agli agricoltori di allevare bachi più resistenti in tempi più brevi, a differenza dei sericoltori tradizionali, che devono occuparsi della schiusa, dell’allevamento e spesso anche dell’avvolgimento della seta. Un’infezione virale può diffondersi in una stanza di coltivazione e distruggere decine di bozzoli. L’azienda distribuisce abitualmente a ogni coltivatore il 10 per cento di larve in più rispetto a quelle ordinate. Quando una stanza di coltivazione si guasta, i suoi vicini la riforniscono con il loro surplus per garantire che tutti abbiano abbastanza bachi da allevare.
Interludio: il verde
Il cinese ha due caratteri per verde, entrambi risalenti alle ossa oracolari della dinastia Shang (dal sedicesimo all’undicesimo secolo avanti Cristo). Lü (绿) si riferisce alla tonalità più chiara: quella delle foglie di lattuga, dei campi di gelso e dei bachi da seta ben nutriti. Il carattere contiene il simbolo logografico della seta (丝). I linguisti non concordano sulla sua origine semantica: il simbolo si riferisce ai verdeggianti campi per la bachicoltura, ai bachi da seta, alla lucentezza della seta grezza o al fatto che nell’antichità molte sete venivano tinte con pigmenti di origine vegetale prima della tessitura?
Qing (青), l’altra parola per verde, è più complicata. Può indicare un verde più intenso e descrive le uova di baco da seta più scure che stanno per schiudersi. Trasmette anche la tranquillità e la sublimità spesso associate alla gamma blu dello spettro luminoso. I poeti cinesi chiamano le montagne boscose qing shan, un po’ come i nebbiosi Appalachi negli Stati Uniti si sono guadagnati il nome di Blue Ridge Mountains. Il qing è un colore emotivo, di energia latente e potenziale, come in qing chun, giovinezza.
Giorno 3: le bigattiere
Il reddito familiare annuo degli allevatori di bozzoli della Tianhong è l’equivalente di 21mila dollari, il doppio della media dei colleghi che si occupano delle colture commerciali. Vendono i bozzoli a uno dei sei centri della Tianhong in tutto il distretto di Fucheng. Il giorno della vendita, i tricicli elettrici con secchi pieni di bozzoli intasano le altrimenti tranquille strade di campagna. L’azienda paga l’equivalente di circa dieci dollari al chilo, ma il prezzo esatto è determinato dalla qualità, dopo che i bozzoli sono stati classificati in base a un sistema a venti livelli. I bozzoli grandi, ben formati e incontaminati producono seta di altissima qualità. Per incentivare la qualità invece della quantità, la Tianhong distribuisce bonus ogni stagione non agli operatori che producono di più, ma a quelli che producono i bozzoli migliori. La bigattiera di Deng che ho visitato alla fine della stagione frutterà l’equivalente di diecimila dollari.
In un centro nella municipalità di Jinfeng ho visto un’altra novità: un grande schermo appeso alla tenda che trasmetteva in tempo reale il numero delle transazioni e il livello di ogni venditore: Wang Guohua, 17° livello, 80 chili, e così via. Hu, il giovane direttore di produzione, ha dato al centro una svolta positiva: “In questo modo gli abitanti del villaggio capiscono subito chi è il loro allevatore migliore, così possono imparare da lui”, mi ha detto. Ma non è solo questo. Nessun coltivatore vuole che si sappia che produce bozzoli di basso livello: se il suo lavoro è mediocre “perde la faccia”, e nelle campagne cinesi la faccia è tutto.
Al centro di Jinfeng i bozzoli selezionati venivano scaricati su un nastro trasportatore e fatti passare attraverso un essiccatoio industriale, dove le pupe dei bachi, insieme a eventuali parassiti clandestini, venivano essiccate. Nell’aria aleggiava un forte odore di proteine. Al secondo piano di un magazzino in mattoni rossi, i bozzoli essiccati erano imballati in sacchi di iuta che venivano poi ammonticchiati in pile di due metri. Quando l’ho visitato, il deposito conteneva settecento sacchi, almeno trenta milioni di bozzoli. Hu ha slegato un sacco, provocando un’esplosione di batuffoli pallidi delle dimensioni di palline da ping-pong. Presto mi sono trovato in mezzo a un mucchio di palline di pelo, e mi hanno permesso di spalarle come fosse stata neve. Erano morbide ma non si rompevano. La seta ha una resistenza alla trazione maggiore dell’acciaio: squarciare un bozzolo è più difficile che strappare a metà un elenco telefonico.
