Miguel, 28 anni, ha sentito l’odore dei guai ancora prima di vederli. Era gennaio a Bilibiza, nella provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, quando ha avvertito una zaffata di fumo. Un villaggio nelle vicinanze era stato incendiato. Di lì a poche ore anche a Bilibiza bruciavano case e scuole e i diecimila abitanti della città erano costretti alla fuga.
Era la seconda volta in due anni che Miguel (questo non è il suo vero nome) doveva fuggire per salvarsi la vita. Nel 2018 il suo villaggio era stato attaccato. Almeno cinque persone erano state uccise e un suo amico era stato decapitato. Oggi Miguel, sua moglie e i loro tre figli vivono a Pemba, la capitale della provincia. Dormono all’aperto, con i polli e i piccioni che beccano ai loro piedi.
Dal 2017 Cabo Delgado è travolta dalla violenza. Da un lato c’è una ribellione di matrice islamica poco conosciuta. Dall’altro forze di sicurezza governative autoritarie. Secondo le agenzie umanitarie più di mille persone sono morte e almeno centomila sono state costrette a lasciare le loro case. Il 23 marzo i ribelli hanno compiuto la loro mossa finora più audace conquistando la cittadina di Mocímboa da Praia per poi ritirarsi. Due giorni dopo hanno conquistato Quissanga, a cento chilometri a nord di Pemba.
Fino a non molto tempo fa l’Africa meridionale era stata piuttosto risparmiata dagli attentati jihadisti che hanno seminato il caos nel Corno d’Africa, in Nigeria e nel Sahel. Le cose sono cambiate. Il Sudafrica in particolare è molto preoccupato. Gli attacchi minacciano inoltre quello che potrebbe essere il più imponente progetto energetico della storia in Africa: lo sviluppo di giacimenti di gas naturale nel bacino del Rovuma. Prima di quest’anno gli analisti prevedevano da parte delle compagnie energetiche una spesa di cento miliardi di dollari entro il 2030 per trasformare il Mozambico nel “Qatar africano”.
Cabo Delgado è da tempo la regione più trascurata del Mozambico. Ha sofferto molto durante la guerra di indipendenza (1964-1974) e durante quella civile (1977-1992). Ha i più elevati tassi di analfabetismo, disuguaglianza e malnutrizione infantile del paese. È una delle poche province a maggioranza musulmana che per lungo tempo ha seguito una tradizione sufi moderata.
Questa tradizione ha cominciato a vacillare negli anni duemila. Muhammad Cheba del Consiglio islamico del Mozambico, un organismo riconosciuto dallo stato, ricorda come alcuni giovani fedeli abbiano cominciato a indossare con insistenza le scarpe nelle moschee, perché così, dicevano, faceva il profeta. Poi, più o meno nel 2008, è stata fondata la setta Ahlu sunnah wa jamo (aderenti alla tradizione profetica, Aswj). In un rapporto pubblicato lo scorso anno dal centro di ricerca mozambicano Iese si evidenzia come il gruppo sia sotto la pesante influenza degli islamisti dell’Africa orientale. Mocímboa da Praia si trova su una rotta migratoria storica, nei pressi del confine poroso con la Tanzania. Sono stati individuati stretti legami tra il gruppo Aswj e alcune cellule in Kenya, Somalia, nella regione dei Grandi laghi e in Tanzania.
I fondamentalisti accusano i leader musulmani dominanti di essere in combutta con un’élite composta da boss criminali ed esponenti del partito al potere, il Frelimo. Il risultato è un club che esclude i musulmani della provincia di lingua swahili o mwani dalle opportunità nei settori economici legali o illegali che fioriscono a Cabo Delgado. Il contrabbando di avorio, rubini, legname ed eroina è dilagante. Questi traffici implicano stretti legami tra criminalità organizzata e politici.
Storia di una radicalizzazione
Il vescovo di Pemba, Luiz Fernando Lisboa, si interroga sui benefici per la gente degli investimenti fatti dalle grandi aziende. Agricoltori e pescatori sono stati sradicati per far posto alle infrastrutture minerarie ed energetiche.
A Cabo Delgado è diffusa una profonda sfiducia nelle élite locali, aggiunge Joseph Hanlon della London school of economics. Si ritiene per esempio che provochino epidemie di colera e inducano i leoni a mangiare le persone. Il percorso che ha condotto l’organizzazione della regione, inizialmente una setta, a dare vita a una vera e propria insurrezione è paragonabile alla storia di Boko haram, secondo Eric Morier-Genoud della Queen’s university di Belfast.
