Qualche anno fa, un’amica e io abbiamo scritto insieme una poesia, scambiandoci messaggi. Stavo finendo il mio libro, The minotaur at calle Lanza, e mi svegliavo all’alba perché soffrivo d’insonnia. Non ricordo come lei sapesse che non dormivo, ma mi ha mandato un messaggio: “Che ci fai sveglio, Minotauro?”. Da quello scambio e dal suo prendermi in giro per il fatto che ero sempre chiuso nel mio appartamento abbiamo composto una poesia su cosa ci sarebbe stato nel mio labirinto, se fosse esistito.

Al suo interno, che avrebbe avuto pareti spaventosamente alte ma aperte verso il cielo, abbiamo messo molti specchi tagliati con angoli spiazzanti. Questi specchi avrebbero impedito di vedere bene le svolte e ci sembravano indispensabili dal momento che è possibile creare un labirinto anche solo con due specchi. Inoltre, il proprio riflesso può essere una sorta di labirinto narcisistico. Naturalmente ci sarebbero state delle volpi. Un corvo. E una donna, un fantasma, che cammina troppo veloce per essere percepito. Ho anche specificato che nel mio labirinto doveva esserci un colibrì.

Sono gli uccelli più piccoli al mondo. Possono volare in avanti, indietro, in alto, in basso e a zig zag. Sbattono le ali più velocemente di qualsiasi uccello, fino a cinquanta volte al secondo

I colibrì sono creature meravigliose. Ha scritto Katherine Rundell nel suo saggio del 2022 Consider the hummingbird (Considerate il colibrì):

Non c’è nulla che io ammiri di più dell’evoluzione. Ma non riesco a immaginare, più che per qualsiasi altro essere vivente, che i colibrì siano nati come archeobatteri nella melma primordiale e abbiano faticato milioni di anni per sviluppare le loro ali luminose. Sembrano la creazione di un istante, la scintilla di genio di un dio stravagante.

Sono gli uccelli più piccoli al mondo. Se ne conoscono 366 specie: la più piccola è il colibrì ape, che misura circa cinque centimetri, e la più grande è il colibrì gigante, lungo circa 23 centimetri. La maggior parte vive ai tropici, soprattutto in America Centrale e del Sud, ma negli Stati Uniti ci sono circa diciassette specie. Hanno lunghi becchi appuntiti, possono volare in avanti, indietro, in alto, in basso e a zig zag. Sbattono le ali più velocemente di qualsiasi altro uccello, fino a cinquanta volte al secondo, rispetto alla dimensione del corpo hanno il cuore più grande di tutti gli altri animali, e la frequenza cardiaca è tra i 500 e i 1.200 battiti al minuto, secondo The humming­bird handbook (Il manuale del colibrì, 2021) di John Shewey. Quando si trova in uno stato di sonno profondo, o per risparmiare energia, può rallentare la frequenza cardiaca fino a cinquanta battiti al minuto, riducendo il suo metabolismo del 95 per cento. Nel 2022, alcuni ricercatori dell’università di Yale hanno pubblicato uno studio sulla gamma di colori del piumaggio dei colibrì, che “supera la diversità cromatica riscontrata in quello di tutte le altre specie di volatili messe insieme, aumentando il totale delle tonalità di piume visibili agli uccelli del 56 per cento”.

Questo spettro di colori e luminosità è particolarmente ipnotico se lo si osserva con il sole alle spalle, perché così le piume scintillano in tutta la loro bellezza. Ma può valere anche il contrario, con il sole alle spalle del colibrì. Un progetto del fotografo Christian Spencer ritrae gli uccelli davanti al sole, ricordando un’eclissi. Con il corpo e i contorni oscurati, le ali si distendono come minuscoli prismi attraverso cui filtrano magnificamente una miriade di colori diversi.