Giorno 4: l’avvolgimento
L’impianto di avvolgimento della Tianhong si trova al centro della cittadina di Fenggu, a una quindicina di chilometri a est del distretto di Fucheng. Sono arrivato lì la mattina presto. Dalla scuola media dall’altra parte della strada si sentiva il discorso motivazionale del preside (“Un nuovo semestre, un nuovo impegno…”). A due isolati di distanza, il mercato di carne e verdura era affollatissimo.
L’impianto è stato costruito nel 1979 dall’amministrazione municipale di Fenggu. Le industrie di proprietà del governo locale come questa sono state importanti trampolini di lancio quando la Cina postmaoista è passata dall’economia pianificata al libero mercato. La Tianhong l’ha comprata nel 2012 per passare da esportatrice di bozzoli a esportatrice di seta con una propria fonte di bozzoli. Questo ha avvantaggiato gli allevatori, eliminando la distribuzione (che altrimenti avrebbe tolto una parte dei guadagni della vendita al dettaglio agli impianti di avvolgimento) e garantendo agli agricoltori un profitto maggiore.
Liang Enwei, il direttore dello stabilimento e responsabile dei suoi 120 dipendenti, mi aspettava al cancello. È un uomo bruno anziano con la testa quasi rasata che all’inizio sembrava un po’ burbero, ma si è mostrato disponibile e mi ha dato molte informazioni. Liang è entrato a lavorare nell’impianto nel 1986 come separatore di gusci e ha fatto carriera. Mi ha mostrato come i bozzoli diventano seta.
Siamo partiti dalla banchina di carico, poi ci siamo fatti strada attraverso il separatore (la vecchia mansione di Liang ora è automatizzata), la stazione di controllo qualità, la caldaia e l’hangar con macchine avvolgitrici delle dimensioni e della forma del nastro trasportatore di un sushi bar. Sessanta braccia robotiche raccoglievano i bozzoli scivolando attraverso rivoli di acqua bollente, e li srotolavano come yo-yo. Le impurità dei fili di seta di tanto in tanto ostruivano il fuso, e i fili dovevano essere spezzati e riattaccati manualmente da operaie in grembiule che volteggiavano intorno alle grandi macchine alzando le braccia e riattaccando i fili a mezz’aria come fate che lanciano incantesimi. L’impianto è di un diverso tipo di verde: quello delle tute mimetiche del complesso militare-industriale dell’era sovietica, un ricordo delle sue origini socialiste. I pannelli di legno sono verde oliva, come le sedie, le porte e i telai delle finestre. Le parti in acciaio – i paralumi, le bobine, i secchi che trasportavano i bozzoli – sono dipinte di verde avocado. Secondo alcuni, quelle vernici erano un residuo degli aiuti sovietici degli anni cinquanta.
I fili srotolati venivano avvolti attorno a fusi e intrecciati in matasse in una stanza illuminata accanto a quello che doveva essere il feticcio più importante di tutta la fabbrica: due barre di ferro lucide e lunghe come bacchette usate fin dalla fondazione dell’azienda, mezzo secolo fa. Quando siamo entrati, un uomo e una donna si sono alzati in piedi e hanno fatto quasi un saluto militare. “Mostrategli come funziona il lavoro!”, ha ordinato Liang, e ognuno di loro ha afferrato un’estremità dell’asta di ferro e cominciato a torcere la matassa di seta come se stesse impastando il pane. La coppia lavorava in perfetta sintonia, e lì ho visto la lucentezza verdastra di una matassa di seta, che ondeggiava tra le mani dell’uomo e della donna, più compatta dell’oro, più lucida dell’argento.
Hanno poi piegato insieme quattro matasse e le hanno messe sotto una pressa meccanica. Le matasse formavano un primo strato e sette strati compressi venivano accuratamente avvolti insieme. Liang ci ha attaccato un’etichetta: “Seta arcobaleno Tianhong”. Questo lotto di seta pesava cinque chili, proveniva da 20mila bachi da seta ed era lungo quanto due volte la costa orientale degli Stati Uniti. Era pronto per l’esportazione.
