Doveva essere un “plebiscito”, ma somiglia sempre di più a un fallimento. L’11 ottobre il progetto del governo conservatore australiano di organizzare nel 2017 un referendum consultivo (non vincolante) sul matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato bloccato dall’opposizione. Secondo i laburisti, il referendum sarebbe costoso, inutile e rischierebbe di scatenare reazioni omofobe.

L’opposizione chiede piuttosto che la legge sia approvata in parlamento. “Perché una coppia dovrebbe avere bisogno di bussare alla porta di 15 milioni di connazionali per chiedere il loro consenso?”, ha spiegato il capo dei laburisti Bill Shorten, che teme le tensioni che potrebbe innescare una consultazione del genere.

Ormai è molto probabile che l’approvazione del matrimonio gay – al quale il 61 per cento degli australiani è favorevole, come riporta un recente sondaggio Gallup – non avverrà prima delle elezioni legislative del novembre del 2019.

Tra l’incudine e il martello
In questo modo l’Australia resta indietro rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti, il Canada, l’Irlanda, il Regno Unito e la Nuova Zelanda, che hanno già legalizzato le unioni omosessuali. Il matrimonio gay è illegale in Australia dal 2004, quando il primo ministro conservatore dell’epoca, John Howard, fece modificare l’Australian marriage act del 1961, in modo da autorizzare solo le unioni di coppie eterosessuali.

Dopo il no dell’opposizione, il primo ministro australiano, il conservatore Malcolm Turnbull, favorevole a una certa apertura sociale, si trova “in acque pericolose”, osserva Karine Murphy del Guardian. Come commenta Mark Kenny del Sydney Morning Herald, il capo del governo è bloccato tra l’incudine dei favorevoli ai matrimoni gay e il martello dei conservatori.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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