Tutto è cominciato il 9 gennaio. In un ospedale di Wuhan, in Cina, un uomo di 61 anni è diventato la prima persona al mondo ufficialmente morta a causa di un nuovo coronavirus. All’epoca gli scienziati non credevano che ci fossero prove chiare di una trasmissione tra esseri umani.

Ora ci stiamo avvicinando a un bilancio globale di un milione di morti, con il virus che da Wuhan si è diffuso in tutto il mondo. Il vero numero delle vittime è molto più alto e non sarà determinato per anni, perché molte delle persone uccise dal virus non sono state sottoposte a test. Cosa è successo?

Alcune settimane dopo la notizia del primo decesso in Cina, sono emersi alcuni casi in Thailandia, Giappone e Corea del Sud. La prima vittima al di fuori della Cina è stata confermata il 2 febbraio nelle Filippine. L’11 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato una pandemia.

Inizio graduale
Nei mesi successivi praticamente nessun paese è stato risparmiato dal covid-19 o dal nuovo coronavirus che lo provoca. Solo alcuni stati-isola, come Saint Lucia e le Seychelles, e stati poco trasparenti, come l’Eritrea, non hanno registrato alcun caso. In termini assoluti, e non relativi alla popolazione, gli Stati Uniti sono di gran lunga il paese più colpito, con più di 199mila decessi, seguito da Brasile, India, Messico e Regno Unito.

Inizialmente l’aumento dei morti per covid-19 è stato graduale. Sono occorsi due mesi perché il bilancio superasse i 774 morti dell’epidemia di sars del 2003, causata a sua volta da un altro coronavirus. Poi le cose hanno subìto un’accelerazione. Alla malattia sono stati sufficienti tre mesi e mezzo per uccidere duecentomila persone. I successivi duecentomila morti sono arrivati in poco meno di due mesi, e gli ulteriori duecentomila in un lasso di tempo analogo. Alla fine di agosto è servito appena un altro mese perché altre duecentomila persone perdessero la vita.

“La crescita più rapida è stata registrata proprio tra la fine di luglio e buona parte del mese di agosto. Oggi osserviamo un leggero rallentamento del tasso di mortalità”, dice Hannah Ritchie del sito di studi scientifici Our world in data, che raccoglie dati sulla pandemia fin dall’inizio.

Il cuore della pandemia negli ultimi nove mesi si è spostato da un continente all’altro

Ogni giorno, nelle ultime settimane, tra le cinque e le seimila persone nel mondo sono morte di una malattia di cui nessuno aveva sentito parlare un anno fa. Queste cifre sono rimaste stabili nell’ultimo mese, ma niente garantisce che lo rimarranno. “Una combustione lenta può comunque essere devastante a lungo termine”, dice Jennifer Dowd dell’università di Oxford. “Siamo di fronte a un incendio incontrollato che cerchiamo di spegnere. Buona parte del mondo è ancora vulnerabile, e c’è quindi ancora molta materia infiammabile. Credo che la situazione varierà, come un incendio incontrollato, nel tempo e nello spazio”.

Il cuore della pandemia negli ultimi nove mesi si è spostato da un continente all’altro. Ma quando a febbraio hanno cominciato a esserci casi mortali in tutto il mondo, la maggioranza era ancora in Cina. Sono state necessarie severe limitazioni di movimento perché il numero delle vittime nel paese calasse, a marzo.

Il paese successivo è stato l’Iran. Alla metà di febbraio ha annunciato le prime morti confermate per covid-19 in Medio Oriente, anche se successive fughe di notizie hanno rivelato che i primi decessi erano stati registrati a gennaio. Poi le morti hanno cominciato a crescere in Europa. La prima è stata l’Italia, seguita da Spagna e Regno Unito, dove i giornali hanno dedicato le copertine ai primi morti, prima che i numeri diventassero troppo alti per registrare nel dettaglio ogni decesso.

“Le persone si chiedevano quanto grave fosse la cosa, rispetto all’influenza. Poi alla decima settimana (quella cominciata il 2 marzo), all’undicesima, alla dodicesima e alla tredicesima settimana, ci siamo accorti che non era solo un’influenza, ma qualcosa di enorme”, dice Lasse Vestergaard di EuroMomo (un osservatorio della mortalità in Europa), creato dopo la pandemia d’influenza A/H1N1 (detta suina) del 2009 e 2010 come sistema di segnalazione rapida per le future pandemie, e che monitora le morti in eccesso in 24 paesi europei.

I nuovi decessi, a partire da maggio, sono stati perlopiù nel continente americano. “Gli Stati Uniti sono stati colpiti duramente, e lo stesso vale per l’America Latina, al livello regionale”, dice Ritchie. I morti a New York sono stati più numerosi che in qualsiasi altro stato degli Stati Uniti. Più di metà delle morti globali finora è stata registrata nelle Americhe.

