A una velocità orbitale un frammento di rifiuti spaziali grande come una pallina da tennis contiene abbastanza energia da distruggere un satellite. È quindi sensato monitorare i rifiuti orbitanti, soprattutto per far cambiare rotta ai veicoli spaziali e tenerli lontani dai pericoli. Quanto sia difficile è apparso evidente il 23 aprile, mentre la capsula spaziale di SpaceX stava accelerando verso la Stazione spaziale internazionale. L’equipaggio si stava preparando per andare a dormire, quando la base di controllo a terra ha improvvisamente annunciato che avevano solo venti minuti per completare una procedura di sicurezza prima di un potenziale impatto. Poi l’oggetto, probabilmente un pezzo di un veicolo spaziale ormai in disuso, è passato lontano da loro senza provocare danni.

Oggi la spazzatura dello spazio è mappata soprattutto dai radar. Ma dei 34mila oggetti orbitanti di un diametro di dieci centimetri o più che si stima esistano, solo circa 29mila sono monitorati con ragionevole precisione. I pezzi più piccoli sono più numerosi e difficili da seguire. Quelli larghi tra uno e dieci centimetri sono più di novecentomila; quelli di almeno un millimetro sono forse 128 milioni.

Anche i piccoli frammenti di detriti possono creare danni. A maggio l’Agenzia spaziale canadese ha dichiarato che un pezzo di rifiuti non monitorato aveva provocato un buco di cinque millimetri sul Canadarm2, un arto robotico collegato alla stazione spaziale internazionale.

Affollamento in orbita
A mano a mano che gli oggetti in orbita si moltiplicano, il pericolo cresce. Ogni anno, decine di pezzi di detriti spaziali di grandi dimensioni vengono generate da collisioni, esplosione di carburante per razzi, rottura di serbatoi pressurizzati o di vecchie batterie. La radiazione solare stacca pezzi di vernice e metallo. E il numero di lanci spaziali è in aumento. Secondo BryceTech, un’azienda di consulenza in Virginia, alla fine del 2001 c’erano 771 satelliti attivi in orbita intorno alla Terra. Dieci anni dopo il numero era cresciuto a 965. Da allora è quasi quintuplicato – sono circa 4.500 – e questa cifra non include i satelliti defunti. I satelliti piccoli ed economici, inoltre, sono un settore in piena espansione. Maciej Konacki, un astronomo dell’Accademia delle scienze polacca di Varsavia, che ha studiato la questione per l’Unione europea, calcola che entro la fine del decennio ci potrebbero essere centomila satelliti attivi in orbita.

Un segno di quest’affollamento arriva dalle previsioni di potenziali impatti quasi raddoppiate negli ultimi anni, secondo Space Data, un’associazione di categoria con sede nell’isola di Man che calcola i rischi di collisione per i suoi membri. Ma ci sono alcune buone notizie. In parte l’aumento del numero d’impatti previsti è dovuto a proiezioni più precise. Con la crescita della qualità e della quantità di informazioni oggi si possono prevedere molte potenziali collisioni che in passato sarebbero passate inosservate.

Gli europei temono che un giorno i dati statunitensi sui detriti smetteranno di essere gratuiti e liberamente accessibili

I radar gestiti dal dipartimento della difesa degli Stati Uniti sono stati a lungo i principali strumenti di conoscenza della situazione spaziale. Poco più di dieci anni fa le correzioni di posizione avevano una precisione di poche centinaia di metri. Da allora, dice François Laporte, un esperto del Cnes, l’agenzia spaziale francese, la precisione del tracciamento dei detriti statunitensi è migliorata in modo “straordinario e meraviglioso”, fino a poche decine di metri.

