Il presidente catalano Artur Mas in una conferenza stampa a Barcellona, nel gennaio del 2015. (Gustau Nacarino, Reuters/Contrasto)

Il presidente della Catalogna, Artur Mas, firmerà entro stasera il decreto che convoca le elezioni nella regione spagnola per il 27 settembre. È la seconda volta consecutiva che Mas anticipa le elezioni, che si sarebbero dovute tenere l’anno prossimo, in un clima di profonda incertezza legato soprattutto al tema dell’autonomia catalana e dopo che non è riuscito a indire un referendum sull’indipendenza da Madrid.

Mas era stato rieletto presidente della Generalitat nel novembre del 2012, dopo una campagna elettorale fondata sulla convocazione di una consultazione popolare. Il programma di Mas, e del suo partito conservatore e catalanista Covergencia y Unió, prevedeva tre impegni: la ricerca di un appoggio politico il più ampio possibile nel parlamento regionale, la costruzione di una cornice che rispettasse la costituzione spagnola e la trattativa con Madrid.

Nulla è andato come sperato dal governatore. Dal 2012, Mas ha perso appoggi nel parlamento di Barcellona, tanto che addirittura il suo partito, frutto della fusione tra Convergencia e Unió Democràtica de Catalunya, è tornato a dividersi in due. La corte costituzionale e l’esecutivo centrale – dove da novembre 2011 è in maggioranza il Partito popolare di Mariano Rajoy – hanno bloccato tutte le iniziative che aprivano alla possibilità di riconoscere la sovranità catalana. Il dialogo tra Barcellona e Madrid si è praticamente interrotto: Rajoy ha incontrato Mas un’unica volta, l’anno scorso, e senza raggiungere alcuna intesa.

La questione catalana è ferma da quando, sotto il governo socialista di José Luis Rodriguez Zapatero, il parlamento centrale ha scritto nella costituzione che la Spagna è uno “stato di autonomie”e ha approvato lo statuto di autonomia catalano, poi avallato dai catalani stessi in un referendum. Ma i successivi interventi della corte costituzionale, che ha accolto ricorsi dei movimenti della destra estremista e del Partito popolare, hanno lasciato praticamente invariata la situazione.

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È con questo spirito che Mas anticipa le elezioni di un anno: ha bisogno di nuova legittimità per continuare a insistere sul suo progetto, quello su cui ha investito tutta la sua carriera politica. Mas firmerà un decreto il più possibile generico, per evitare possibili ricorsi legali di Madrid. L’unica cosa che può fare e farà, nel rispetto di una costituzione che riconosce le autonomie ma non legittima ipotesi di indipendenza, è quella di varare una lista unica nazionalista, il cui programma si basa sulla richiesta di indipendenza, se necessario anche unilaterale, dal resto della Spagna.

Di fatto, quindi, le elezioni catalane del 27 settembre sono diventate una sorta di referendum sull’indipendenza. I sondaggi danno in calo il sì all’indipendenza, mentre aumenta il numero dei favorevoli alla soluzione federalista o solo alla maggiore autonomia.

A favore del sì ci sono Convergencia (il partito di Mas) e la sinistra repubblicana di Esquerra Republicana (Erc), uniti nella lista unica Junts pel sì, guidata dall’ex eurodeputato Raul Romeva.

Il fronte del federalismo – una formula quindi più blanda rispetto all’indipendenza – è integrato da Uniò e dal Partido socialista catalano, in forte calo di consensi a livello nazionale e regionale. Contrari a qualsiasi formula secessionista rimangono i conservatori del Partito Popolare, che sono al governo a Madrid e lottano per essere riconfermati a novembre, e Ciudadanos, la versione di destra di Podemos.

Il partito di Pablo Iglesias, la più grande novità politica dell’ultimo anno in Spagna, non presenterà una propria lista alle regionali, privilegiando le questioni di ordine sociale rispetto a quelle istituzionali, ma nel complesso vedendo di buon occhio la celebrazione di un referendum catalano sul diritto a decidere.

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