Nelle ultime settimane c’è stata una nuova svolta, con l’India che è diventata il secondo paese con il maggior numero di casi, dopo gli Stati Uniti. È seguito un aumento del numero dei morti, che a oggi ha superato gli 85mila. “Da alcuni mesi l’India ha avuto una traiettoria costantemente in rialzo, e non ci sono segnali di un rallentamento. Ma se confrontati al totale della popolazione, si tratta di una percentuale ancora molto bassa”, spiega Oliver Watson dell’Imperial college di Londra.

Differenze tra paesi ricchi e meno ricchi
All’inizio della pandemia, una capacità limitata di effettuare i test ha ridotto le possibilità degli stati e dei ricercatori di determinare quante persone la malattia stesse davvero uccidendo. “In quel momento eravamo piuttosto confusi dalla distribuzione geografica”, dice Ritchie. “Non conoscevamo davvero la situazione in altri luoghi del mondo, in particolare nei paesi a basso reddito”.

Nonostante la situazione si sia fatta più chiara, rimangono alcuni dubbi. “Credo che la principale sorpresa siano stati i paesi a basso reddito, soprattutto in Africa”, dice Dowd. “Se crediamo alle statistiche sulla mortalità, le cose lì non sono andate male come si credeva”. Il conteggio ufficiale delle vittime nei paesi africani è rimasto basso. L’eccezione è il Sudafrica, con quindicimila vittime.

I ricercatori stanno ancora cercando di capire perché il numero di casi sia limitato in molti paesi a basso reddito. Tra i possibili motivi ci sono la mancanza di dati, la giovane età media della popolazione, o semplicemente il fatto che molti di essi abbiano rapidamente imposto misure di confinamento. Un’altra spiegazione è che non siano stati altrettanto colpiti da infezioni derivanti dagli spostamenti aerei.

Gli esperti sostengono che gli effetti della pandemia sulla mortalità saranno di lunga durata

Questi spostamenti spiegherebbero perché, con il passare del tempo, la concentrazione dei decessi sia comunque in buona parte passata dai paesi ad alto reddito a quelli a minor reddito. Stando a quanto osservato fino all’8 settembre, Watson ha rilevato che il 45 per cento dei decessi si è verificato in paesi ad alto reddito, il 40,5 per cento in paesi a reddito medio-alto, il 13 per cento in paesi dal reddito medio-basso, e lo 0,6 per cento in paesi a basso reddito.

Quanto al rischio personale, quando si sono registrate le prime morti in ciascun paese, i mezzi d’informazione si sono concentrati unicamente sul fatto che le vittime avessero o meno problemi di salute pregressi, come un’alta pressione sanguigna. “Le domande iniziali sono state sull’effettiva letalità del virus, e sul fatto che colpisse o meno solo i più malati e fragili”, dice Dowd. Sono stati fatti molti paragoni con l’influenza, che uccide tra le 290mila e le 650mila persone all’anno su scala globale.

Morti in eccesso
Quel che è diventato evidente è che il covid-19 non sta uccidendo solo le persone che sarebbero probabilmente morte presto. “In media queste persone avevano ancora un’alta speranza di vita davanti a loro”, dice Dowd. “Secondo alcune stime a ogni morto di covid restavano ancora, in media, undici anni da vivere”.

Anche dalle statistiche sulle morti in eccesso emerge che buona parte delle persone morte a causa del covid-19 non sarebbero decedute a breve. Gli Stati Uniti hanno già registrato più di duecentomila morti in eccesso quest’anno, e il Regno Unito più di sessantamila. Se il covid-19 avesse semplicemente anticipato le morti di alcuni mesi, il numero di morti mediamente registrati sul lungo periodo, dopo il picco delle infezioni da covid-19, sarebbe stato molto più basso. Così non è stato e sembra improbabile che accada, dice Dowd.

Tuttavia esistono problemi di salute cronici che effettivamente aumentano il rischio di morte da covid-19, tra cui il diabete o i casi più gravi di asma. Negli Stati Uniti il 94 per cento delle persone morte di covid-19 aveva anche altri problemi di salute, noti come comorbilità, con una media di 2,6 disturbi a persona. Queste cifre sono state usate ad agosto per sostenere erroneamente, come ha fatto anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che solo il 6 per cento fosse davvero morto di covid-19. In realtà molte di queste comorbilità erano state determinate proprio dal covid-19, come la polmonite.

In alcuni paesi anche il fatto di essere di sesso maschile, più povero, più anziano, oppure nero o dell’Asia meridionale – invece che bianco – è stato associato a un aumento del rischio di morire di questa malattia. In Inghilterra, per esempio, il tasso di mortalità è stato più altro tra i neri e gli asiatici che tra i bianchi, anche perché le loro tipologie di lavoro li portavano più spesso a essere esposti al virus.

