In Sud Sudan i soldati dell’esercito nazionale (Spla) hanno violentato decine di donne e ragazze durante la guerra civile in corso dal dicembre del 2013, quando il presidente Salva Kiir ha accusato il suo ex vice Riek Machar di aver organizzato un colpo di stato. Lo denuncia un rapporto della Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (Unmiss) pubblicato il 30 giugno. Il conflitto è stato caratterizzato anche da massacri a sfondo etnico e dall’impiego di centinaia di bambini soldato.

Il rapporto contiene le testimonianze di 115 persone. Nell’aprile del 2015 l’esercito sudsudanese ha lanciato un’offensiva contro i ribelli fedeli a Machar nella zona di Mayom, nel nord del paese. “I sopravvissuti hanno raccontato che l’esercito ha commesso crimini contro la popolazione locale, uccidendo civili, saccheggiando e distruggendo villaggi e provocando la fuga di più di centomila persone”, afferma il rapporto delle Nazioni Unite.

A marzo un altro rapporto dell’Unicef aveva denunciato che centinaia di bambini erano stati rapiti per essere arruolati da entrambe le parti in conflitto.

Le violenze in Sud Sudan sono scoppiate il 15 dicembre 2013, con gli scontri tra soldati di etnia dinka – fedeli a Kiir – e militari nuer, accusati di voler attuare un colpo di stato a favore di Machar, che era stato rimosso dall’incarico di vicepresidente nel luglio del 2013. Kiir e Machar si contendevano da tempo il controllo del governo e la leadership del loro partito, il Movimento per la liberazione del popolo sudanese (Splm). Kiir e Machar appartengono a due diversi gruppi etnici: Kiir è dinka, il gruppo più numeroso del Sud Sudan, mentre Machar è nuer. Questa divisione ha riacceso vecchie tensioni che risalgono ai tempi della guerra d’indipendenza dal Sudan.

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