Di Dmytro Averin, Freek van der Vet, Iryna Nikolaieva e Nickolai Denisov

La guerra in Ucraina infuria su uno dei territori più industrializzati e inquinati al mondo. L’industria pesante sovietica aveva già lasciato in eredità una situazione disastrosa per la salute pubblica, ma l’invasione russa rischia di danneggiare ulteriormente gli ecosistemi della regione. L’impatto ecologico del conflitto serve a ricordarci che, anche quando la guerra finirà, le conseguenze delle violenze commesse continueranno a pesare sulle generazioni future.

La guerra inquina, in particolare quando sono colpite le industrie ad alto rischio. Tra il 2014 e il 2022, il conflitto nel Donbass, una regione molto industrializzata dell’Ucraina orientale, ha messo seriamente in pericolo l’ambiente e la salute degli abitanti. L’invasione russa dell’Ucraina, con il conseguente controllo delle centrali nucleari, gli attacchi alle città, alle centrali elettriche e alle imprese ad alto rischio, aumenta in modo drammatico la possibilità di una catastrofe per l’ambiente e la salute pubblica. È difficile riconoscere da che parte stia la verità in guerra: quando monitorare i parametri ambientali sul campo diventa impossibile, la disinformazione è all’ordine del giorno, e quindi le capacità di comprendere e limitare il danno ambientale si fanno meno concrete.

Oltre alle numerose vittime civili e a un dislocamento della popolazione senza precedenti in Europa dalla seconda guerra mondiale, l’invasione russa avrà forti ripercussioni non solo in Ucraina, ma anche in Russia, Bielorussia, Moldavia e in diverse parti dell’Europa orientale. Gli effetti a lungo termine della guerra vanno dall’inquinamento duraturo dell’ambiente, alla perdita di ecosistemi, di terreno coltivabile e mezzi di sostentamento, fino ai disastri industriali che sono molto probabili in un paese come l’Ucraina.

Il disastro del Donbass
Nel 2013 e nel 2014, dopo un’ondata di proteste in Ucraina in risposta alla decisione del governo di rinunciare alla stipulazione di un accordo di associazione con l’Unione europea, una serie di contro proteste filorusse erano scoppiate nel Donbass, una regione a maggioranza russofona. Nel corso del 2014, con il supporto di agenti russi sotto copertura, le manifestazioni e le occupazioni di edifici governativi nel Donbass si erano intensificate fino a trasformarsi in una guerra tra le forze armate ucraine e le milizie separatiste sostenute dalle truppe e dai paramilitari russi. Anche se Mosca ha sempre negato il suo coinvolgimento, di fatto ha stabilito un controllo su parti della regione del Donbass, installando dei delegati, fornendo armamenti e aprendo un presidio militare. Da allora, nelle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk (Dnr) e di Luhansk (Lnr) sono state commesse numerose violazioni dei diritti umani, come la tortura e le deportazioni forzate. Oltre ai bombardamenti, che non si sono mai del tutto fermati, negli ultimi otto anni sono state frequenti le interruzioni nelle forniture di elettricità, riscaldamento e acqua potabile.

Da quando è cominciato il conflitto, le aree delle miniere di carbone abbandonate in Donbass si stanno riempiendo di sostanze tossiche

Numerose organizzazioni ucraine e internazionali, tra cui Zoï environmental network, Ecoplatform, Ceobs, Pax, Environment-people-law, Truth hounds e Osce, denunciano da anni le possibili conseguenze della guerra sull’ambiente. Sede di circa 4.500 imprese minerarie metallurgiche e chimiche, il Donbass era già una regione martoriata dall’inquinamento umano, che qui ha causato un disastro ambientale. L’8 per cento delle industrie ha installazioni precarie che costituiscono una minaccia per l’ambiente. La regione è sede di 200 dei 465 siti di stoccaggio per rifiuti industriali (Tfs). All’apparenza sembrano ampi stagni, ma qui vengono sversati gli scarti e le sostanze tossiche prodotte dall’industria mineraria, chimica ed energetica della regione. Alcune di queste imprese sono state abbandonate dai loro proprietari o sono andate in rovina. Molte si trovavano nelle immediate vicinanze della linea di fronte.

Da quando il conflitto è cominciato, le aree delle miniere di carbone abbandonate in Donbass si stanno riempiendo di sostanze tossiche e talvolta radioattive. Molti rischi ambientali derivano dall’improvvisa interruzione dell’attività estrattiva: l’acqua usata nel processo deve essere pompata in continuazione, se il flusso si arresta, l’acqua tossica riempie i condotti minerari e sale, eventualmente raggiungendo e inquinando il terreno e le sorgenti potabili. L’acqua inquinata di un condotto si riversa negli altri perché molti dei condotti minerari sono collegati. Nella miniera di Yunyi Komunar (Yunkom), per esempio, nel 1979 si verificò un’esplosione nucleare causata dall’accumulo di gas. Anche le miniere di Luhansk, Proletarska e H.H. Kapustin potrebbero contenere rifiuti radioattivi. Segnalazioni sull’allagamento nella miniera di Yunyi Komunar fanno temere che i liquidi tossici possano contaminare il terreno e le falde idriche.

