L’accusa nei confronti dei servizi segreti russi di aver inquinato l’ultima campagna elettorale statunitense ha provocato la reazione dell’amministrazione di Washington, ancora guidata da Barack Obama.
Le tappe dello scandalo
I servizi segreti (Fsb) e militari (Gru) di Mosca sono accusati di aver hackerato le email del Partito democratico statunitense durante la campagna elettorale.
Secondo i servizi segreti statunitensi la Russia ha manovrato attacchi hacker contro il comitato del Partito democratico statunitense e in particolare contro la candidata Hillary Clinton, così da favorire la vittoria del repubblicano Donald Trump. Infatti, durante la campagna elettorale migliaia di email contenenti informazioni private dei componenti del partito democratico sono state rese pubbliche tramite il sito Wikileaks.
Lo scandalo è scoppiato nel giugno del 2016, quando CrowdStrike, una società americana di sicurezza informatica, annunciò che due gruppi di hacker, Fancy bear e Cozy bear, erano riusciti ad accedere ai computer del Partito democratico. In seguito ad accertamenti da parte di 17 agenzie di intelligence statunitensi, le accuse sono state confermate il 7 ottobre. Nel pieno della campagna elettorale, con l’avvicinarsi dell’8 novembre, giorno del voto, si è assistito alla pubblicazione quotidiana di email rubate dall’account di John Podesta, capo della campagna elettorale di Clinton.
Dopo la vittoria di Trump, il Washington Post ha pubblicato un documento della Cia che confermava l’intervento della Russia nel favorire la vittoria del miliardario newyorchese. Il 12 dicembre, il congresso ha annunciato l’apertura di un’inchiesta parlamentare sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali. Mosca ha negato ogni coinvolgimento, mentre Barack Obama ha adottato misure punitive nei confronti della Russia.
I provvedimenti
Il 29 dicembre l’amministrazione Obama ha annunciato le proprie ritorsioni nei confronti del Cremlino. Sono state ordinate una serie di sanzioni che includono l’espulsione dal paese di 35 diplomatici russi. Entro tre giorni, quindi, i funzionari dell’ambasciata russa a Washington e del consolato a San Francisco, insieme alle loro famiglie, dovranno lasciare gli Stati Uniti.
In un primo momento, in risposta ai provvedimenti presi dagli Stati Uniti, il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, aveva proposto una serie di misure punitive di pari portata. Per cui l’espulsione di 35 diplomatici statunitensi, 31 funzionari dell’ambasciata statunitense a Mosca e 4 del consolato degli Stati Uniti a San Pietroburgo.
Ma il presidente russo Vladimir Putin ha poi comunicato che la Russia non si “abbasserà” a questo livello di “diplomazia irresponsabile”, ma che piuttosto lavorerà al fine di ristabilire buoni rapporti con il presidente eletto Trump. Nel frattempo il Cremlino continua a negare qualsiasi coinvolgimento nel caso di hacking, accusando Washington di voler compromettere i rapporti con Mosca.
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