In Cile sei milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose del vaccino contro il covid-19 (quarto posto nella classifica mondiale) e il governo si prepara a raggiungere l’obiettivo di vaccinare l’80 per cento dei suoi 19 milioni di abitanti entro il 30 giugno 2021.
Questo programma preciso e ordinato contrasta con il resto dell’America Latina. La regione è caratterizzata da divisioni, disuguaglianze e problemi amministrativi. Nel caso del nuovo coronavirus, questi problemi causeranno la perdita di vite umane. Colombia, Ecuador, Venezuela e altri paesi più piccoli hanno appena cominciato a vaccinare le persone. Il Messico, con il 2 per cento della popolazione vaccinata fino al 1 marzo, è al di sotto della media mondiale del 3,5 per cento. In Brasile (4 per cento) il programma è ostacolato dalla variante P.1 del virus, che si diffonde più rapidamente e sembra insensibile alle immunità naturali precedenti. I responsabili della sanità dei 27 stati del Brasile hanno annunciato che il paese sta vivendo “il momento peggiore” della pandemia.
I rallentamenti sono dovuti in primo luogo alla mancanza di vaccini a livello globale, soprattutto di quelli prodotti dalle compagnie farmaceutiche in occidente, le cui scorte sono andate soprattutto ai mercati interni dei vari paesi. Argentina, Brasile e Messico vorrebbero produrli, ma hanno difficoltà a reperire i componenti e le fiale.
Gli errori della politica
Tuttavia, i problemi nascono anche dagli errori dei governi. Mentre l’Unione africana ha effettuato ordini sostanziosi con largo anticipo, la mancanza di coordinamento ha creato una competizione tra i vari paesi dell’America Latina, come sottolinea Ernesto Ortiz dell’Istituto per la salute mondiale dell’università di Duke. In questa situazione il Cile ha potuto contare su due carte vincenti: intanto, a metà del 2020 il governo aveva stretto un accordo con diverse compagnie farmaceutiche impegnandosi a ospitare gli studi sui vaccini per incoraggiare una consegna anticipata delle dosi; e poi il programma vaccinale cileno ha un database digitale aggiornato.
Molti altri governi, invece, hanno dovuto portare avanti negoziati complessi per ottenere le dosi. I risultati sono pieni di “incoerenze”, spiega Clare Wenham, esperta sanitaria della London school of economics. Secondo Wenham vaccini diversi, priorità diverse e piani di distribuzione possono complicare la ripartenza delle economie nella regione. Le incoerenze derivano anche dalla gestione politica. In Brasile la distribuzione dei vaccini è stata particolarmente caotica perché il governo del presidente Jair Bolsonaro, che nega la gravità della pandemia, non se n’è occupato.
In Messico, altro paese federale, il governo di Andrés Manuel López Obrador ha assunto il controllo del piano vaccinale sottraendolo agli stati. Con un’importante elezione alle porte, il governo ha deciso che 333 municipalità “molto emarginate” avrebbero dovuto ricevere per prime i vaccini. Sono soprattutto aree rurali meno colpite dalla pandemia rispetto alle città. Inoltre, gli insegnanti sono stati vaccinati prima degli infermieri, che però sono più esposti. Manovre politiche per ottenere un ritorno elettorale.
Altrove sono i potenti a essersi fatti vaccinare per primi. Lo scorso febbraio in Perù il ministro della salute e quello degli esteri si sono dimessi quando si è scoperto che facevano parte delle 487 personalità di spicco vaccinate in segreto con dosi fornite dalla Sinopharm, una compagnia cinese. Nella lista c’era anche il nome di Martín Vizcarra, rimosso dall’incarico di presidente della repubblica a novembre 2020 per un’accusa di corruzione risalente al 2014. I ministri della sanità in Argentina ed Ecuador si sono dimessi dopo scandali simili. Tutto questo non ha sicuramente favorito la credibilità della democrazia nei paesi coinvolti, oltre ad aver “alimentato la sfiducia nei piani vaccinali”, sottolinea Ortiz. I sondaggi indicano che in Perù l’indecisione sui vaccini è aumentata rispetto ad agosto 2020.
I vaccini attualmente disponibili nella regione arrivano soprattutto da Cina e Russia, più rapide nelle consegne rispetto ai rivali occidentali. La Cina commercia molto e investe grandi cifre in America Latina, e la diplomazia dei vaccini potrebbe regalarle il suo primo “soft power”. La Russia, invece, era quasi scomparsa dalla regione dopo la fine della guerra fredda. Ora è tornata indossando i panni della benefattrice.
La vaccinazione è una maratona, non uno sprint. Secondo l’università di Duke fino al 27 febbraio 2021 i governi latinoamericani avevano ordinato 550 milioni di dosi dei vaccini prodotti in occidente, 213 milioni di quelli prodotti in Cina e 72 milioni di quelli in Russia. Nei prossimi mesi le dosi occidentali dovrebbero arrivare in massa.
Se la regione riuscirà a ottenere l’immunità e arginerà le nuove varianti, è possibile che dimenticheremo sia gli scandali sia da dove sono arrivati i primi vaccini. Ma è più probabile che i fallimenti dei piani vaccinali abbiano conseguenze politiche e diplomatiche durature.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.
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