Future emergenze ambientali, come cedimenti nelle dighe delle installazioni di stoccaggio dei residui, potrebbero inquinare il fiume Siverskyi Donets, una risorsa di acqua potabile di primaria importanza per un’ampia parte della regione del Donbass. In queste condizioni, il disastro ambientale potrebbe varcare i confini ucraini, espandendosi oltre al mar d’Azov e fino al mar Nero.

Questi pericoli, già descritti in numerosi studi, aumenteranno significativamente a causa dell’invasione cominciata il 24 febbraio 2022. Qualche giorno prima dell’offensiva russa, un missile Mlrs Grad ha colpito la centrale di energia termica di Luhansk a Shchastia, causando interruzioni dell’energia elettrica e una colonna di fumo tossico.

Dentro gli argini di quelli che appaiono come laghi calmi giacciono fanghi, acque e residui minerari tossici generati durante il processo di scavo

Il 13 marzo i bombardamenti hanno danneggiato i centri di produzione e le tubature della centrale a carbone di Avdiivka, il principale produttore nel paese di questo combustibile che viene usato in prevalenza dal settore industriale. Danni alle installazioni vitali della centrale potrebbero provocare il rilascio di sostanze nocive. Anche la centrale di energia termica che riscalda la città di Avdiivka ha subìto danni nel corso degli attacchi. A Sumy i bombardamenti russi hanno provocato nuvole di ammoniaca tossica. La fornitura d’acqua di numerose città ucraine tra cui la regione di Donetsk e Mariupol è stata interrotta dai bombardamenti appena prima che la guerra scoppiasse, le conseguenze peggiori si sono registrate durante il primo mese di conflitto.

Oggi, molte ong e osservatori, come Pax, Conflict and environment observatory e Zoï environment network, riferiscono che la Russia ha attaccato centrali nucleari e idroelettriche, condutture e depositi di carburante e altre infrastrutture industriali in tutta l’Ucraina. Il bombardamento indiscriminato delle città non provoca solo sofferenze umane inenarrabili, ma distrugge e inquina anche l’ambiente urbano, un aspetto che peggiora ulteriormente la qualità di vita degli abitanti, anche per le generazioni future.

Catastrofi nucleari e inondazioni tossiche
I gravi rischi ambientali di questa guerra erano chiari sin dall’inizio. Il movimento delle truppe russe nella zona di esclusione della centrale di energia nucleare di Chernobyl, già sede del disastro nucleare del 1986, ha causato un picco nelle radiazioni gamma. Il 9 marzo, alcuni rapporti hanno sollevato preoccupazione per l’eventualità crescente di un incidente nucleare a Chernobyl a causa di blackout, esaurimento fisico del personale e stop delle comunicazioni con la centrale di energia nucleare . Il 10 marzo, un attacco aereo ha bloccato i rifornimenti di energia per il centro di ricerca nucleare Source of neutrons di Charkiv. Il fuoco dei carri armati russi ha danneggiato i reattori della centrale di Zaporizhzhia, compromettendo il loro funzionamento e isolandoli dalla rete elettrica. Anche se nel suo ultimo aggiornamento l’Agenzia internazionale dell’energia atomica ha scritto che i livelli di radiazione in tutti i reattori operativi in Ucraina sono normali, non esiste un modo diretto per confermarlo e la sicurezza delle centrali in prossimità della linea di fronte rimane precaria.

Il timore di una catastrofe nucleare è fondato, ma dovrebbero preoccupare allo stesso modo i disastri che deriverebbero da danneggiamenti e perdite nelle installazioni di stoccaggio dei residui delle industrie chimiche e minerarie. Dentro gli argini di quelli che appaiono come laghi calmi giacciono fanghi, acque e residui minerari tossici generati durante il processo di scavo. Senza una manutenzione adeguata, queste installazioni finiranno per deteriorarsi e rilasciare inquinanti nell’ambiente, che andranno a contaminare le acque di superficie e le falde.

Oltre che per la mancata manutenzione, le strutture di contenimento possono rompersi a causa di eventi esterni, come un attacco militare. Le catastrofi causate dal malfunzionamento delle dighe sono sempre più frequenti nel mondo. Solo dieci anni fa, lo sversamento avvenuto nella miniera finlandese di Talvivaara a Sotkamo, dove si estrae principalmente nichel e zinco, ma anche uranio come materiale accessorio, ha contaminato almeno cento ettari di ecosistemi lacustri e paludosi con metalli pesanti e scorie radioattive. Il rilascio di cianuro vicino a Baia Mare, in Romania, nel 2000, in uno degli impianti della compagnia di estrazione dell’oro Aurul, ha inquinato il fiume Tisza e ampie aree del Danubio. Al tempo è stata indicata come la peggiore catastrofe ambientale in Europa dopo Chernobyl.

