L’ultimo rapporto dell’Unaids, l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata di combattere l’hiv e l’aids, porta notizie contrastanti. Una delle buone notizie, come mostra il documento, è che il tasso di mortalità da aids continua a scendere.

Nel 2016 c’è stato un milione di decessi legati all’aids: un calo rispetto ai quasi due milioni del 2005, l’anno del picco di mortalità. Questo è legato all’efficace diffusione dei farmaci antiretrovirali in quasi tutto il mondo.

Come mostra inoltre il documento, il tasso di mortalità tra le donne e le ragazze è più basso di quello tra gli uomini e i ragazzi e sta anche diminuendo più velocemente. Questo nonostante i due sessi abbiano tassi d’infezione simili (anche se le donne, con il 51 per cento, sono leggermente più colpite).

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Questa differenza è probabilmente il segno di diagnosi più precoci tra le donne, che si sottopongono più regolarmente a delle visite nel corso dei controlli prenatali, ma anche di un comportamento femminile più responsabile quando si tratta di assumere i farmaci prescritti. La cosa suggerisce inoltre la necessità di trovare nuove modalità per ripensare le campagne di prevenzione al fine di renderle più efficaci e meglio rimanere impresse nel cervello degli uomini.

Sfortunatamente il numero di nuove infezioni, anche se in calo, non scende alla velocità che Unaids e i suoi partner avrebbero sperato. Nel 2016, le persone infettate sono state 1,8 milioni. Si tratta di un calo rispetto al picco d’infezioni del 1997, ovvero 3,2 milioni, ma il calo è stato di appena il 16 per cento dal 2010. Con l’attuale velocità, l’obiettivo ufficiale dell’Onu di ridurre il numero a 500mila nuovi casi all’anno entro l 2020 appare decisamente ottimistico.

Anche l’idea di una cura per l’aids, vale a dire un farmaco che rimuova completamente il virus dal corpo di una persona, rimane un obiettivo lontano. Per adesso l’obiettivo 90-90-90 dell’Unaids – cioè il fatto che il 90 per cento delle persone infette ne sia al corrente, che il 90 per cento di quanti ne sono al corrente si sottoponga alle cure, e che il 90 per cento di quanti vi si sottopongano abbia cure efficaci – risulta troppo ambizioso per essere raggiunto oggi (nel 2016 le statistiche erano rispettivamente del 70, 77 e 82 per cento), ma anche abbastanza realistico da poter essere ottenuto in futuro.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito del settimanale britannico The Economist.

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