Secondo un’antica leggenda maya, riportata in The way of the hummingbird (La via del colibrì, 1986) di Virginia C. Holmgren, questo uccello fu creato quando il grande dio maya si accorse di avere degli scarti di piume grigie, un becco lungo e sottile e ossa e muscoli avanzati dopo aver creato tutti gli altri tipi di uccelli. Allora prese tutto il materiale che aveva tra le mani, gli diede forma, aggiunse il becco e gli infuse il dono della vita. Quando il dio lo liberò, il colibrì volò sopra le sue dita così velocemente che le sue ali producevano un ronzio. Così il dio lo chiamò Dzunuume, o “il ronzante”. Desiderando una compagna per il ronzante, il dio usò i suoi poteri magici per raccogliere materiale simile e creare un secondo pennuto. Poi gli chiese di sposarsi e di vivere felici. Gli altri uccelli, sentendo parlare di matrimonio, vennero a portare doni per celebrarlo e un fringuello, allietato dall’evento, esclamò che tutto sarebbe stato davvero meraviglioso per la bella moglie e l’affascinante marito, ma si trattenne dal definirli i più belli, perché in quel momento erano solo opachi e grigi.

Poiché tutti gli uccelli erano dispiaciuti per il colorito spento dei colibrì, il quetzal dalla coda lunga fu il primo a porgere in dono i suoi colori, chiedendo loro di staccare delle piume verdi dalla sua coda. Poi fu la rondine verde-viola a offrire il suo piumaggio. Anche il fringuello regalò le sue piume rosse. L’ultima aggiunta non furono piume: il sole stesso spuntò da dietro una nuvola per dichiarare i due colibrì marito e moglie e, come benedizione, gli scagliò i suoi raggi sul collo, “facendo balenare le piume rosse e oro sulla gola, come una fiamma danzante”.

I nomi del colibrì sono tanti quanti i racconti, le storie e le poesie che lo riguardano: spirito del cielo, uccello del nettare, uccello del tabacco, uccello che porta la vita, uccello del dio Sole, piccolo portatore di pioggia, piccolo donatore di vita, uccello medicina, il dorato dal sole, uccello con la faccia dipinta dal sole, uccello d’oro dalla gola di fuoco, il fluttuante, il resuscitato, uccello ape, lucciola, piccolo uccello medico.

D.H. Lawrence scrisse: “Nel mondo in cui il colibrì scintillava prima della creazione / credo che pungesse le lente vene vegetali con il lungo becco”. Huītzilōpōchtli, il nome del dio del sole e della guerra nella religione azteca, è tradotto come il colibrì mancino o il lato sinistro del colibrì.

Verso la fine dell’opera teatrale di Aimé Césaire La tragedia del re Christophe, del 1963, il re si rivolge così a un paggio:

Congo, ho guardato spesso

l’impetuoso colibrì nel fiore della datura e mi sono chiesto come un corpo così fragile possa contenere quel cuore martellante senza scoppiare.

Africa, risveglia il mio sangue con il tuo grande corno.

Spalancalo come un uccello gigante.

Ah, gabbia del mio petto, non scoppiare.

Battete, tamburi del mio cuore.

Nell’introduzione a Il grande camuffamento. Scritti di dissidenza, una raccolta di saggi pubblicati tra il 1941 e il 1945 da Suzanne Césaire (allora moglie di Aimé), il curatore Daniel Maximin ricorda come Aimé paragonasse la moglie e il suo spirito a quello del colibrì. E nel saggio che dà il titolo al libro, Suzanne torna a quell’immagine per descrivere se stessa e le altre donne delle Antille: “Le donne-colibrì, le donne-fiore tropicali, le donne di quattro razze e decine di stirpi”.

Non stupisce che questo uccello – un volatile alle origini della creazione, che porta la vita e il sole, che rappresenta il cuore rivoluzionario degli uomini e delle donne delle Antille – sia finito in una poesia, la mia. Ma che finisca nel labirinto di un minotauro è davvero strano.

Suscita sempre una certa distanza parlare in generale di animali o di persone, piuttosto che di individui. E credo che tutti coloro che hanno scritto e ammirato il colibrì abbiano in mente un uccello in particolare, da cui è derivata un’idea più ampia. Un colibrì a cui ripensare come “il mio colibrì”.

