La fabbrica del panico è un libro scritto da Stefano Valenti e pubblicato da Feltrinelli nel 2013. Ha vinto il premio Volponi opera prima. Eccone alcune pagine.
Mio padre lavorava nel reparto attiguo al mio, ha dichiarato Lorenzo il giorno dell’udienza. Il reparto aste. Grembiule d’amianto, guanti lunghi d’amianto e coperta d’amianto a coprire l’asta incandescente. La coperta, che riparava dalle scintille e dal calore, dopo due o trecento aste era a brandelli e doveva essere cambiata. Guanti e grembiule li riponeva tutte le sere con cura nell’armadietto e li ritrovava la mattina, fin quando erano tutti bruciati. Solo in quel caso li sostituivano. Sono stati la polvere d’amianto, le esalazioni degli acidi e il fumo della saldatura respirato in reparto. Ha detto Lorenzo Gli hanno diagnosticato un tumore al polmone a mio padre, un tumore con metastasi al cervello. Il tumore lo hanno scoperto in ospedale. Lo hanno aperto e subito richiuso. No, nessuna mascherina, ha detto Lorenzo. Mio padre lavorava con gli occhiali da saldatore. E quando il fumo era troppo aprivano il portone e facevano uscire il fumo. Sì, ha detto, anch’io ho lavorato in quella fabbrica, ma in un altro reparto. Mio padre è morto sette anni fa.
Operaio addetto alle lavorazioni a caldo, reparto forgia, trent’anni di fabbrica. Cesare è testimone al processo. Ha lavorato anche in saldatura. Gli operai di quel reparto andavano a volte a lamentarsi con lui, che era delegato sindacale. No, ha detto Cesare al giudice, prima degli anni ottanta non esistevano aspiratori in reparto e allora aprivamo il tetto. Era l’unico modo per liberarsi dalla polvere d’amianto. E non solo di quella, ha detto Cesare, tant’è vero che dopo alcune ore di lavoro l’aria diventava irrespirabile. E allora capitava che gli operai uscissero e non tornassero in reparto fin quando la nebbia non diradava, e a quel punto il capo del personale chiamava il rappresentante sindacale e diceva che, certo, stavano studiando il modo di mettere gli aspiratori, ma che dovevamo avere pazienza e che il problema era anche economico, che mettere gli aspiratori era un impegno finanziario, e che se all’azienda costava troppo, dicevano, allora la proprietà poteva anche andare a produrre da un’altra parte.
Scende una pioggerellina gelata, il giorno della sentenza. L’aula è stracolma. Il giudice stabilisce il non doversi procedere per intervenuta prescrizione a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche nei confronti di nove dirigenti alla sbarra chiamati a rispondere dell’omicidio colposo di un operaio. E altri tre sono stati assolti. Il processo è durato un anno. Il Comitato e gli operai srotolano due striscioni. LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI (GLI OPERAI). UCCISI DUE VOLTE: DAI PADRONI E DAI GIUDICI. L’altro, FABBRICA, SESSANTA MORTI PER AMIANTO, DECINE DI MALATI. LA MAGISTRATURA ASSOLVE I PADRONI. Mi metto in un angolo in attesa. Mi sento un estraneo in quel mare di capelli grigi, di abiti della festa, di lutto portato con dignità. Non reagisco alla sentenza. Ho un moto di ribellione solo quando un poliziotto in borghese spintona un anziano che tiene lo striscione. Un operaio affronta il questurino e, alzato il maglione, si sbottona la camicia. Mostra le cicatrici delle operazioni, le tracce lasciate dall’amianto sul suo corpo, e invita il poliziotto a colpirlo. La consolazione è che mio padre sia morto, che non fosse presente al momento della lettura della sentenza. Sapere che è morto senza queste immagini impresse nella memoria, senza aver ascoltato le parole del giudice. Scendiamo ordinatamente l’enorme scalone. Resto in disparte. E infine anch’io sono dietro lo striscione di un improvvisato corteo. La pioggia adesso è più intensa.
È Cesare a chiudere l’assemblea, un’assemblea, dice, che ricordi ancora una volta gli operai, tutti gli operai morti di fabbrica, e in particolare gli operai del reparto aste della Breda fucine, morti a causa dell’amianto, come ha stabilito il processo, nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche ai responsabili e la sopravvenuta prescrizione del reato. È in corso una strage nelle fabbriche del paese, dice Cesare, una strage di innocenti che non contano niente davanti al denaro, davanti ai tribunali. Ma vedere il giusto e non farlo non è forse mancanza di coraggio? Che i nomi dei morti risuonino sulle labbra dei giusti, dice infine Cesare, e comincia a elencare le vittime dell’amianto in Breda prendendosi tutto il tempo necessario. Che questi nomi, dice Cesare, nomi di uomini mandati a morire a mani nude contro un nemico risoluto, restino in eterno nel cuore degli onesti, in modo che chi oggi non è al nostro fianco un giorno se ne rammarichi. E che questi nomi siano tramandati ai nostri figli. Si racconti loro che un tempo in questa città viveva una razza umana destinata a fare da concime al terreno del capitale e a creare la ricchezza di alcuni più che di altri. Poiché pretendono che li dimentichiate. Siate fieri di quello che sono stati. Operai.
Stefano Valenti è un traduttore e scrittore italiano.
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