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La Volkswagen ha truccato le sue auto, ma l’ha solo fatto peggio di tutti

La sede della Volkswagen a Pasadena, in California, il 21 settembre 2015. (Mario Anzuoni, Reuters/Contrasto)

La frase più pericolosa nel mondo degli affari è: “Lo fanno tutti”. A prescindere da quanto sia comune aggirare le normative del settore, da quanto grande sia il vantaggio che ne traggono i tuoi avversari e quanto forte sia la pressione che avverti a fare altrettanto, ci sono due semplici domande da farsi prima di cedere o meno alla tentazione. Cosa accadrebbe se ti scoprissero? Quanto grande sarebbe il danno?

La Volkswagen ha installato sulle sue auto diesel un software che nei test di laboratorio faceva risultare i veicoli meno inquinanti di quanto lo siano in realtà. Lo stratagemma si è rivelato un disastro e ha portato alle dimissioni del suo direttore generale Martin Winterkorn. Il danno rischia di estendersi a tutta l’industria automobilistica europea, che ha investito molto nelle tecnologie diesel. Però non è certo la prima volta che un produttore di auto agisce in questo modo.

Negli Stati Uniti, nel 1997, si era scoperto che la Ford aveva installato un “impianto di manipolazione” (la stessa procedura di cui è accusata la Volkswagen) sui suoi furgoni, mentre lo scorso anno la Hyundai e la Kia hanno ricevuto una multa di cento milioni di dollari per aver truccato i loro test.

L’industria automobilistica non è l’unica a comportarsi in questo modo. La stessa cosa accade in molti settori, da quello bancario a quello farmaceutico. Qualche azienda comincia ad aggirare le regole e presto altre cominciano a fare altrettanto. Sanno che la cosa è un po’ irregolare ma presto diventa una pratica comune e chi dovrebbe controllare finisce per chiudere un occhio. Poi, un giorno, qualcuno si spinge troppo oltre e scoppia uno scandalo.

La risposta corretta

Quando arriva il contraccolpo, arriva anche la vendetta. All’improvviso, un comportamento che tutti approvavano con un semplice cenno del capo o strizzando l’occhio, o che semplicemente tolleravano per restare al passo con i concorrenti, è considerato sconveniente o addirittura illegale.

Dire che “lo facevano tutti” non è una giustificazione accettabile. Appena la cosa diventa di pubblico dominio e partono le accuse alle autorità di non essere state in grado di opporsi, non c’è possibilità di perdono.

Quando si scatena la ricerca rabbiosa del colpevole all’interno di un’azienda, gli alti dirigenti sono spinti a farsi interrogare dai giudici e a rispondere ai giornalisti, che chiedono: “Perché l’avete fatto?”. Non esiste una risposta precisa, anche se Michael Horn, il direttore generale della Volkswagen negli Stati Uniti, ne ha data una corretta: “Abbiamo fatto un gran casino”.

Le irregolarità spesso cominciano nei laboratori

L’importante, quando si vogliono aggirare le regole e farla franca, è muoversi con scaltrezza e discrezione. Le irregolarità possono essere diffuse ma non possono diventare troppo eclatanti, o attirano l’attenzione delle autorità di vigilanza che solitamente tollerano l’esistenza di alcune zone grigie. L’industria automobilistica è un eccellente esempio: tutti sapevano che c’era un grande divario tra i dati ufficiali sul risparmio di carburante e le prestazioni reali ma, stupidamente, la Volkswagen ha voluto fare di più.

Le irregolarità spesso cominciano nei laboratori, dove il risultato non può che essere artificiale. Un certificato che attesta che un prodotto funziona in un certo modo nel laboratorio di un’azienda, non può garantire che lo stesso accada per le prestazioni nel mondo reale, anche se nessuno ha mentito. Inevitabilmente le aziende tendono a concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi di laboratorio che si sono prefissate, proprio come gli studenti si preparano agli esami.

Il divario tra un test ben progettato e la realtà non deve essere enorme. Ma alcune menti brillanti possono trovare un modo per far coincidere le due cose: la Hyundai e la Kia hanno scelto selettivamente solo i migliori test di guida, ottenuti con il vento a favore e con pneumatici speciali.

L’effetto imitazione emerge ben presto. L’azienda X sa come fa l’azienda Y a modificare i suoi risultati senza essere punita dalle autorità di vigilanza, e si rende conto di non poter competere a meno di non fare la stessa cosa. I test alla fine sono ufficialmente approvati e i clienti non sono in grado di metterli in dubbio. Ogni dirigente o ingegnere che cerca di resistere è bollato come ingenuo o dal carattere difficile.

Un mantra pericoloso

La concorrenza spinge a fare tentativi sempre più ambiziosi di ottenere un vantaggio, e questo mette a rischio la reputazione dell’azienda. Prima di essere scoperta, la Volkswagen ha trovato il modo d’installare il suo accessorio truccato su undici milioni di macchine, agendo sotto il naso delle autorità di controllo. Perfino i ricercatori del Consiglio internazionale sul trasporto pulito, che si è accorto dell’inganno in Europa, non immaginavano tanta sfacciataggine.

Prima o poi, un’azienda si spinge troppo in là. C’è sempre un grande manipolatore finanziario, una Volkswagen o una GlaxoSmithKline in Cina, che si fa beffe del diritto fino a quando la cosa non può più essere nascosta. Molte aziende hanno versato tangenti a medici e ospedali in Cina, ma era inevitabile che un giorno il governo cinese avrebbe punito in maniera esemplare un’azienda occidentale che lo faceva in modo sistematico.

Una volta il capo di una banca di Wall street mi ha raccontato che gli scandali finanziari gli avevano insegnato una cosa: l’etica è assoluta, non relativa. Ripetersi che “non ci comportiamo male come i nostri rivali” è un atteggiamento allettante ma pericoloso. Molte aziende si mettono in pericolo aggrappandosi a questo mantra.

Alla Volkswagen va il dubbio riconoscimento di essere l’azienda del suo settore che si è comportata nel modo peggiore. Ma è stata una bella lotta.

(Traduzione Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul Financial Times con il titolo “Volkswagen’s deception is a warning to every company”, il 23 settembre 2015.

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