In Iran i conservatori entrano in azione per le presidenziali
Riformatori contro conservatori, moderati contro radicali. Con l’apertura l’11 aprile (e fino al 15) dei termini per presentare le candidature per le elezioni presidenziali iraniane del 19 maggio cominciano a profilarsi le linee di divisione nel paese, come era già successo in occasione delle elezioni del 2009 e del 2013.
Fra i conservatori si distingue Ebrahim Raisi. Questo religioso di 56 anni, che dirige Astan Qods Razavi – una potente fondazione caritatevole incaricata del mausoleo di Reza, ottavo imam dello scisma duodecimano – vuole sfidare il presidente uscente, il moderato Hassan Rohani, che non ha ancora confermato formalmente la sua ricandidatura. Con una dichiarazione a sorpresa, Raisi (un seyyed, discendente del profeta Maometto, riconoscibile per il suo turbante nero) ha affermato il 9 aprile di aver deciso di lanciarsi nella corsa alle elezioni presidenziali in nome della sua “responsabilità religiosa e rivoluzionaria”.
Raisi è noto per essere vicino all’ayatollah Ali Khamenei, 77 anni, la più alta autorità politica e religiosa della repubblica islamica, che ha grande stima nei suoi confronti. Verso la fine degli anni ottanta, Raisi ha avuto un ruolo di primo piano nelle esecuzioni di massa degli oppositori del regime, ricorda Radio Free Europe. Il suo ingresso in politica, probabilmente motivato dalla possibilità un giorno di succedere alla guida suprema, rappresenta una seria sfida per Rohani, che quattro anni fa aveva fatto campagna elettorale con la promessa di portare a termine le riforme per far uscire il paese dall’isolamento economico e diplomatico.
Tra guanti di velluto e pugno di ferro
Per questo motivo l’attuale presidente si è impegnato a difendere il suo operato, insistendo sul fatto di aver stabilizzato la valuta nazionale (il rial), ridotto l’inflazione e rafforzato la crescita. Ha anche criticato l’idea secondo la quale gli iraniani più poveri non avrebbero beneficiato della fine delle sanzioni internazionali in seguito all’accordo sul nucleare, concluso a metà luglio 2015 in Austria. Tuttavia nel paese si avverte un certo malcontento.
In fin dei conti per Amir Taheri, cronista del giornale panarabo Asharq Al-Aswat ed ex caporedattore del quotidiano iraniano Kayhan, la prossima elezione si può sintetizzare in un duello interno ai conservatoritra gli “orfani di Rafsanjani” (rimasto in carica dal 1989 al 1997, morto il gennaio scorso e figura principale della linea pragmatica), e gli “uomini di Khamenei”. Insomma una lotta tra il guanto di velluto e il pugno di ferro.
Duello confermato il 12 aprile quando si è aggiunto a sorpresa l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, già al potere dal 2005 al 2013. Ahmadinejad ha spiegato di voler sostenere in questo modo la candidatura del suo ex vicepresidente Hamid Baghaei, che lo stesso giorno si è registrato nelle liste elettorali. Alla candidatura di Ahmadinejad si era opposta la guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei.
(Traduzione di Andrea De Ritis)