Il mio colibrì era un brillante esemplare color smeraldo, visto a Los Angeles ormai quasi quattro anni fa. Avevo osservato e mi ero avvicinato ad altri colibrì prima di allora, ma questo, per le circostanze di tempo e di luogo, è quello che mi torna sempre in mente.

Mi trovavo nella dépendance di un amico davanti alla spiaggia. La pandemia imperversava, una promettente relazione era appena finita e io ero solo. In preda alla tristezza, non riuscivo a scrivere o a fare molto altro se non camminare e cercare di leggere. Avevo in mente di lavorare a un libro, ma era più difficile del previsto. Non avevo nessuno con cui stare, nessun amico intorno per buona parte del tempo e non riuscivo a trovare conforto nella letteratura: era una solitudine improvvisa e straniante che mi aveva sconvolto.

Cercando comunque di lavorare, ho trovato nella dépendance uno studio da cui si vedeva l’oceano. C’era anche una terrazza, perfetta per rimuginare a tarda notte.

La prima mattina sono arrivato con libri e penna, pronto a sconfiggere il blocco della lettura e della scrittura. Quando mi sono affacciato per dare uno sguardo all’acqua e cogliere la sensazione rinfrescante che trasmette, ho colto un lampo di luce verde che si stagliava contro il muro di foglie. Ho aperto la finestra, sono uscito sul balcone, e ho spalancato gli occhi e la bocca per l’eccitazione. Era l’uccello più piccolo che avessi mai visto, con il corpo verde brillante e la fronte e il collo rosati.

Sono rimasto a osservare questa minuscola creatura, finché non ha trovato quello che stava cercando ed è volata via.

Il giorno dopo sono andato in studio presto, sperando di rivederlo. Non ci è voluto molto prima che il colibrì si presentasse di nuovo. In breve è diventata una routine, la cosa che aspettavo con trepidazione ogni mattina. A volte l’uccello si allontanava, esplorando le piante, gli alberi, i fiori e le siepi circostanti, ma riuscivo sempre a notarlo appena la luce si rifletteva sulle sue piume o cercavo con lo sguardo qualcosa che sembrava non riuscire a stare fermo.

Spesso, quando incontriamo una presenza nel mondo, questa, da singola realtà fisica, diventa un ricordo e poi un significato. Un’idea. In quel momento il colibrì verde è diventato la compagnia di cui non sapevo di aver bisogno. Trascorrevamo le mattine insieme e, dopo che se n’era andato per la sua strada, leggevo e scrivevo.

Ho cominciato a dare al mio colibrì nomi e significati propri. Uccello di giada. Uccello dell’amore perduto. Uccello della rinascita. Un amico. Il portatore di sole. Il donatore di vita. Uccello del mattino. Colui che cura la solitudine. Una piccola presenza che ha trasformato il carattere delle mie giornate. Uno spettacolo da contemplare per ricordare la meraviglia della natura e del mondo, nel bel mezzo di una catastrofe.

Circa un anno fa, ho raccontato questa storia a un’amica di origini ispaniche. Le ho detto che un giorno fuori casa mi sarebbe piaciuto avere un abbeveratoio per colibrì. Lei era d’accordo: una casa visitata dai colibrì o dalla quale si può guardare fuori e scorgere questi piccoli esempi di perfezione è una buona casa. Al tempo non sapevo che i colibrì hanno significato molto anche per lei, nella sua cultura. Una settimana dopo, ho ricevuto una sua lettera, con un bellissimo messaggio sulla nostra amicizia e sulla bellezza dell’amore e dei nuovi inizi, a cui aveva attaccato una piuma di colibrì. ◆ svb

Zito Madu è uno scrittore statunitense nato in Nigeria. Questo articolo è uscito sul periodico culturale statunitense Plough magazine con il titolo Hummingbirds are wondrous.

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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati