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Il grande affare dell’avorio

Un ranger con una zanna d’elefante confiscata ai contrabbandieri nel parco nazionale di Garamba, nel nordest della Repubblica Democratica del Congo, il 4 febbraio 2016. (Tony Karumba, Afp/Getty Images)

In Africa il traffico illegale d’avorio, che minaccia la sopravvivenza degli elefanti, è geograficamente concentrato ed è controllato da pochi individui. Lo rivela l’analisi del dna delle zanne sequestrate.

“Siamo rimasti sorpresi perché i dati genetici suggeriscono che il numero di persone che controllano il commercio è relativamente basso e si concentra in un unico luogo”, ha spiegato Samuel Wasser, professore di biologia all’università di Washington in occasione della conferenza annuale dell’American association for the advancement of science (Aaas), riunita a metà febbraio nella capitale degli Stati Uniti.

Wasser ha messo a punto una nuova tecnica di analisi del dna basata su una vasta banca dati delle mandrie – oggetto di un articolo apparso su Science nel 2015 – e per la prima volta ha mostrato che la maggior parte del traffico d’avorio proviene dal bracconaggio degli elefanti in due regioni dell’Africa: l’85 per cento delle zanne di elefanti della foresta sequestrate tra il 2006 e il 2014 provenivano da una zona protetta che si estende nel territorio di Camerun, Congo e Gabon, mentre oltre l’85 per cento dell’avorio di elefanti della savana proveniva dall’Africa orientale, soprattutto dalla Tanzania.

Le analisi del dna hanno rivelato che tutte le zanne sono poi transitate per Mombasa, in Kenya, vero snodo di questo enorme commercio.

L’unica misura efficace che per otto anni ha messo fine a questo traffico è stato il divieto internazionale di commercio dell’avorio

Secondo i dati di Wasser circa 50mila elefanti vengono uccisi ogni anno in Africa dai bracconieri, su una popolazione residua di appena 450mila elefanti. Il bracconaggio e il commercio di specie protette è la quarta attività criminale internazionale dopo il traffico d’armi, di droga e di esseri umani. Questo commercio illecito ha un giro d’affare di venti miliardi di dollari all’anno, di cui tre miliardi solo per l’avorio, ha indicato il ricercatore.

“L’unica misura efficace di conservazione che per otto anni ha messo fine a questo traffico è stato il divieto internazionale di commercio dell’avorio, emanato nel 1989”, ha spiegato. “Allora gli elefanti uccisi ogni anno erano 70mila e la metà della popolazione era stata decimata nel decennio precedente, passando da 1,3 milioni a 624mila”, ha dichiarato Allan Thornton, presidente dell’ong Environmental invesitagation agency nell’ambito della stessa conferenza stampa. Durante il periodo di divieto gli elefanti hanno cominciato a ricostituire la loro popolazione, ma quando il bando è stato parzialmente cancellato nel 1997 (secondo Thorton a causa delle pressioni del Giappone) il bracconaggio degli elefanti è immediatamente ripreso.

Il fenomeno ha subìto una netta accelerazione dopo che la Convenzione sul commercio internazionale della fauna e della flora ha nuovamente autorizzato, nel 2008, la vendita d’avorio a Giappone e Cina da parte di tre paesi dell’Africa del sud.

William Clark, ex membro dell’Interpol che ha combattuto il traffico illegale d’avorio, ha accusato l’Asia di “non mostrare sufficiente volontà politica”. Secondo Clark “l’Asia non si assume abbastanza responsabilità nella gestione del problema, lasciando il fardello interamente sulle spalle degli africani”. La Cina contribuisce per il 70 per cento alla domanda mondiale d’avorio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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