Oggi la guerra in Ucraina minaccia la sicurezza delle 465 installazioni di stoccaggio e degli oltre sei miliardi di tonnellate di rifiuti tossici in esse contenute: oltre a essere accidentali, gli attacchi a questi siti potrebbero essere intenzionali. Circa il 60 per cento delle installazioni di stoccaggio dei residui in Ucraina è obsoleto e alcune sono state abbandonate dai loro proprietari, mentre quasi tre quarti sono già considerati potenzialmente pericolosi. Molte installazioni di stoccaggio sono situate vicino a zone che ospitano riserve di acqua potabile e prossime ai centri abitati. Eventuali malfunzionamenti di queste installazioni potrebbero causare l’inquinamento dei maggiori fiumi dell’Ucraina come il Dniester, il Dnipro e il Siverskyi Donets che attraversano Russia, Moldavia e Bielorussia.

Guerra ambientale e disinformazione
La guerra in Ucraina avviene in un contesto di ottimismo crescente alimentato dalla nostra presunta capacità di proteggere l’ambiente anche in un contesto di conflitto. Si fonda sulla nostra convinzione di riuscire ad attribuire le responsabilità a stati e individui per i danni ambientali.

Fino a poco tempo fa, le conseguenze ambientali della guerra sono state largamente ignorate dalla politica internazionale. Ancora nel 2014, l’allora segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, dichiarava che l’ambiente è la vittima silenziosa della guerra. Gli ultimi sviluppi, come i princìpi per la protezione dell’ambiente in relazione ai conflitti armati della Commissione per il diritto internazionale (Perac), che dovrebbero essere codificati nel 2022, e la nuova proposta di definizione legale di ecocidio, hanno rinnovato l’ottimismo per la possibilità di perseguire i crimini ambientali durante i conflitti armati. Allargare il mandato della Corte penale internazionale per includere questo tipo di reati rafforza ancora di più la causa, anche se raccogliere prove convincenti e dati affidabili in tempo di guerra è molto complicato.

L’interruzione del monitoraggio regolare dell’ambiente, la mancanza di accesso ai siti nella zona di guerra, l’inaffidabilità dell’informazione nei mezzi d’informazione ufficiali e nei social media, così come le campagne di disinformazione mirate, sono tutti fattori che complicano questa sfida. Queste ultime in particolare indicano operazioni possibilmente pianificate “sotto falsa bandiera” con sostanze chimiche, biologiche e anche radioattive, in un un contesto in cui l’informazione ambientale è sempre più utilizzata come arma. Nel 2018, documenti falsi distribuiti da gruppi di hacker sostenevano che gli Stati Uniti e le autorità ucraine avessero avvelenato le forniture d’acqua con materiale radioattivo proveniente dal sito di stoccaggio di Vakelenchuk. Un’organizzazione ambientale ucraina ha [dichiarato](http://ha dichiarato) che il suo rapporto su bombardamenti e danni ambientali a Savur-Mohyla è stato usato da esperti russi per incolpare l’Ucraina degli attacchi presi in considerazione nello studio.

Oggi replicare a tale disinformazione in tempo di guerra è sempre più difficile, perché mancano competenze e accesso diretto ai luoghi contaminati, dal momento che anche gli esperti ambientali sono stati costretti a fuggire o sono stati deportati. Molti, però, continuano il loro lavoro e si stanno moltiplicando gli sforzi per assicurare che il danno ambientale di questa guerra non sia trascurato. A questo proposito, organizzazioni internazionali come la Croce rossa potrebbero giocare un ruolo importante nel prevenire i disastri, negoziando sui princìpi del diritto umanitario internazionale. Esistono regole sui divieti di ingaggio che salvaguardano dighe, argini e centrali nucleari, stabilite nella convenzione di Ginevra e nelle linee guida sulla protezione dell’ambiente naturale durante i conflitti armati.

Oltre a favorire la raccolta e la valutazione di dati essenziali e a dare una mano alle autorità ambientali indebolite a ogni livello, la comunità internazionale dovrebbe anche prepararsi a sostenere sforzi importanti nel promuovere l’inclusione della questione ambientale all’interno delle linee guida che regoleranno la fase di ricostruzione nel dopoguerra. Sarà inoltre necessario aiutare il paese a far sì che anche il doveroso rilancio dell’economia avvenga senza nuovi costi per l’ambiente.

(Traduzione a cura di Voxeurop)

Questo articolo è uscito sul Green European Journal. In collaborazione con Voxeurop.

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