Ho chiesto a Liang cosa pensasse del passaggio dell’impianto da industria di proprietà municipale che non vendeva mai all’estero ad azienda privata che produceva esclusivamente per l’esportazione. La privatizzazione e l’esportazione li hanno costretti a produrre seta migliore? Liang è sembrato offeso dalla mia domanda. “No”, ha risposto, “abbiamo sempre prodotto seta di altissima qualità”.
Nuovo interludio sul verde
Qing è il colore che rappresenta la storia cinese. Il qing tong, il bronzo verde, è tipico delle testimonianze più importanti delle prime civiltà cinesi. Gli antichi manufatti in bronzo verde derivano la loro colorazione dall’ossidazione delle leghe di rame. Uno dei siti più importanti dei reperti in qing tong è Sanxingdui, a sessanta chilometri dal distretto di Fucheng. I suoi scavi hanno portato alla luce migliaia di maschere, elmi e gioielli in bronzo verde elegantemente intagliati e ornati in uno stile simile a quello di Klimt, nonché una statua alta due metri e mezzo risalente al dodicesimo secolo avanti Cristo. Molti ipotizzano che la civiltà Sanxingdui fosse il leggendario regno di Can Cong, un semidio storicamente venerato dagli abitanti del Sichuan, e che la statua fosse un tributo allo stesso semidio.
Il nome Can Cong significa “siepe dei bachi da seta” e i sichuanesi credono che sia stato lui a inventare la sericoltura. Nel giugno 2022 gli archeologi di Sanxingdui hanno scoperto un altro sorprendente manufatto in qing tong: un setaccio delle dimensioni e della forma di un guscio di tartaruga. Un esame più attento ha rivelato tracce di seta sullo strumento, facendo pensare che fosse usato come contenitore. Una conferma che nel Sichuan la sericoltura esiste da tremila anni.
Giorno 5: i campi
Il quartier generale della Tianhong è un parco nelle campagne del distretto di Fucheng, composto da uffici, una sala espositiva piena di ricami, una pensione (dove ho dormito, per la prima volta nella mia vita, sotto una coperta di seta), un laghetto con dei pesci, una mensa per il personale e dieci ettari di gelsi. Questi gelsi sono della varietà che produce frutti dolci e succulenti adatti al consumo umano, ma con foglie troppo dure per i bachi.
Ogni anno, a maggio, la sede apre le porte al pubblico, invitandolo a conoscere la produzione della seta e a raccogliere i gelsi. Le foglie sono essiccate per preparare il tè, che ha un retrogusto dolce tra il tè verde e il gelsomino. In inverno, gli alti rami di gelso vengono tagliati e usati per coltivare funghi orecchioni. Grazie a queste attività marginali, l’azienda è sopravvissuta alla crisi finanziaria del 2008, quando il prezzo della seta grezza è sceso del 30 per cento il giorno dopo il fallimento della Lehman brothers, senza un centesimo di aiuti statali.
Dietro il quartier generale c’è una collina boscosa. Mi sono svegliato con gli schiamazzi delle garzette. Fuori della mia finestra, nell’aria nebbiosa del mattino, gli aironi tornavano dalla ricerca di cibo: angelici puntini pallidi che attraversavano la distesa smeraldina di pini e campi di gelsi, è un reticolo di qing e lü, la sfumatura chiara e scura del verde. “Non possiamo usare pesticidi sui gelsi”, mi ha spiegato Xue Yi, vicedirettrice della Tianhong e figlia della fondatrice.
Come molti figli dei nuovi ricchi dell’imprenditoria cinese, ha studiato e lavorato negli Stati Uniti (laureandosi in ingegneria informatica), ma è tornata a casa per lavorare nell’azienda di famiglia. Fedele alla sua educazione americana, ha insistito sulle virtù dell’agricoltura biologica: “Quando mia madre ha trasformato i campi coltivati in campi di gelso, gli uccelli sono tornati perché non usiamo pesticidi”. E io, fedele alla mia professione di ecologo, ho sottolineato che anche l’abbondanza di larve nella zona probabilmente ha contribuito.
