È raro che in politica tante cose dipendano da così poco. Come in Match point di Woody Allen, a segnare il destino della politica spagnola è un fatto piccolo e imprevedibile: la decisione di una manciata di militanti del partito indipendentista catalano di estrema sinistra Candidatura d’unitat popular (Candidatura di unità popolare, Cup) di non sostenere come presidente della regione Artur Mas, che vuole la secessione da Madrid, ma è di destra. Mas ha vinto le elezioni del 27 settembre senza raggiungere la maggioranza assoluta.
Se Cup avesse accettato la riconferma di Mas come presidente, il mandato separatista delle ultime elezioni catalane avrebbe preso forma, pesando enormemente su uno scenario politico nazionale bloccato. Un esecutivo regionale tutto concentrato sull’autonomia catalana avrebbe probabilmente favorito un accordo di governo a livello nazionale tra i popolari e socialisti per una grande coalizione.
Paradossalmente, invece, la compagine più estremista della politica catalana ha scelto l’opzione più conservatrice: fare ripartire i giochi da zero sia a Barcellona che a Madrid, rimandando il conflitto democratico con lo stato centrale. Sul piano interno alla Cup, si tratta di un suicidio politico che dall’esterno si fatica a comprendere. È anche evidente la difficoltà per Convergència democràtica de Catalunya (Convergenza Democratica di Catalogna, Cdc, guidata da Mas) di consolidare il proprio progetto politico se Mas non si assicura la presidenza del governo regionale.
Martedì 5 gennaio, Mas ha annunciato che convocherà nuove elezioni a marzo. Che ne sarà del processo separatista dopo il fallimento di una legislatura inaugurata da elezioni plebiscitarie in cui l’affluenza aveva superato il 77 per cento?
Il movimento indipendentista dovrebbe riconquistare una solida maggioranza parlamentare in grado di assicurare un governo e di rispettare la tabella di marcia prestabilita. A questo punto, però, sembra molto difficile. Non riuscirci rallenterebbe il processo, facendolo dipendere dall’evoluzione dello scenario politico nazionale. O, peggio, lo congelerebbe. Se l’obiettivo è quello di ottenere la maggioranza, ripetere la formula elettorale del 27 settembre non sembra ragionevole. L’indipendentismo rischierebbe di passare definitivamente dalla tragedia alla farsa.
Con la Cup isolata e Podem (la versione catalana di Podemos) rafforzato dopo le elezioni nazionali del 20 dicembre, solo una Esquerra republicana de Catalunya (Sinistra repubblicana di Catalogna, Erc) allargata ma dotata di una propria identità potrebbe essere in grado di occupare lo spazio cruciale del separatismo di sinistra. In quanto alla Cdc, per aumentare i consensi dovrà necessariamente accelerare il processo di rinnovamento interno. Il futuro politico di Mas è fatalmente legato ai prossimi risultati elettorali. Ora sì che si giocherà il tutto per tutto.
Qualunque cosa succeda a marzo, le condizioni economiche, politiche o culturali che hanno favorito la centralità sociale del separatismo non svaniranno. Ormai sono strutturali. La politica spagnola continuerà a essere segnata dalle conseguenze sociali della crisi economica, dalla crisi sistemica delle istituzioni e dal processo separatista catalano. Se lo schieramento indipendentista otterrà una nuova maggioranza parlamentare, le eventuali nuove elezioni nazionali saranno fortemente segnate dal processo separatista. Se invece lo schieramento indipendentista uscirà malconcio dalle urne, il parziale recupero del bipartitismo spagnolo potrebbe consentire uno schema di governo più convenzionale.
(Traduzione di Alberto Frigo)
Questo articolo è stato pubblicato su El Periódico de Catalunya.
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