Londra ha presentato il 29 marzo la richiesta che mette in moto l’applicazione dell’articolo 50 del trattato di Lisbona. La prima ministra britannica, Theresa May, ha avviato ufficialmente il processo di uscita dall’Unione europea, nove mesi dopo il referendum del 23 giugno 2016, quando il 52 per cento dei britannici ha votato per lasciare l’Unione. Arrestare il processo non sarà possibile se non con il consenso unanime di tutti gli stati membri.
La Bbc spiega che il Regno Unito ha due anni per negoziare un accordo, che deve essere approvato dalla maggioranza degli stati dell’Ue e dal parlamento europeo. Al tavolo delle trattative siedono il ministro britannico per l’uscita dall’Ue, David Davis, e Michel Barnier della Commissione europea.
Il 30 marzo Londra pubblicherà il libro bianco del progetto di legge chiamato Great repeal bill. Sarà abolito il codice del 1972 che aveva incorporato la legislazione europea nel diritto britannico e sarà convertito il corpus delle leggi europee in leggi nazionali. Con circa 19mila leggi europee in vigore, al parlamento spetta una sfida legislativa enorme, e le conseguenze saranno incerte per la maggior parte dei settori dell’economia, secondo il Financial Times.
Per il Daily Telegraph, il Regno Unito ha adesso l’opportunità di sbarazzarsi di una burocrazia inutile e di condurre il paese su una strada radicalmente diversa, prendendo l’esempio dal governo Thatcher degli anni ottanta. Secondo il giornale, che elenca cinque direttive di cui i britannici saranno felici di liberarsi, il costo dei regolamenti europei è di 120 miliardi di sterline all’anno (139 miliardi di euro).
Invece di “avere la situazione sotto controllo” la prima ministra sta inviando “una lettera di suicidio”, osserva Polly Toynbee del Guardian, ricordando che “l’uscita dal mercato potrebbe costare al Regno Unito il 4 per cento del suo pil” oltre a delocalizzazioni e prezzi in aumento. Secondo Toynbee i favorevoli alla Brexit hanno ingannato gli elettori promettendo che uscendo dall’Unione le cose sarebbero rimaste uguali e che “l’immigrazione sarebbe scesa a zero” perché non sarebbe più stata necessaria la manodopera straniera.
“May pagherà il prezzo delle promesse dei brexiters”, titola The Times, che prevede una “guerra d’usura con Bruxelles”. Ma dal punto di vista politico, la vera battaglia si terrà nel Regno Unito, dove le trattative si annunciano altrettanto complicate. Le aspirazioni all’indipendenza della Scozia e dell’Irlanda del Nord sono solo le premesse.
Il parlamento scozzese il 28 marzo ha autorizzato la first minister Nicola Sturgeon a chiedere a Londra l’organizzazione di un nuovo referendum per l’indipendenza. Sturgeon potrebbe ora usare contro la premier britannica Theresa May tutti gli argomenti usati da chi ha voluto uscire dall’Unione europea, spiega il settimanale The Economist.
(Traduzione di Martina Ciai)
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