Hanno viaggiato per ore, alcuni addirittura per giorni. Ma alla fine sono arrivati a Taung Pyone. Ogni anno, ad agosto, centinaia di migliaia di pellegrini provenienti da tutta la Birmania si presentano in questo piccolo centro abitato, venti chilometri a nord di Mandalay, per entrare in comunione con i nat, spiriti che regalano buona sorte ai fedeli che sanno presentare la giusta offerta. I nat accettano banane, noci di cocco, alcol e contanti. Più abbondante è il regalo e meglio è.

Quest’anno i pellegrini, con in mano fasci di banconote, hanno fatto la fila sotto un gazebo per incontrare un sacerdote, rappresentante in carne e ossa dei nat. Il tradizionale sfoggio di devozione, però, è stato turbato da sette monache buddiste con le tonache rosa e la testa rasata che hanno accusato i fedeli ripetendo che la venerazione dei nat è solo una superstizione, una macchia per l’unica vera fede.

Il buddismo, religione dominante in Birmania, è praticato da circa il 90 per cento della popolazione. Nel paese vivono più o meno 500mila monaci e 75mila monache su un totale di 54 milioni di abitanti. Spesso i religiosi sono in prima linea nella vita politica del paese. Nel 2007, per esempio, hanno guidato la fallita “rivoluzione zafferano” contro il governo dei militari.

Degenerazioni del buddismo
Più recentemente, i monaci nazionalisti hanno contribuito a diffondere l’idea che in Birmania il buddismo sia in grande pericolo, scatenando una guerra santa contro i musulmani. Questa presa di posizione è uno dei motivi dell’indifferenza generale davanti alla campagna di pulizia etnica contro i rohingya, un gruppo etnico musulmano che vive all’estremo occidentale del paese. Tuttavia, piuttosto che concentrarsi sulle presunte minacce esterne, alcuni monaci preferiscono combattere quelle che considerano degenerazioni del buddismo.

Tre anni fa Han Tu, un sacerdote (natkadaw) di 65 anni, stava partecipando alla festa di Taung Pyone quando un gruppo di monaci buddisti armati di spranghe di metallo ha fatto irruzione durante una cerimonia.

I monaci hanno minacciato di picchiare le circa cinquanta persone presenti se non avessero accettato di consegnare le offerte destinate ai nat. Han Tun e gli altri sacerdoti hanno assecondato la richiesta, ma i monaci hanno comunque distrutto le decorazioni del tempio e le statue dei nat. “È stata la peggiore esperienza della mia vita”, racconta Han Tun. Ma non è stato l’unico atto di profanazione a cui ha assistito. Han Tua e altri tre natkadaw veterani raccontano che i monaci buddisti hanno cominciato ad attaccare i devoti dei nat circa tre anni fa.

Dal diciannovesimo secolo si è affermata un’interpretazione del buddismo come filosofia razionale libera dalle forzature religiose

A volte si limitano a insultarli, altre volte li minacciano, li insultano, rubano le offerte di cibo e denaro e distruggono le statue dei nat. Queste aggressioni non si verificano solo a Taung Pyone, ma anche durante altre feste e cerimonie in tutto il paese. Khin Swe Oo, custode del più importante tempio di Taung Pyone, racconta che durante ognuna delle ultime cinque edizioni della festa ci sono state urla, minacce e distruzione di oggetti sacri. Dieci anni fa questi episodi erano rari, spiega Khin Swe Oo.

Anawrahta, il più celebrato re della Birmania medievale, ha stilato una lista ufficiale di 37 nat da inserire nel pantheon buddista. Ancora oggi in ciascun villaggio birmano ci sono un paio di templi dedicati ai nat locali. Eppure molti abitanti della Birmania disprezzano la venerazione dei nat. Keziah Wallis, dell’università Victoria di Wellington, in Nuova Zelanda, ritiene che la frattura sia emersa per la prima volta nel diciannovesimo secolo, quando si è affermata un’interpretazione del buddismo come filosofia razionale libera dalle forzature religiose.

Le rumorose cerimonie di trance, caratterizzate dal consumo di alcolici e da musica ipnotica, contrastavano con questa concezione del buddismo, e così alcuni hanno cominciato a descrivere la venerazione dei nat come una forma di corruzione della fede, da tollerare solo in quanto espressione della tradizione.

Oggi questa tolleranza non esiste più. Secondo Wallis l’ostilità nei confronti degli spiriti si è progressivamente rafforzata nell’ultimo decennio, anche a causa dell’apertura della Birmania al mondo esterno. Gli abitanti delle città provano vergogna per quello che ritengono un “cugino imbarazzante, sporco e folle del buddismo”.

Nessuno ha rivendicato gli attacchi, quindi è possibile che i responsabili siano falsi monaci

Tentativi simili di ripulire l’islam da tutto ciò che i puristi ritengono una superstizione rurale sono in corso da anni sia in Indonesia sia in Malesia. Anche in Sri Lanka e in Thailandia si registrano sforzi per liberare il buddismo dalle tradizioni popolari.

Non è facile stabilire l’identità dei responsabili degli attacchi denunciati dai natkadaw, anche perché non sono stati rivendicati da nessun individuo o organizzazione. Zawana Nyarna, a capo di un monastero di Taung Pyone, professa l’innocenza dei suoi monaci e di quelli di altri sei monasteri del villaggio. I natkadaw, tra l’altro, sostengono che molti responsabili degli attacchi, se non tutti, siano in realtà “falsi monaci”, novizi piuttosto ignoranti o semplicemente ladri che indossano la tunica rossa solo per rubare più facilmente le offerte dedicate ai nat. Ma è anche possibile che questa spiegazione nasca dalla volontà di non attaccare direttamente stimate autorità monastiche.

Un aiuto dai monasteri locali
Han Tun è convinto che i monaci aggressori non volessero solo rubare le offerte ma anche “prendere di mira le nostre credenze”. Khin Swe Oo, custode del tempio di Taung Pyone, ritiene che i responsabili delle aggressioni siano istigati da importanti monaci che si scagliano regolarmente contro i nat nei loro sermoni.

Il principale obiettivo di Ma Ba Tha, un’organizzazione buddista radicale messa fuori legge nel 2017, era quello di sensibilizzare i birmani sulla minaccia rappresentata dall’islam. Uno degli esponenti di punta dell’organizzazione, un monaco di nome Wisetkhana, non crede che i devoti dei nat rappresentino un rischio per il buddismo paragonabile a quello derivato dall’islam, e non intende giustificare la violenza che sono costretti a subire. Al contempo, però, Wisetkhana ha scritto un libro in cui sostiene che i nat siano una rappresentazione del male. Il titolo del libro è “Proteggere la razza e la religione”.

Ma non tutti i monaci disprezzano il culto degli spiriti. Qualche anno fa Khin Swe Oo ha chiesto a Zawana Nyarna e ad altri monaci locali di aiutarlo a scongiurare gli attacchi a Taung Pyone. I monaci locali oggi sorvegliano le feste religiose e interrogano chiunque minacci i fedeli, smascherando gli impostori e invitando gli altri a tornare nei loro monasteri. “La situazione sta migliorando grazie al loro aiuto”, ammette Han Tun.

Khin Swe Oo si appoggia alla sedia di bambù davanti alla sua casa, a pochi passi dal tempio, una pagoda coperta da lamine d’oro. Chiude gli occhi. Gli attacchi continuano a verificarsi, ammette. Sente sulle spalle il grande peso di continuare a proteggere gli spiriti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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