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Il governo di Israele spinge per la legalizzazione degli insediamenti

L’insediamento di Amona, a nordest di Ramallah, maggio 2016. (Oded Balilty, Ap/Ansa)

Il 13 novembre i ministri del governo israeliano hanno approvato all’unanimità un testo di legge che permetterebbe di legalizzare gli insediamenti ebraici in Cisgiordania. L’iniziativa, che passa ora al vaglio del parlamento, rischia di aprire delle fratture nell’esecutivo e di scatenare dure condanne a livello internazionale.

Cosa prevede la proposta di legge sugli insediamenti
Il 13 novembre la commissione ministeriale per la legislazione ha dato il via libera a un disegno di legge promosso dal ministro dell’istruzione Naftali Bennett e dalla ministra della giustizia Ayelet Shaked, entrambi esponenti del partito dei coloni Casa ebraica, che legalizzerebbe retroattivamente un centinaio di insediamenti costruiti nei Territori occupati su terreni privati palestinesi.

Molti avamposti, scrive Le Monde, “sono stati costruiti nell’illegalità più totale: non solo violando il diritto internazionale (com’è il caso di tutte le colonie), ma anche il diritto israeliano. Il procuratore generale dello stato di Israele, Avichai Mendelblit, ha sottolineato che la legalizzazione di queste costruzioni è inaccettabile”. Mendelblit ha inoltre fatto sapere che non difenderà il governo nel caso la legge finisse di fronte alla corte suprema.

La questione di Amona
Il testo dovrebbe arrivare in parlamento il 16 novembre e dovrà superare vari passaggi prima dell’approvazione definitiva. Per Bennett e l’estrema destra israeliana, che ha assunto un peso determinante nel governo nato dopo le legislative del marzo del 2015, si tratta di “regolarizzare” una situazione esistente. Con la legge, che riguarderà solo gli insediamenti fondati con il contributo pubblico, lo stato di Israele potrà espropriare i terreni su cui sono stati costruiti gli avamposti e i palestinesi in grado di provare di essere proprietari di quelle terre potranno chiedere un risarcimento.

Originariamente la legge era stata proposta per aiutare le quaranta famiglie israeliane che vivono nell’insediamento di Amona, a nordest di Ramallah, che per ordine della corte suprema dev’essere sgomberato entro il 25 dicembre perché è stato costruito su terre private palestinesi. Il 14 novembre la corte suprema ha respinto la richiesta del governo di rinviare di sette mesi l’evacuazione per poter trovare una soluzione alternativa.

Le ricadute al livello internazionale
La proposta di “regolarizzazione”, che dovrebbe riguardare tra i duemila e i tremila coloni, è troppo estrema anche per il premier conservatore Benjamin Netanyahu, che teme innanzitutto il danno d’immagine al livello mondiale. La legge sarebbe una violazione palese dei trattati internazionali e Israele rischierebbe di finire davanti alla Corte penale internazionale. “La proposta oltrepassa numerose linee rosse”, scrive il giornalista di Haaretz Barak Ravid. “Praticamente costringerà il presidente statunitense Barack Obama a prendere misure presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, cosa che ha evitato di fare da quando ha assunto le funzioni di presidente nel 2009”.

Molti osservatori sono convinti che la mossa di Bennett e Shaked sia stata ispirata dalla vittoria del candidato repubblicano Donald Trump alle presidenziali statunitensi dell’8 novembre. Barack Obama nel corso della sua amministrazione ha preso le distanze dal primo ministro israeliano e l’ha fatto in modi senza precedenti per un presidente degli Stati Uniti. L’arrivo di Trump alla Casa Bianca è quindi considerato come un cambiamento favorevole per l’estrema destra israeliana. La sua vittoria è stata accolta come la fine della soluzione a due stati per il conflitto israelo-palestinese, come denuncia il segretario generale dell’Olp Saeb Erekat.

Anche se il partito dei coloni ha cominciato a promuovere la proposta di legge molto prima della vittoria di Trump, “diversamente dal solito, la decisione di procedere al voto è stata presa nonostante le forti obiezioni di Netanyahu e le sue esortazioni a rimandarlo”, fa notare il New York Times. I critici da destra dell’attuale premier pensano infatti che la presidenza Trump garantirà a Israele una maggiore libertà su questioni come la costruzione degli insediamenti.

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