Xue mi ha parlato della politica del governo nota come “trasferimento dei terreni”. All’inizio degli anni 2000, erano partiti così tanti contadini per andare a lavorare nelle fabbriche sulla costa che le fattorie dell’entroterra erano rimaste incolte. A quel punto il governo ha permesso alle aziende private di stipulare contratti di locazione con gli agricoltori per lavorare i terreni incolti introducendo un’agricoltura “modernizzata”.
La Tianhong ha preso in affitto ampi appezzamenti di terreno agricolo per costruire bigattiere e piantare alberi di gelso in tutto il Fucheng. Quando alcuni agricoltori tornarono ai loro villaggi dopo anni di lavoro sulla costa, le terre resuscitate e vibranti di lü li spinsero a diventare (o a tornare a essere) allevatori di bachi, il tutto mentre continuavano a riscuotere l’affitto dai loro contratti di “trasferimento”. Quella politica ha attirato anche chi non possedeva terreni, perché ha consentito di subaffittare un terreno adatto alla sericoltura per avviare una bigattiera.
Quel giorno ho fatto un’escursione da solo nel distretto di Fucheng. Senza preavviso, sono entrato in sei impianti, quattro di proprietà di agricoltori più anziani e due di affittuari fra i trenta e i quarant’anni. Ero lì per fargli una semplice domanda: si guadagna bene? Ma per loro era difficile aprirsi con uno sconosciuto, figuriamoci poi parlare di soldi. Le nostre conversazioni cambiavano inevitabilmente direzione: due anziani si sono amorevolmente indicati a vicenda come “l’unica persona in grado di rispondere alle domande”, un modo educato per dire che nessuno dei due voleva parlare con me. Un certo signor Zhao mi ha scambiato per un tecnico dell’azienda e mi ha chiesto di insegnargli come inviare video con data e ora georeferenziati per le ispezioni sanitarie da remoto. Un altro, di nome Jia, i cui figli vendono immobili in città, ha detto di aver avviato la sericoltura “solo per mantenere in movimento le vecchie ossa”. A fine giornata sono giunto alla conclusione che in un’economia libera non farebbero quel lavoro se non ci fosse da guadagnare.
All’imbrunire, perso tra il mosaico di campi coltivati, stagni e gelsi, ho inviato un messaggio a Hu per dirgli dov’ero. La raccolta del riso stava volgendo al termine. I cani inseguivano le oche attraverso le risaie bagnate. Il sole, cupo e luccicante, scendeva dietro le colline coperte di pini. Una classica scena da qing shan lü shui, ho pensato, una frase la cui poetica si perde del tutto nella traduzione, che sarebbe più o meno “le montagne verdi e le acque verdi”. Ho avuto quindici minuti per crogiolarmi nell’ineffabile romanticismo bucolico prima che Hu mi venisse a prendere con la sua Škoda. “Si è allontanato molto, signore!”, ha esclamato. “L’anno prossimo le procurerò una bicicletta!”.
Questa scoperta ha confermato che nel Sichuan la sericoltura esiste da tremila anni
Giorno 6: il maggiordomo
Quando ho incontrato Yang Huijun, la fondatrice della Tianhong era vestita con una sciarpa di seta e grandi occhiali da sole: elegante, minuta e grintosa, come in un film di Wong Kar-wai. Yang mi ha raccontato com’è nata la sua azienda: nel 1984, dopo aver studiato sericoltura in una scuola professionale, è stata assegnata alla stazione di vendita al dettaglio di bozzoli di proprietà del comune di Fucheng, dove ha lavorato come “tecnica di collegamento” per le famiglie che allevavano bachi da seta. Diciassette anni dopo, quando la produzione locale è entrata in crisi e gli agricoltori stavano abbandonando le loro terre, è stata nominata direttrice dell’azienda. Il governo le ha chiesto se poteva ristrutturarla come impresa privata, ispirandosi alla perestrojka di Gorbacëv, un eufemismo per indicare la privatizzazione. Nel 2001 Yang l’ha registrata come Tianhong Silk.
Pensavo che il perfetto tempismo della metamorfosi della ditta da impresa municipale in fallimento a esportatrice globale fosse stato fortuito, un esempio della modernizzazione cinese di fine secolo, quando il governo cercava di incoraggiare l’uso del territorio con generosi tagli fiscali e politiche flessibili.
