All’inizio degli anni ottanta l’esercito di Taiwan si è accorto di avere un problema. Le reclute miopi, che per mettere a fuoco gli oggetti lontani avevano bisogno degli occhiali, aumentavano rapidamente. “Il timore era che nella peggiore delle eventualità [un attacco della Cina] i loro soldati fossero in svantaggio”, racconta Ian Morgan, esperto di miopia dell’Australian national university di Canberra. Uno studio del 1983 condotto nell’intera isola ha confermato che circa il 70 per cento dei diplomati e delle diplomate taiwanesi aveva bisogno degli occhiali o delle lenti a contatto.
Oggi il dato ha superato l’80 per cento. E per non far torto ai generali di Taiwan il problema non riguarda solo l’esercito. Negli ultimi decenni, infatti, la miopia è aumentata moltissimo in tutta l’Asia orientale: se negli anni sessanta i diplomati e le diplomate cinesi miopi erano intorno al 20-30 per cento, ora hanno raggiunto i cugini di là dallo stretto, con punte superiori all’80 per cento in certe zone del paese.
Altrove, nello stesso continente, la situazione è addirittura peggiore. Da uno studio su diplomati solo maschi a Seoul è emerso che il 97 per cento era miope. Seguono con poco distacco Hong Kong e Singapore. Pur avendo i dati peggiori, però, l’Asia orientale non è sola. Per l’America e l’Europa non si dispone ancora di numeri affidabili, ma secondo una sintesi del 2015 il tasso europeo si aggirava tra il 20 e il 40 per cento, un ordine di grandezza superiore alla percentuale che gli addetti ai lavori considerano “naturale”.
Meglio non essere… miopi
In genere la miopia è un inconveniente costoso e permanente. La forma grave, però, può sfociare nella perdita della vista, dice Annegret Dahlmann-Noor, primaria di oftalmologia del Moorfields eye hospital di Londra. Un articolo pubblicato nel 2019 concludeva che ogni peggioramento di una diottria era associato a un aumento del 67 per cento della maculopatia miopica, disturbo incurabile che causa cecità (la diottria è l’unità di misura della capacità di messa a fuoco del cristallino).
In alcune zone dell’Asia orientale il 20 per cento dei giovani ha una miopia grave, pari cioè a -6 diottrie o peggio. “I decenni futuri si prospettano problematici”, commenta Kathryn Rose, direttrice del dipartimento di ortottica della University of technology di Sydney.
Gli animali in presenza di scarsa illuminazione sviluppano immancabilmente miopia
Il fenomeno comincia ad attirare l’attenzione delle autorità. Nel 2018 il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato priorità nazionale il controllo della miopia infantile. Le limitazioni imposte ai settori delle ripetizioni private e dei videogiochi, avviate nel 2021, erano in parte motivate dalla preoccupazione per la vista dei più piccoli, dice Morgan. Anche i governi di Taiwan e Singapore stanno cercando di prendere provvedimenti. “Le autorità sanitarie cominciano a ritenere la miopia un problema”, dice Dahlmann-Noor.
Nella maggior parte dei casi il difetto è causato da una malformazione del bulbo oculare. Un occhio che funziona correttamente indirizza la luce sulla retina, la superficie fotosensibile in fondo al bulbo oculare. In un occhio miope, invece, la distorsione è tale da indirizzare la luce in prossimità della retina. I miopi vedono bene da vicino, mentre gli oggetti lontani sono sfocati. E il disturbo è progressivo, provocando un peggioramento della vista durante l’infanzia e l’adolescenza per poi stabilizzarsi in età adulta.
Per decenni i ricercatori hanno pensato che fosse di natura perlopiù genetica. La miopia è ereditaria e gli studi genomici hanno scoperto diverse varianti genetiche responsabili dell’aumento del rischio di svilupparla. Eppure c’erano alcuni indizi che lasciavano pensare ad altro. Uno studio condotto sugli inuit dell’Alaska, e pubblicato nel 1969, dimostrava che la miopia era di fatto sconosciuta alle persone di mezza età o più anziane, mentre nei bambini e nei ragazzi superava il 50 per cento. Un simile cambiamento è fin troppo rapido per essere solo genetico ed è avvenuto in concomitanza con l’adozione di uno stile di vita più stanziale e occidentale da parte dei volontari che si sono sottoposti allo studio. I risultati, però, sfidavano il dogma dell’epoca, spiega Morgan, e furono ignorati.
Prove controverse
Più difficile invece è liquidare l’impennata avvenuta in Asia orientale con l’industrializzazione. Lo stereotipo vuole che la miopia sia un disturbo dei secchioni, e una valanga di studi ha confermato un legame solido e affidabile con l’istruzione. “Più si è istruiti, si hanno voti alti e si frequentano doposcuola e lezioni private, più si hanno buone probabilità [di essere miopi]”, dice Morgan. E un interessante studio sui bambini ebrei ortodossi che vivevano in Israele negli anni novanta ha confermato il legame con un orario scolastico lungo, dimostrando che i maschi – sottoposti a un’intensa formazione religiosa, oltre che ai normali corsi di studi – erano più miopi delle sorelle.
Non trovando una relazione evidente e diretta tra l’istruzione scolastica o addirittura religiosa e l’insorgere della miopia, sono state ipotizzate cause diverse. Tra queste, la nota teoria avanzata oltre quattrocento anni fa dall’astronomo tedesco Keplero, che portava gli occhiali, secondo cui la miopia è associata a un eccesso di lavoro che coinvolge la vista da vicino, come la lettura e la scrittura.
