La sera del 25 luglio la nave mercantile Wakashio si è incagliata sulla barriera corallina a sudest dell’isola tropicale di Mauritius, nell’oceano Indiano. La nave, un cargo di proprietà giapponese ma battente bandiera panamense progettato per trasportare beni non confezionati come il carbone o il grano, era priva di carico, ma trasportava comunque circa duecento tonnellate di gasolio e 3.800 tonnellate di olio combustibile pesante. L’imbarcazione è rimasta bloccata per oltre una settimana prima che apparissero le prime crepe nello scafo.

L’olio combustibile ha cominciato a riversarsi nell’ampia laguna turchese davanti al villaggio costiero di Mahébourg. Impressionanti immagini satellitari mostrano l’uscita d’olio formare una chiazza nera tra la terraferma a Pointe D’Esny e la rotonda e pianeggiante Ile-aux-Aigrettes. Viste da vicino, le scene sono ancora più drammatiche. Il 7 agosto, quasi due settimane dopo l’incidente, il governo ha dichiarato l’emergenza nazionale.

Con almeno mille tonnellate di olio combustibile che secondo le stime si sarebbero già riversate nella laguna, due imbarcazioni si sono avvicinate per raccogliere il carburante residuo, in una corsa contro il tempo mentre la nave da carico minacciava di spaccarsi in due.

Sono un mauriziano e vivo nel Regno Unito. Visito la casa di mio padre a Mahébourg una o due volte all’anno. La costa colpita dall’incidente si trova alla fine della strada di casa nostra, e in quelle spiagge facciamo il bagno e organizziamo picnic. È terribile scrivere queste parole a diecimila chilometri di distanza, ma al contempo sono rinfrancato dalla vista degli abitanti del luogo che stanno unendo gli sforzi per rispondere all’emergenza.

Quali sono i rischi?
Perdite di combustibili come questa danneggiano la vita marina, perché i prodotti chimici che compongono il combustibile sono tossici per gli animali e le piante, tra cui le foreste di mangrovie e i coralli che costituiscono le barriere. Anche se gli oli pesanti usati dalle navi sono meno tossici di quelli leggeri come il petrolio o il diesel, restano più a lungo nell’ambiente e soffocano le forme di vita in mare e lungo la costa. Gli effetti ecologici si allargano attraverso ecosistemi marini e terresti interconnessi.

Anche ricorrendo alle analisi dettagliate dei casi studio e all’ecologia delle mangrovie e delle barriere coralline è difficile prevedere quanto saranno gravi le conseguenze per Mauritius e fino a che punto l’ambiente riuscirà a riprendersi. Ci sono troppe variabili, a cominciare dalla complessità degli ecosistemi, dalla composizione chimica del carburante e dal modo in cui sarà effettuata la pulizia, che ha conseguenze negative peculiari.

I ventidue ettari di mangrovie che costituiscono la palude di Pointe D’Esny (circa le dimensioni di ventidue campi da calcio) sono un sito Ramsar, ovvero un’area acquitrinosa protetta a livello internazionale. Le mangrovie ospitano specie e habitat di grande importanza che contengono il nutrimento per i pesci che a loro volta alimentano la pesca locale.

A sud, lungo la strada costiera, si trova il parco marino di Blue Bay, un altro sito Ramsar, con 353 ettari di barriere coralline, praterie sottomarine e mangrovie. Il parco ospita tartarughe, 72 specie di pesci e un’eccezionale varietà di coralli (38 specie appartenenti a 15 famiglie)

Nella Ile-aux-Aigrettes, situata davanti a Pointe D’Esny, si trova l’ultima foresta costiera di ebano costiero di Mauritius. Da ragazzo ho trascorso diversi mesi sull’isola come volontario. La specie di ebano costiero è una delle undici specie di ebano rimaste a Mauritius. Una dodicesima sarebbe ormai estinta. La riserva naturale insulare di 27 ettari prende il suo nome dagli aironi dalle zampe lunghe e dal piumaggio bianco che pescano in queste coste.

Il covid-19 ha già cancellato il turismo internazionale a partire da marzo. La ripresa sarebbe stata lenta anche senza il disastro ambientale

Gli sforzi per la tutela dell’ambiente hanno prodotto un aumento degli esemplari di piccione rosato, che nel 1990 era uno degli uccelli più rari del mondo. Gli uccelli sono stati portati sull’isola dalla Mauritian wildlife foundation, un’organizzazione che si impegna per ripristinare l’ecosistema del paese. Gli ambientalisti sono stati aiutati nel loro lavoro dalla reintroduzione delle tartarughe giganti che favoriscono il ripristino degli habitat delle diverse isole costiere.