Ma Yang non era d’accordo con me: ricordava i suoi primi giorni da tecnica della sericoltura e attribuiva il successo dell’azienda al suo legame con le varie famiglie. Se un’impresa municipale aveva deluso i suoi fornitori, Yang voleva costruirne una privata di cui potessero fidarsi. Questo non era facile in un mercato volubile caratterizzato da lunghe catene di approvvigionamento, soprattutto quando si trattava di qualcosa di volatile come milioni di schizzinosi mangiatori di foglie che potevano soccombere al minimo disagio. Senza il sostegno di un apparato statale, gli agricoltori non se la sentivano di portare avanti la tradizione, e Yang li capiva.
Molte delle decisioni sulla gestione dell’azienda – la separazione delle fasi di allevamento dei bachi da seta, la fornitura gratuita di strutture e scorte e i sistemi trasparenti di determinazione dei prezzi – avevano senso ai fini della sicurezza economica. Pensavo anche che non ci fosse un’unica ragione per la rianscita della sericoltura, ma piuttosto una serie di motivi pratici, quelli che chiamiamo kaizen, piccoli miglioramenti come controllare se ci sono più di cinque larve malate in un gruppo di tremila.
I distretti vicini a Fucheng conducevano regolarmente irrorazioni aeree di pesticidi. Alcuni aerosol si erano inevitabilmente depositati sugli alberi di gelso di proprietà dei coltivatori di bozzoli, sterminando i bachi da seta. La prima volta che è successo, mi ha detto Yang, ha risarcito di tasca sua tutti gli agricoltori colpiti. Poi ha collaborato con l’amministrazione locale per istituire un fondo assicurativo contro la contaminazione da pesticidi.
Più tardi, all’inizio della pandemia, quando il commercio internazionale è crollato, Yang ha preso un prestito da dieci milioni di dollari, il primo che avesse mai dovuto chiedere, per garantire che la Tianhong potesse continuare ad acquistare bozzoli prodotti dai suoi agricoltori, indipendentemente dalla diminuzione delle entrate. Yang crede che siano questi i motivi per cui molti sono tornati alla sericoltura. Mi ha detto di non essere stata lei a contattare i marchi di moda europei. La notizia della sericoltura di Fucheng si è diffusa con il passaparola. Quando i marchi di lusso si riforniscono di seta, ha riflettuto, di solito “si rivolgono a imprese tradizionali”. Quella tradizione sembrava essersi estinta. Una tradizione che sfrutta la capacità di trasformazione dei bachi da seta: il verde dentro, la seta fuori. Qui, nella patria della sericoltura, Yang ha trascorso la sua giovinezza, qing chun, e l’ha riportata in vita.
Interludio sul regno di Shu
L’antica Cina (intorno al quarto secolo avanti Cristo) era costituita da decine di regni in guerra tra loro, ognuno con i propri costumi unici e non dissimili dalle città-stato dell’antica Grecia. Il regno nell’attuale Sichuan si chiamava Shu, e la sua gente credeva di discendere dal pioniere della sericoltura Can Cong (o, più probabilmente, dalla civiltà Sanxingdui di ottocento anni prima). Il carattere che rappresentava il regno Shu (蜀) comprendeva quello di “verme” (虫).
Anche se nel 221 avanti Cristo l’imperatore Qin Shi Huang aveva incorporato il regno nell’antica Cina unificata, la sericoltura era sopravvissuta. La seta era l’abbigliamento preferito dei ricchi, in Cina e in tutta l’Eurasia. Durante la dinastia Han (206 avanti Cristo-220 dopo Cristo) la seta del Sichuan era commerciata lungo la via della seta, fino alla Persia e a Roma.
Un secondo regno di Shu fu ristabilito nel 221 dopo Cristo. La capitale, Chengdu (oggi metropoli di 20 milioni di abitanti), era chiamata Jin Guan Cheng, città della seta e il fiume che la circonda, lo Jin Jiang, il fiume della seta. Nel 263 dopo Cristo, un esercito entrò dal nord del Sichuan, superando il distretto di Fucheng, e conquistò il rinato regno di Shu. Quando stavo pianificando la mia visita da Chengdu a Fucheng, ho notato che il treno veloce che attraversa il nord del Sichuan ha il prezzo fissato in modo permanente a 263 yuan (circa 37 dollari), per commemorare l’anno della capitolazione di Shu.