Malgrado sia ancora una teoria diffusa, spiega Rose, le prove a suo sostegno sono nel migliore dei casi controverse.
Secondo l’attuale ipotesi dominante, invece, la principale variabile è l’esposizione alla luce del giorno. Da uno studio effettuato su bambini e bambine della California, pubblicato nel 2007, è emerso che il tempo passato all’aria aperta aveva un forte legame con la riduzione del rischio di miopia. Un altro studio pubblicato l’anno dopo da Rose, Morgan e colleghi ha seguito oltre quattromila bambini e bambine di Sydney per tre anni giungendo a una conclusione simile. Il tipo di attività – sport, passeggiate, picnic – non sembra influire. L’importante è stare alla luce naturale. In un confronto con l’ipotesi di Keplero, i ricercatori hanno scoperto che passare il tempo all’aperto riduceva sensibilmente il rischio di miopia perfino nei bambini più studiosi.
Malattie del benessere
La teoria combacia alla perfezione con i dati. Spiega perché anche la miopia, come il diabete e la cardiopatia, rientra nelle cosiddette malattie del benessere – più diffuse nei paesi ricchi – visto che alla crescita economica si accompagnano più istruzione e quindi, per i giovanissimi, più tempo al chiuso. Spiega inoltre perché l’incidenza è maggiore soprattutto in Asia orientale, dice Morgan, dove la diffusione capillare delle lezioni private e del doposcuola prevede molte più ore di studio rispetto ai paesi occidentali. In Corea del Sud, per esempio, la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze va a ripetizione in scuole chiamate hagwon e spesso ha lezione fino a sera.
La teoria dell’esposizione alla luce del giorno è suffragata anche dagli studi sugli animali – nei quali l’esposizione si può controllare con precisione – che in presenza di scarsa illuminazione sviluppano immancabilmente miopia. I ricercatori hanno anche un presunto meccanismo. L’esposizione alla luce intensa sembra stimolare nella retina la produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che a sua volta contribuisce a regolare la velocità di crescita dell’occhio. Se scarseggia, l’occhio diventa troppo lungo per mettere a fuoco correttamente.
Anche i trial clinici sugli esseri umani confermano questa teoria. Uno dei principali, coordinato da Pei-Chang Wu della facoltà di medicina dell’università Chang Gung di Taiwan e pubblicato nel 2020, riportava i risultati di milioni di scolari e scolare taiwanesi che avevano frequentato la scuola primaria tra il 2001 e il 2015. Nel 2010 il governo ha istituito il programma “Tian-Tian Outdoor 120”, che incoraggiava le scuole a portare fuori gli alunni e le alunne per due ore al giorno. Dopo l’entrata in vigore del programma la miopia è diminuita lentamente ma con regolarità, passando dal 49,4 per cento del 2012 al 46,1 per cento del 2015 e invertendo una tendenza al rialzo che durava da decenni.
Anche se non si sa con esattezza quanta luce occorra, Morgan è orientata intorno ai diecimila lux, pari a circa quanto si assorbe all’ombra in una giornata di sole (la luce diretta dei tropici può superare i centomila lux). Al chiuso, invece, di rado si arriva oltre i mille. Le aule si potrebbero illuminare con diecimila lux, osserva Rose, però la quantità di calore prodotta perfino con i led richiederebbe una particolare aria condizionata e il bagliore rischierebbe di complicare la lettura.
I ricercatori stanno inoltre tentando di rallentare la progressione della miopia. Un metodo ideato prevede bassi dosaggi di atropina, una sostanza chimica velenosa che si ricava dalla belladonna, il cui succo era un tempo usato per dilatare le pupille ed essere più affascinanti. Un altro consiste in speciali lenti a contatto “ortho-k”, progettate per rimodellare la cornea (la parte anteriore trasparente dell’occhio che svolge il grosso del compito d’indirizzare la luce sulla retina; il cristallino serve alla regolazione). Pur sembrando efficaci, Rose teme gli effetti collaterali delle lenti a contatto nei bambini perché l’uso improprio rischia di danneggiare in maniera irreversibile la cornea.
Sono utili anche certi tipi di occhiali sofisticati. Nel 2020 il British Medical Journal ha pubblicato un trial cinese sulla tecnologia dims, lenti a defocus positivo periferico: le lenti hanno una zona centrale che corregge la vista ed è circondata da centinaia di zone più piccole di diversa potenza ottica. Lo scopo è consentire una vista chiara tramite la parte centrale e una volutamente distorta tramite le zone più piccole, perché si pensa che la vista sfocata rallenti la velocità di crescita dell’occhio. Gli occhiali con tecnologia dims hanno più o meno dimezzato la progressione della miopia.
Collirio, tanta luce solare e occhiali intelligenti potrebbero prevenire o rallentare la miopia nelle generazioni future, ma quando si arriva alla maturità il disturbo diventa permanente. In alcuni paesi, quindi, esiste già un problema di salute pubblica. Chi ha una miopia molto grave e un alto rischio di complicanze, spiega Rose, dopo i 40 anni può presentare nell’occhio cambiamenti pericolosi, “in certi casi incurabili”.
(Traduzione di Stefania De Franco)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.
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