Le donne rapite da Boko haram raccontano i loro mesi di prigionia
Picchiate, costrette a sposare i miliziani, violentate e ridotte in schiavitù: raccontano questo le donne rapite da Boko haram e arrivate il 2 maggio nel campo di Yola, la capitale dello stato di Adamawa, dopo essere state liberate dall’esercito nigeriano. Erano state sequestrate nei mesi scorsi in diverse offensive di Boko haram, ma non sembra che nessuna di loro faccia parte del gruppo delle studentesse di Chibok rapite un anno fa e per le quali ci sono state manifestazioni in tutto il mondo per chiedere il loro rilascio. Per loro era nato anche l’hashtag #bringbackourgirls.
Nelle ultime settimane sono oltre 700 le persone, tra donne e bambini, liberate dall’esercito nelle offensive contro il gruppo islamista: le autorità di Yola stanno procedendo all’identificazione delle ex prigioniere. Alcune di loro hanno cominciato a raccontare ai giornalisti le violenze subite.
Molte donne sono state costrette a sposare i loro carcerieri. Altre hanno subito abusi sessuali, violenze e pressioni psicologiche. Alcune invece sono state uccise per errore durante le operazioni di soccorso. I soldati non hanno capito in tempo che “non eravamo nemici” e molte donne e bambini sono stati investiti dalle camionette dell’esercito, ha raccontato Asama Umoru, una delle donne sopravvissute. Alcune invece sono state uccise e lapidate mentre l’esercito stava per arrivare sul posto. “Ogni giorno assistevamo alla morte di una di noi e aspettavamo il nostro turno”, ha spiegato Umoru.
Tanti i racconti dei momenti in cui le donne sono state portate via dalle loro case. I militanti uccidevano gli uomini e i ragazzi più grandi davanti agli occhi delle loro famiglie, portando poi donne e bambini nella foresta. Lami Musa, di 27 anni, ha raccontato com’è riuscita a salvarsi: “Quando si sono resi conto che aspettavo un bambino, mi hanno detto che ero stata messa incinta da un infedele (il marito) e poi lo hanno ucciso”. “Ti daremo in moglie al nostro comandante una settimana dopo che avrai partorito”, avevano detto i miliziani. Ma la mattina dopo il parto sono arrivati i soldati.
I miliziani non perdevano mai di vista le loro prigioniere. “Non ci permettevano di muovere un dito, ci tenevano legate”, hanno raccontato in molte alla Reuters. Un’altra delle donne ex prigioniere ha spiegato poi che veniva dato loro solo un pasto al giorno: solo del mais secco nel pomeriggio. Alcuni bambini sono magrissimi, ha riferito la reporter dell’Associated Press Michelle Faul alla Bbc dopo aver visitato il campo, e infatti molti bambini sono stati sottoposti ad alimentazione artificiale.
“I soldati hanno fatto salire sulle camionette quelle che erano troppo deboli o malate e hanno chiesto agli altri di seguirli camminando per evitare le mine piazzate da Boko haram un po’ dappertutto. Almeno tre donne e alcuni soldati sono rimasti uccisi nell’esplosione di una mina”. È il racconto di Binta Abdullahi, appena diciottenne, prigioniera in due posti diversi prima di essere portata nella foresta di Sambisa il mese scorso, passando per il quartier generale di Boko haram a Gwoza, una città nel nordest della Nigeria, dove il gruppo che ha giurato fedeltà al gruppo Stato islamico aveva proclamato un califfato l’anno scorso. Le sue due sorelle, rapite anche loro, erano riuscite a fuggire, ma lei ha scelto di rimanere perché aveva preso con sé tre bambini di tre o quattro anni le cui madri non erano tra i prigionieri. “Non potevo abbandonarli”, ha spiegato la ragazza.
Dal 2009 Boko haram ha ucciso migliaia sono di nigeriani. Lo scorso febbraio l’esercito della Nigeria, con il sostegno di truppe dei paesi vicini, ha intensificato le offensive contro i miliziani, riconquistando gran parte parte dei territori che Boko haram aveva preso nei mesi scorsi.