◆ La produzione della seta è contestata perché implica la morte dei bachi. La seta è la fibra che i bachi tessono per creare i bozzoli che li proteggeranno prima di diventare farfalle. Nella fase della raccolta dei bozzoli, questi vengono immersi in acqua bollente o gasati per uccidere i bachi. Alcune aziende producono la cosiddetta seta non violenta, derivata da bozzoli raccolti dopo la fuoriuscita della farfalla. Per uscire dal bozzolo la farfalla taglia la seta, che quindi è più difficile da filare e il filo che se ne ricava è più spesso e irregolare. Secondo l’associazione per il trattamento etico degli animali Peta, anche i produttori della seta non violenta possono causare sofferenza ai bachi non nutrendoli adeguatamente o forzandone l’uscita prematura dai bozzoli. Ani Newss
Nella storia del Sichuan, non meno di sette regni Shu si sono succeduti durante i periodi di dissoluzione dinastica della Cina. L’allevamento dei bachi da seta rappresenta l’identità culturale che i sichuanesi hanno mantenuto in tempi di caos.
Giorno 7: la notte
Mi ero unito a quindici braccianti nel cortile di Guo Xiaobin per una cena a base di panini al vapore e stufato di carne. Mezz’ora dopo, Guo ci ha chiamati e ci ha portati nella bigattiera. Dentro, tutte le luci erano accese e sembrava giorno. Nelle bigattiere di solito c’è una sorta di rumore bianco simile a una pioggerellina costante – milioni di mandibole che masticano foglie, un suono a cui mi ero abituato nell’ultima settimana – ma quella sera c’era uno strano silenzio. Le larve avevano smesso di mangiare, ma non erano meno agitate. Alcune si erano spostate in un angolo del loro ponte e avevano cominciato a filare una tenda di seta.
Abbiamo tirato fuori centinaia di impalcature di bambù dal magazzino, ognuna delle dimensioni di una grande scacchiera, intrecciate in quattordici file e colonne. Lavorando insieme, abbiamo impilato venti impalcature per formare una grande colonna e abbiamo appeso due colonne in cima a ogni gruppo di bachi da seta. Dal punto di vista delle larve, le due colonne che le sovrastavano dovevano sembrare astronavi, con 196 piccoli cubicoli che le invitavano a salire a bordo. Quella notte abbiamo raccolto circa un milione di bachi da seta e li abbiamo messi ciascuno nel suo cubicolo, dove avrebbe filato i suoi bozzoli ovali senza scontrarsi con i vicini. Se fossimo stati troppo lenti, le larve avrebbero cercato di impuparsi sul ponte, se avessimo fatto troppo in fretta avremmo rischiato di danneggiarle.
“Attenti, attenti!”, ha gridato Guo che controllava il nostro lavoro. Pensando che fossi l’ultima recluta dell’azienda, si è fermato di fronte a me e ha raccolto una manciata di larve. “Guarda qui”, ha detto, “queste sono larve buone! Bao bei!” Questo termine ha due significati: tesoro, quando si riferisce agli oggetti, e amore, quando si riferisce alle persone. A due ore dall’inizio del turno di notte, i lavoratori avevano preso a scherzare per tenere alto il morale. “Li, sei così lenta!”, ha gridato Ma. “Mangi un sacco di panini al vapore, ma lavori lentamente!”. E Li ha ribattuto da sei corridoi di distanza: “Sono sicura di non essere veloce come te! Sei svelta come con gli uomini!”. E tutti hanno riso fragorosamente. “Basta, basta, tornate al lavoro,” ha ordinato Guo, incapace di trattenere la risata.
Vermi celesti
Tianhong (天虹) significa “arcobaleno celeste” e pensavo che l’azienda fosse stata chiamata così per pubblicizzare la sua seta di prima qualità. Durante la stesura di questo articolo, ho scritto i suoi caratteri dall’alto in basso, e sono usciti i simboli di “cielo” (天), “verme” (虫) e “operaio” (工). Ricombinandoli si ottiene “operaio del baco da seta” (蚕工). Ho mandato un messaggio a Xue, la figlia della fondatrice, per chiederle se era questo che sua madre aveva voluto dire. “Lei pensa che lavoriamo solo per questi vermi celesti”, mi ha risposto. ◆ bt
Zhengyang Wang è uno scrittore e biologo della conservazione.
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Questo articolo è uscito sul numero 1588 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati