Il disegno di legge approvato dal governo e preparato dalla ministra per le riforme Maria Elena Boschi è in esame al senato questa sera in seconda lettura.
La riforma abolisce il bicameralismo paritario sancito dalla costituzione, trasformando il senato in un’aula regionale; riduce il numero dei parlamentari; sopprime il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e completa la revisione del Titolo V della costituzione che ha introdotto il federalismo nel 2001. La sua approvazione però non è conclusa.
A che punto è l’iter di approvazione?
Il disegno di legge deve tornare alla camera in aprile per essere approvato in seconda lettura, quella definitiva.
Il senato ha già approvato il disegno di legge nell’agosto del 2014, poi la legge è passata alla camera che l’ha modificata e approvata a marzo del 2015. Il ddl è quindi tornato al senato che l’ha modificato e approvato in ottobre. Il testo è quindi dovuto tornare alla camera che l’ha approvato senza cambiamenti l’11 gennaio. Così si è conclusa la prima lettura del testo. Da quel punto in poi la riforma non può essere modificata ed ha cominciato il secondo passaggio in parlamento, di cui il voto di oggi in senato è il primo passo.
La costituzione italiana (articolo 138) prevede, infatti, che le riforme costituzionali debbano essere approvate due volte da camera e senato. La seconda lettura deve avvenire a tre mesi dalla prima approvazione. In “seconda deliberazione” i deputati e i senatori non possono presentare emendamenti: il testo non può essere modificato, solo approvato o respinto.
Il referendum
Dopo che le camere avranno approvato il disegno di legge una seconda volta, ancora non entrerà in vigore. Se l’approvazione avverrà per maggioranza assoluta (e non dei due terzi) potrà essere convocato un referendum costituzionale, entro tre mesi dall’ultimo voto in aula. Il referendum costituzionale può essere richiesto da un quinto dei parlamentari, da cinque consigli regionali o da 500mila cittadini.
Il presidente del consiglio Matteo Renzi è tra i sostenitori del referendum e ha previsto che la consultazione si terrà a ottobre del 2016. Renzi vuole che la riforma sia legittimata da un largo consenso popolare perché la norma è uno dei pilastri del suo programma politico. In un’intervista a Repubblica tv, il presidente del consiglio ha detto che se dovesse perdere nel referendum si ritirerebbe dalla politica.
Cosa prevede la riforma costituzionale?
1) Senato
La riforma si propone di superare il bicameralismo perfetto che caratterizza l’assetto istituzionale italiano. Attualmente tutte le leggi, sia ordinarie sia costituzionali, devono essere approvate da entrambe le camere. Anche la fiducia al governo deve essere concessa sia dai deputati che dai senatori. Con la riforma, invece, la camera dei deputati diventa l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica assemblea che dovrà approvare le leggi ordinarie e di bilancio e ad accordare la fiducia al governo.
Il senato diventa un organo rappresentativo delle autonomie regionali (si chiamerà “senato delle regioni”), composto da 100 senatori (invece dei 315 attuali) che non saranno eletti direttamente dai cittadini. Infatti 95 di loro saranno scelti dai consigli regionali che nomineranno con metodo proporzionale 21 sindaci (uno per regione, escluso il Trentino Alto Adige che ne nominerà due) e 74 consiglieri regionali (minimo due per regione in proporzione alla popolazione e ai voti ottenuti dai partiti). Questi 95 senatori resteranno in carica per la durata del loro mandato di amministratori locali.
A questi, si aggiungeranno cinque senatori nominati dal presidente della repubblica che rimarranno in carica sette anni. Non saranno più nominati quindi dei senatori a vita, carica che resta valida solo per gli ex presidenti della repubblica. I sei senatori a vita che ci sono attualmente (Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Carlo Rubbia, Renzo Piano, Elena Cattaneo) restano in carica ma non verranno sostituiti. I senatori non vengono più pagati dal senato, ma percepiscono solo lo stipendio da amministratori.
Il senato potrà esprimere pareri sui progetti di legge approvati dalla camera e proporre modifiche entro trenta giorni dall’approvazione della legge, ma la camera potrà anche non accogliere gli emendamenti. I senatori continueranno a partecipare anche all’elezione del presidente della repubblica, dei giudici del Consiglio superiore della magistratura e dei giudici della Corte costituzionale. Ma la funzione principale del senato sarà quella di esercitare una funzione di raccordo tra lo stato, le regioni e i comuni.
2) Elezione del presidente della repubblica
All’elezione del presidente della repubblica non parteciperanno più i delegati regionali, ma solo le camere in seduta comune. Sarà necessaria la maggioranza dei due terzi fino al quarto scrutinio, poi basteranno i tre quinti. Solo al nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta (attualmente è necessario ottenere i due terzi dei voti fino al terzo scrutinio; dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta).
3) Abolizione del Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro
Il Cnel attualmente è composto da 64 consiglieri ed è un organo ausiliario previsto dalla costituzione che ha una funzione consultiva per quanto riguarda le leggi sull’economia e il lavoro. La costituzione conferisce al Cnel anche l’iniziativa legislativa, il consiglio cioè può proporre alle camere delle leggi in materia economica. Il ddl Boschi ne prevede la soppressione.
4) Titolo V
Con la riforma una ventina di materie tornano alla competenza esclusiva dello stato. Tra queste: l’ambiente, la gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni.
5) Referendum abrogativo e leggi d’iniziativa popolare
Il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50 per cento, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila, invece che 500mila, il quorum sarà ridotto: basterà che vadano a votare il 50 per cento dei votanti all’ultima tornata elettorale, non il 50 per cento degli aventi diritto. Per proporre una legge d’iniziativa popolare non saranno più sufficienti 50mila firme, ma ne serviranno 150mila.
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