I jihadisti dicono di volere solo la sharia, ma a quanto pare controllano le rotte dei traffici illegali nel paese
Dal 2013 i suoi affiliati hanno cominciato a chiamarsi Al Shabaab (gioventù), come l’organizzazione somala (con la quale il gruppo non intrattiene a quanto pare rapporti diretti). Due anni dopo è cominciato l’addestramento militare. Nel 2017 ha attaccato per la prima volta a Mocímboa da Praia. Oggi si ritiene che nella provincia ci siano diverse unità i cui militanti provengono dal Mozambico settentrionale, dalla Tanzania e dalla Repubblica Democratica del Congo, ma non solo.
Nel primo trimestre del 2020 sono stati condotti più attacchi che in qualsiasi altro trimestre dall’inizio della guerra. Le incursioni si sono spinte più a sud. Prima attaccavano con i machete, adesso i combattenti hanno armi automatiche.
A differenza dei jihadisti di Boko haram, affamati di pubblicità, i ribelli di Cabo Delgado hanno registrato due soli video contenenti le classiche richieste: l’imposizione della sharia e la chiusura delle scuole laiche. “Non combattiamo per la ricchezza, vogliamo solo la legge islamica”, ha dichiarato un combattente.
Questo non è forse del tutto vero. Sebbene i ribelli non controllino le città, a quanto pare mantengono il controllo delle rotte dei traffici illegali che le attraversano. Potrebbero trarre parte dei loro finanziamenti da uomini d’affari coinvolti nel contrabbando. Giovani reclute povere ricevono soldi per unirsi all’organizzazione. Se non combattono rischiano la decapitazione. L’attacco del 23 marzo suggerisce inoltre che l’organizzazione si sta avvicinando al gruppo Stato islamico (Is). Nel luglio 2019 l’Is ha rivendicato l’appartenenza dei ribelli alla sua filiale centroafricana. Secondo l’analista esperta di sicurezza Jasmine Opperman, la natura degli ultimi attacchi, destinati alla conquista ma non al controllo di piccoli centri, corrisponde alla strategia del gruppo Stato islamico.
Non è altrettanto chiaro se gli attacchi siano effettivamente diretti dal gruppo Stato islamico. Il video del 23 marzo sembrava finalizzato al reclutamento di mozambicani, sottolinea Morier-Genoud, secondo cui nonostante il legame si stia rafforzando, l’insurrezione resta legata a questioni locali.
La risposta delle autorità è stata controproducente. La polizia ha arrestato centinaia di “sospetti”, alcuni dei quali sono stati trattenuti in carcere senza processo. I soldati coscritti inviati a nord non parlano le lingue locali, i loro equipaggiamenti sono inadeguati e il loro morale è a terra.
Per rafforzare le sue forze l’anno scorso il presidente Filipe Nyusi si è rivolto al gruppo Wagner, mercenari russi legati al Cremlino, ma perfino loro hanno avuto grosse difficoltà e hanno perso almeno undici uomini. Il ruolo del gruppo Wagner, come molti altri aspetti di questo conflitto, è oscuro. Alcuni giornalisti locali sono stati arrestati per aver parlato delle violenze. “Non vogliono che il mondo sappia di questo conflitto”, afferma uno di loro.
Le aziende energetiche coinvolte nello sviluppo del bacino del Rovuma, come la Total e la ExxonMobil, hanno cercato di isolarsi dal caos. Le imprese di sicurezza ricevono più di un milione di dollari al mese per tenere al sicuro i lavoratori. Queste guardie arruolano scorte armate provenienti dai reparti migliori delle forze governative. Una pista d’atterraggio è stata costruita a Pelma, la cittadina che serve gli impianti offshore.
Dalla fine della guerra civile il Frelimo non ha mostrato di avere a cuore la gente di Cabo Delgado, ma ha a cuore le sue spoglie. E il rischio di perdere miliardi di dollari di introiti provenienti dallo sfruttamento del gas potrebbe indurlo a ripensare la sua strategia. Mentre tergiversa, però, il sostegno di cui godono i jihadisti potrebbe aumentare. In un video dell’attacco del 23 marzo pare si vedano degli abitanti del posto applaudire i ribelli. Se un governo perde la battaglia per la conquista dei cuori e delle menti contro dei jihadisti omicidi significa che è davvero nei guai.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.
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