Dalla laguna ormai contaminata dipendono i pescatori locali per il loro lavoro e la popolazione per il consumo di pesce. Molte attività commerciali locali – spesso a gestione familiare, come le pensioni, le guide turistiche, i chioschi e i negozi di articoli turistici – si mantengono grazie ai visitatori attirati dal mare, dalla spiaggia e dalla natura incontaminata che i mauriziani possono sfruttare per tutto l’anno.

A quanto pare l’uscita di carburante potrebbe devastare gran parte della costa orientale di Mauritius, comprese alcune aree a nord che ospitano diversi alberghi di lusso. Il covid-19 ha già cancellato il turismo internazionale a partire da marzo. La ripresa sarebbe stata lenta anche senza il disastro ambientale.

La Wakashio si è arenata quasi nello stesso punto in cui nel 1902 affondò l’imbarcazione a vela britannica (con scafo in acciaio) Dalblair, mentre trasportava carbone diretta a Mauritius. I resti dello scafo, che ancora oggi emergono dalla superficie dell’acqua, sono diventati una sorta di monumento. Ironia della sorte, alla luce del giorno il relitto avrebbe potuto rappresentare un avvertimento per la Wakashio.

Dopo l’uscita di carburante, le consuete scene di famiglie a passeggio in spiaggia sono state sostituite dal viavai di volontari che lavoravano per protegge la costa. Trasformando le alte canne da zucchero in barriere galleggianti improvvisate, alcuni gruppi formati da abitanti della zona e attivisti sono riusciti a proteggere chilometri di costa contrastando l’espansione della macchia e assorbendo il combustibile.

Sfiducia nelle autorità
Il governo di Mauritius ha chiesto ai volontari di fermarsi e cedere il passo alle autorità, ma gli abitanti e le organizzazioni locali stanno continuando a costruire le barriere. Al momento questa sembra l’unica attività in corso per arginare la dispersione del carburante sulla superficie marina. Per molti volontari vale la pena rischiare la multa o un arresto pur di fare qualcosa. L’opinione locale rispetto alla risposta del governo è unanimemente negativa.

Perché questa sfiducia? Appena quattro anni fa, il 17 giugno 2016, un’altra nave da carico, la Benita, si incagliò nel Grand Port, appena sette chilometri a sud, lungo la costa. All’epoca mi trovavo a Mauritius e ho osservato la Benita (che aveva un quinto della capacità di carico rispetto alla Wakashio) dalla spiaggia di Blue Bay.

In quell’occasione, a quanto pare, era nato un conflitto a bordo e la nave aveva perso potenza, proseguendo alla deriva verso Mauritius senza essere notata dalla guardia costiera nazionale. Il fatto che la nave si fosse incagliata sull’isola senza che le autorità ne fossero a conoscenza aveva sconvolto la popolazione locale.

La Benita rimase incagliata per cinque settimane prima di essere finalmente sganciata dalla costa. Fortunatamente il carburante era stato travasato senza grosse perdite e senza una rottura del serbatoio. Mentre veniva trainata verso l’India, dove avrebbe dovuto essere dismessa, la nave affondò novanta chilometri al largo di Mauritius.

Le immagini satellitari suggeriscono che a luglio la Wakashio sia rimasta chiaramente in rotta di collisione con Mauritius per diversi giorni, fino a quando ha colpito la barriera a Pointe D’Esny in piena velocità di crociera. Questo significa che anche stavolta, probabilmente, il governo dell’isola è stato colto di sorpresa. Le stesse immagini dimostrano che sono passati sei giorni prima che il governo inviasse un rimorchiatore per tentare di disincagliare la nave.

Insieme alla recente tragedia di Beirut – con la devastante esplosione di un carico di nitrato di ammonio conservato da tempo nel porto – l’incidente di Mauritius solleva inquietanti interrogativi sulla gestione e la sicurezza dei trasporti marittimi internazionali. Le navi possono essere registrate in qualsiasi paese, di conseguenza i proprietari cercano le giurisdizioni dove le regole sono più permissive. Come suggerito da un articolo di Forbes, “non è chiaro fino a che punto le autorità dei paesi coinvolti abbiano verificato la sicurezza dello scafo, del porto, dell’equipaggio e delle aree in cui la nave ha viaggiato”. Un’indagine, a questo punto, è indispensabile.

Mauritius è famosa soprattutto per il dodo, l’uccello inadatto al volo diventato un emblema dell’isola e del pericolo di estinzione. La tragica vicenda del dodo è stata una lezione per gli ambientalisti che hanno creato il movimento ecologista moderno. Se l’incidente della Wakashio e la conseguente distruzione dell’ambiente e delle risorse spingeranno i leader globali a impegnarsi per portare un cambiamento reale, forse potremo almeno avere un sistema di trasporti marittimi internazionali adatto al mondo moderno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

mediQuesto articolo è stato pubblicato su The Conversation.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it