Dimenticatevi gli sgargianti dittatori arabi in abiti militari carichi di medaglie o vestiti con appariscenti abiti tribali. Bashar al Assad, presidente della Siria, è l’immagine della modestia. Di solito non indossa gioielli, nessuna fede nuziale e nemmeno un vistoso orologio. Il suo abito preferito è un semplice completo nero con cravatta. I suoi discorsi sono una cura per l’insonnia. Eppure, in una regione di governanti cleptocrati, pochi hanno saccheggiato in maniera così totale le casse del proprio paese.
La vita del suo popolo sarebbe dovuta migliorare dopo la sconfitta del gruppo Stato islamico nel 2019 e la riconquista, da parte del regime, di ampie porzioni di territorio controllate dai ribelli. Invece è peggiorata. L’elettricità è più spesso assente che funzionante. La popolazione delle aree sotto il controllo del regime si è dimezzata dall’inizio della ribellione nel 2011: il 90 per cento di loro vive in povertà e molti sopravvivono grazie agli aiuti stranieri e alle rimesse dall’estero.
La valuta ha perso il 90 per cento del suo valore. I funzionari danno la colpa alle sanzioni occidentali, al covid-19, al crollo delle banche nel vicino Libano e, più recentemente, alla guerra in Ucraina, un’importante fonte di grano. Ma la causa principale è la cannibalizzazione del paese da parte di Assad. “Governa come un boss mafioso”, dice un confidente che ha recentemente disertato.
Il cambio della guardia
Copiando il principe ereditario dell’Arabia Saudita, qualche anno fa Assad decise di scuotere le fondamenta di un establishment monolitico. Uomini d’affari di alto livello furono convocati all’hotel Sheraton di Damasco. Alcuni di quanti si erano rifiutati di consegnare beni o azioni furono trattenuti per ulteriori interrogatori nella sezione 251, uno dei centri di detenzione del suo servizio di sicurezza a Damasco, noto per le torture. Rami Makhlouf, cugino di primo grado di Assad e principale intermediario del regime, è stato messo agli arresti domiciliari. Molti degli uomini più ricchi della Siria, banchieri, commercianti e produttori di vino sono fuggiti dal paese. Centinaia di aziende sono state sequestrate o chiuse.
Secondo un rapporto di Harmoon, un centro studi con sede a Istanbul, al loro posto è subentrata una schiera di magnati più equivoci. Molti sono signori della guerra che riciclano i proventi del contrabbando. Piuttosto che investire in imprese manifatturiere che il regime potrebbe sequestrare, preferiscono possedere ristoranti di lusso. Di recente ne è stato aperto uno a Damasco, di fronte al quale sono parcheggiate Lamborghini e Tesla. Il racket è diffuso. Si dice che migliaia di persone siano passate attraverso la sezione 251 per non aver pagato i soldi della protezione.
Gli introiti di Assad
Assad si arricchisce anche con il gas, la benzina e l’elettricità. Mentre i siriani comuni sono spesso al buio e non hanno carburante per spostarsi, il presidente rifornisce i power broker libanesi, che pagano in dollari. Hezbollah, il movimento politico-militare libanese sostenuto dall’Iran, riceve il carburante come ricompensa per aver combattuto per il regime di Assad. Un’altra fonte di reddito illecita per la presidenza è la vendita di passaporti ai molti siriani che cercano disperatamente di partire. Gli agenti chiedono mille dollari per trattare le richieste velocemente o per far cancellare i nomi dei richiedenti dalle liste nere ai posti di blocco.
La fonte di guadagno più redditizia per Assad è la droga. Secondo il New lines institute for strategy and policy di Washington, quindici fabbriche all’interno delle sue roccaforti producono il captagon, un’anfetamina. Altre venti aziende più piccole producono la sostanza vicino ai confini con il Libano e la Giordania. Alcune hanno diversificato la produzione, dedicandosi ai cristalli di metanfetamina. La rete di queste operazioni è così vasta che i siriani la chiamano niqabeh, o sindacato. Un tempo i beduini contrabbandavano le pillole nello stomaco delle pecore e nei camion di verdure. Oggi le droghe illecite vengono esportate in veicoli blindati protetti da droni e armi pesanti.
Il narcotraffico di Assad gli permette di garantirsi la fedeltà degli alawiti, la minoranza religiosa musulmana che costituisce la base del suo regime
Assad respinge le accuse di coinvolgimento. Ma i compagni che si sono recentemente rivoltati contro di lui affermano che il niqabeh opera dal dipartimento finanziario della presidenza, sotto la supervisione di un aiutante descritto come il “Pablo Escobar siriano”, dal nome del signore della droga colombiano oggi defunto. Si dice che questa oscura figura coordini il trasporto sulle navi al largo delle coste mediterranee, usando la sua società di sicurezza privata per scortare i convogli. È inoltre lui a convocare gli uomini d’affari per conto di Assad, chiedendo loro di contribuire al cosiddetto fondo per i martiri della Siria, un’altra fonte di notevoli introiti. Si dice che i commercianti arrivino al palazzo presidenziale con valigie di contanti.
Il fronte alawita
Alcuni sostengono che il narcotraffico di Assad gli permetta di garantirsi la fedeltà dei suoi concittadini alawiti, la minoranza religiosa musulmana che da tempo costituisce la base del suo regime. Molti siriani della maggioranza sunnita sono stati cacciati dalle loro terre, poi consegnate agli alawiti, i quali all’inizio hanno applaudito la brutale repressione del regime. Ma alla fine pochi hanno beneficiato di questa ingegneria demografica di Assad.
Di recente molti alawiti hanno criticato il riavvicinamento di Assad ai leader sunniti, soprattutto negli Emirati Arabi Uniti, percependolo come un tradimento. Non hanno inoltre gradito la sua decisione di liberare centinaia di detenuti sunniti nel corso del recente mese di digiuno di Ramadan. Sono inoltre irritati dai tagli ai sussidi per i generi alimentari di base e per il carburante. Le proteste dentro e fuori il paese si sono moltiplicate. “I gruppi che hanno combattuto per Assad si sono rivoltati contro di lui”, dice un disertore alawita. Una nuova legge sui crimini informatici punisce con vari anni di carcere chiunque “fomenti un’opinione pubblica negativa”.
Con il suo alleato russo distratto dalla guerra in Ucraina, Assad ha meno certezze a proposito della propria sicurezza. Il 10 giugno alcuni missili israeliani hanno colpito l’aeroporto principale di Damasco, che secondo alcuni rimarrà fuori uso per settimane. Secondo la stampa israeliana i palazzi di Assad potrebbero essere il prossimo bersaglio. I siriani temono di essere trascinati in una guerra in quanto alleati dell’Iran.
Ma l’impoverimento generale ha dei vantaggi per Assad. Vedendo lo sfacelo del paese, meno stranieri sono disposti a combattere per ciò che ne rimane. E anche se la valuta siriana crolla, i membri della cerchia ristretta di Assad che possiedono dollari sono ancora in grado di prosperare. Inoltre la maggior parte della popolazione appare in ginocchio e incapace di reagire. “Per quanto le cose possano mettersi male”, dice un funzionario dell’Onu, “i siriani sono troppo stanchi per tornare in guerra”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato sull’Economist. Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si inscrive qui.
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