Un grande progresso è stato lo Space fence, un sistema radar costruito nelle isole Marshall per conto dell’aviazione statunitense. Il suo creatore, l’azienda di armamenti Lockheed Martin, lo pubblicizza come il radar più avanzato del mondo. È entrato in servizio nel marzo 2020 e oggi effettua due milioni di osservazioni al giorno, molte relative a oggetti ravvicinati di appena cinque centimetri di diametro. Con il tempo questo grado di osservazione dovrebbe far più che triplicare il numero di oggetti le cui orbite sono aggiornate in un catalogo custodito dal diciottesimo squadrone di controllo spaziale, presso la base Vandenberg, in California.

Dal 2014 anche l’Unione europea dà il suo contributo. Sette paesi membri mettono in comune le loro risorse di sorveglianza e tracciamento spaziale in base a un accordo chiamato European union space surveillance and tracking consortium. Gli europei temono che un giorno i dati statunitensi sui detriti smetteranno di essere gratuiti e liberamente accessibili. Anche l’orgoglio gioca la sua parte. Secondo Laporte, i responsabili spaziali europei vogliono vedere i detriti da soli, “non solo tramite gli statunitensi”. Il consorzio deve ancora aumentare il numero di oggetti catalogati. “Siamo molto indietro rispetto agli statunitensi”, dice Laporte. Ma gli operatori satellitari vedono comunque di buon occhio il loro sforzo.

Probabilità di collisione
Uno dei problemi è la mancanza di consenso su quale sia il modo migliore per prevedere l’orbita futura di un oggetto. Affinché questo sia possibile la sua posizione dev’essere registrata più volte, per osservare come il suo percorso viene alterato dalle spinte gravitazionali della Terra, della Luna e del Sole, dalla pressione impressa dalla radiazione solare e, nelle orbite basse, dalla resistenza causata da sbuffi d’aria dell’atmosfera superiore, e così via. Squadre diverse spesso arrivano a risultati diversi, spiega Konacki. Qualsiasi dato supplementare dovrebbe contribuire a rendere il processo più preciso.

Anche il settore privato sta intensificando gli sforzi. Ad aprile la LeoLabs, un’azienda della Silicon valley, ha attivato la sua quarta stazione radar per il tracciamento dei detriti. Questa struttura, in Costa Rica, si aggiunge a quelle esistenti in Alaska, Nuova Zelanda e Texas. Una quinta è in costruzione nelle Azzorre. Oggi la LeoLabs può tracciare oggetti poco più grandi di palline da tennis. La lunghezza d’onda corta e l’alta potenza dei radar fanno sì che in futuro si potrebbero tracciare frammenti di detriti di appena due centimetri di diametro.

La LeoLabs vende i dati agli operatori satellitari, alle agenzie spaziali, alle forze armate statunitensi e agli assicuratori desiderosi di definire migliori tabelle di analisi attuariale che consentono di calcolare le probabilità di rischio per i veicoli spaziali. Secondo Dan Ceperley, il capo dell’azienda, le agenzie governative spesso impiegano diverse ore per rispondere alle richieste sulla probabilità di collisione di un satellite. Il sito della sua azienda permette ai clienti di vedere in pochi secondi se una manovra prevista porterà, nella settimana successiva, a un pericolo causato da uno degli oggetti presenti nel catalogo della LeoLabs.

Per trovare oggetti in orbite alte, tuttavia, né i laser né i radar sono di grande aiuto

Oltre che con i radar, i detriti possono essere monitorati anche otticamente. In collaborazione con la Curtin university di Perth, in Australia, la Lockheed Martin gestisce Fireopal, un sistema di venti telecamere poco costose puntate sul cielo da varie parti del paese. Per diverse ore all’alba e al tramonto, quando le telecamere sono al buio ma la luce del Sole illumina ancora i detriti che orbitano sopra di loro, scattano foto ogni dieci secondi. Più un oggetto è vicino, più sembra muoversi in rapporto alle stelle, il che permette di calcolarne la posizione. Per gli oggetti a un’altitudine di quattrocento chilometri, dice Phil Bland, uno dei responsabili del progetto, il sistema è preciso fino a un raggio di trenta metri.

