L’8 luglio del 2014 Israele ha lanciato l’operazione Margine protettivo nella Striscia di Gaza. Secondo i dati delle Nazioni Unite, nei 51 giorni della guerra, che si è conclusa il 26 agosto, i bombardamenti e le incursioni via terra dell’esercito israeliano hanno causato la morte di più di 2.200 palestinesi, di cui 1.462 civili, un terzo dei quali bambini. I razzi e i colpi di mortaio lanciati dai gruppi armati palestinesi nel territorio israeliano hanno ucciso 73 israeliani, tra cui sette civili.
La commissione d’inchiesta indipendente nominata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto in cui sia Israele sia le fazioni palestinesi, tra cui Hamas, sono accusate di aver violato il diritto internazionale e di aver probabilmente commesso crimini di guerra durante la guerra nella Striscia di Gaza del 2014. Secondo la presidente della commissione d’inchiesta, Mary McGowan Davis, l’entità della devastazione e della sofferenza a Gaza non ha precedenti e avrà un impatto sulle generazioni future.
L’operazione Margine protettivo è stata la terza guerra in sei anni nella Striscia di Gaza. Ha avuto la conseguenza di ridurre la capacità militare di Hamas, l’organizzazione che controlla la Striscia dal 2007, e di distruggere circa trenta tunnel usati per gli attacchi in territorio israeliano. Ma soprattutto ha gettato gli 1,8 milioni di abitanti della Striscia, rinchiusi in un territorio di 362 chilometri quadrati, in una crisi economica e in una disperazione senza precedenti.
Secondo la Banca mondiale, nella Striscia si registra il più alto tasso di disoccupazione al mondo, pari al 40 per cento. Tra i giovani, che rappresentano la maggioranza della popolazione, la cifra sale al 60 per cento. Secondo un sondaggio pubblicato a fine giugno, un abitante su due desidera emigrare. Nei quartieri più colpiti dai raid israeliani e dai tiri di artiglieria, come Shejaiya, nell’est della città di Gaza, la ricostruzione è appena cominciata. I finanziamenti promessi dai donatori internazionali durante la conferenza al Cairo dell’ottobre 2014 arrivano lentamente. Sono ancora circa centomila le persone senza una casa e le strutture sanitarie, la rete idrica e le scuole sono ancora in gran parte distrutte o danneggiate.
Un rapporto pubblicato dall’ong Save the children denuncia che a un anno di distanza i bambini hanno ancora i segni del trauma che hanno vissuto e soffrono gravi stress emotivi. Durante la guerra sono stati uccisi 551 bambini palestinesi, 3.436 sono stati feriti e almeno 1.500 sono rimasti orfani. In Israele è stato ucciso un bambino e 270 sono stati feriti. Tre quarti dei bambini di Gaza bagnano il letto regolarmente, si legge nel rapporto, mentre l’89 per cento dei genitori dichiara che i loro bambini hanno forti paure e il 70 per cento dei minori riferisce di temere un’altra guerra. Sette bambini su dieci fanno regolarmente incubi.
Anche sul piano politico nella Striscia di Gaza restano molte questioni da risolvere. La riconciliazione tra Hamas e gli avversari di Al Fatah non ha ancora avuto luogo e il governo tecnico che le due formazioni hanno deciso di lanciare nell’aprile del 2014 non si è stabilito nel territorio. I regolamenti di conti tra le due fazioni proseguono, nonostante gli appelli all’unità palestinese. Dopo la guerra hanno ripreso forza le organizzazioni salafite, che seguono una corrente più radicale dell’islam sunnita. Finora quella che ha assunto maggior rilevanza è la Brigata Sheikh Omar Hadid, che ha rivendicato il lancio di due razzi, il 26 maggio e il 3 giugno, sulla città israeliana di Ashkelon.
Il 1 luglio, inoltre, il gruppo Stato islamico ha minacciato di trasformare la Striscia di Gaza in un altro dei suoi feudi in Medio Oriente, accusando Hamas, l’organizzazione politica e militare che governa il territorio palestinese, di non mettere in pratica un’interpretazione abbastanza rigida della legge islamica. In un video di sedici minuti condiviso sui social network e girato nella roccaforte del gruppo nella provincia di Aleppo, in Siria, alcuni combattenti condannano Hamas per la repressione delle organizzazioni salafite.
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