Finora il più grande successo di Fireopal è stato localizzare un satellite di mezzo metro di diametro, a 26mila chilometri d’altezza. Gli oggetti più piccoli che le lenti catturano nelle orbite basse hanno un diametro di circa trenta centimetri. Secondo Rod Drury, l’omologo di Bland alla Lockheed, l’azienda prevede di espandere Fireopal in tutto il mondo.

Pericoli nascosti
Un’alternativa sono i laser. Oggi circa quaranta aziende inviano degli impulsi laser verso i “retroriflettori” montati su molti satelliti. La registrazione del tempo di ritorno permette di calcolare le posizioni con una precisione di pochi millimetri. Sette stazioni laser usano anche un impulso più potente, capace d’individuare i detriti senza retroriflettori, fino a una distanza di circa un metro.

Per trovare oggetti in orbite alte, però, né i laser né i radar sono di grande aiuto. Ma i telescopi funzionano. La ExoAnalytic solutions, un’azienda californiana, rintraccia detriti fino a 170mila chilometri di distanza – quasi a metà strada tra la Terra e la Luna – usando strumenti “che si trovano sugli scaffali” dei negozi d’astronomia. Almeno a quanto dice Clint Clark, il vicepresidente delle “prime impressioni” dell’azienda, come alcuni capi del marketing amano essere chiamati in California.

Per quanto riguarda i detriti in orbita geosincrona, a soli 36mila chilometri di altezza, i trecento telescopi della ExoAnalytic, sparsi in 35 cluster posizionati su cinque continenti e alle Hawaii, tracciano oggetti grandi come un pompelmo con una precisione di circa dieci metri. Tra i clienti ci sono assicuratori desiderosi di vedere se gli assicurati fanno effettivamente volare i loro satelliti in maniera sicura come dicono.

Simili sforzi sono impressionanti. Nonostante questo, secondo Ceperley della LeoLabs serve una capacità di tracciamento dieci volte superiore a quella disponibile oggi. Questa domanda ha permesso alla Northstar Earth & Space, una nuova azienda di Montréal, di raccogliere fondi per costruire, al costo di 25 milioni di dollari l’uno, tre satelliti da cento chili che useranno telecamere telescopiche per monitorare i detriti in orbita. Il piano, secondo il capo della Northstar, Stewart Bain, è di lanciare nel 2023 i satelliti in un’orbita con un’altitudine di 575 chilometri: l’equivalente celeste, dice scherzando, di una “casa in riva al mare o sulla costa”. Se tutto andrà bene, a questi se ne aggiungeranno altri nove, creando così un panopticon forte di una dozzina di satelliti.

Per i clienti niente è a buon mercato. La Northstar, per esempio, prevede di far pagare abbonamenti annuali tra i dieci e i cento milioni di dollari. Ma questa cifra non garantirà solo un certo livello di protezione dalle collisioni. Permetterà anche che le manovre per evitare le collisioni siano messe a punto nel miglior modo possibile, o diventino addirittura superflue. Si risparmierà carburante, allungando la vita utile di un satellite. E si ridurranno le pause nel servizio, che sono quasi inevitabili quando viene regolata l’orbita di un satellite.

Questa tecnologia di tracciamento orbitale ha anche un valore militare. Conoscere le orbite degli oggetti può rivelare molte cose sulle capacità di un avversario, anche la sua strumentazione militare spaziale. I movimenti che deviano dai normali modelli sono i più rivelatori, dice Scott Norr, un esperto della Lockheed nell’uso dello Space fence per l’intelligence militare. Norr cita il caso di un oggetto che era stato considerato solo un detrito proveniente da un lancio militare russo. Nel maggio 2014 il “detrito” ha preso vita. Da allora i suoi movimenti hanno alimentato i timori che possa trattarsi di un’arma antisatellitare. Resta da vedere se altri oggetti “dormienti” di questo tipo sono nascosti, in piena vista, tra le montagne di spazzatura che orbitano intorno alla Terra.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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