“Il più evidente fattore di rischio è l’età”, dice Ritchie. “Dai sessant’anni in poi, scatta un aumento del rischio. E quando si hanno più di ottant’anni, il tasso di mortalità è molto più alto”. Nonostante tutto la malattia resta imprevedibile, e sono morte anche persone giovani e in salute. “La cosa riguarda soprattutto gli anziani, ma persone di mezz’età e i più giovani non sono risparmiati”, afferma Vestergaard. Statistiche compilate da EuroMomo mostrano che il 90 per cento dei decessi ha riguardato persone di 65 anni o più, l’8 per cento quelle di età compresa tra 45 e 64 anni, e l’1 per cento persone tra i cinque e i 44 anni.

Anche se sono le morti immediate a essere oggetto d’attenzione oggi, gli esperti sostengono che gli effetti della pandemia sulla mortalità saranno di lunga durata. “L’impatto sulla salute sarà di lungo periodo, forse di anni”, dice Ritchie. “Il punto non è solo chi sta morendo ora, perché gli effetti sulla salute si accumulano nel tempo”. Potrebbero volerci uno o due anni per vedere, per esempio, gli effetti di diagnosi tardive dei tumori, dovute alla pressione esercitata sui sistemi sanitari, o delle mancate vaccinazioni contro malattie come la tubercolosi.

Analogamente, dice Dowd, stiamo cominciando solo ora a capire gli effetti cronici del covid-19, o del “covid a lungo termine”. “È una cosa che fa pensare”, dice. “Anche se ora abbassiamo la mortalità, non sappiamo quali altre cicatrici sulla salute e quali tendenze determinerà il covid-19”.

Nel frattempo, nei luoghi dove si sono concentrate più morti da covid-19, i decessi non si fermano. Molte persone muoiono ogni giorno in America Latina, in particolare in Brasile, Perù, Argentina e Messico. In Asia è l’India a contribuire maggiormente al numero di morti. E nonostante oggi gli Stati Uniti controllino meglio l’epidemia, il covid-19 continua a uccidere migliaia di persone ogni settimana.

Ci sono alcune buone notizie. Grazie al modo in cui il mondo si è adattato alla pandemia, dalle mascherine protettive al distanziamento sociale, passando da diagnosi precoci e cure migliori, una ripetizione del rapido aumento di morti visto all’inizio anno appare improbabile. “Non riesco davvero a immaginare che le morti s’impennino come all’inizio. Abbiamo imparato tanto”, dice Dowd.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Da sapere
Possiamo fidarci dei numeri?

Conteggiare le morti da covid-19 e confrontarle tra paesi è incredibilmente difficile. Anche se i ricercatori vorrebbero avere metodi affidabili di conteggio, la realtà è molto diversa. Alcuni paesi considerano che un decesso è dovuto al covid-19 solo se la persona è risultata positiva al cosiddetto tampone, un test molecolare che si basa sulla reazione a catena della polimerasi (Pcr). La mancanza di test del genere in alcuni paesi può rendere difficile un conteggio accurato dei decessi.

Alcuni paesi includono anche le morti probabili, ovvero quei casi dove sintomi e andamenti clinici suggeriscono che il covid-19 sia stato la causa del decesso, ma non è stato effettuato alcun test. In alcuni paesi europei, per esempio, se esiste un caso confermato di covid-19 in una casa di cura, e altre persone muoiono più o meno nello stesso periodo, i decessi di questi ultimi sono registrati come morti da covid-19. La cosa induce probabilmente a stime eccessive, secondo Oliver Watson dell’Imperial college di Londra.

I metodi di conteggio, inoltre, cambiano nel corso del tempo, e a seconda dei luoghi in cui il decesso avviene. Conteggiare le morti in ospedale è una pratica condivisa, ma in alcuni paesi le morti nelle case di cura sono state aggiunte ai conteggi ufficiali solo alcuni mesi dopo l’inizio dell’epidemia. Ad aprile il conto dei morti di Wuhan, in Cina, è salito del 50 per cento, dopo che le autorità hanno aggiunto i decessi avvenuti al di fuori degli ospedali. A volte il conteggio è stato rivisto al ribasso. Il Regno Unito ha rimosso più di cinquemila decessi dal suo computo ufficiale ad agosto, dopo che i ricercatori hanno fatto notare che il covid-19 era stato considerato la causa della morte di chiunque fosse risultato positivo a un test e fosse morto in seguito, anche molto tempo dopo. Ora solo i decessi avvenuti entro 28 giorni da un test positivo sono conteggiati.

Per tutti questi motivi si ritiene che il metodo migliore sia quello di calcolare le morti in eccesso. Per farlo solitamente si confrontano i dati settimanali di tutte le morti in un paese con la media degli ultimi cinque anni in quella stessa settimana. Ma spesso nei paesi a basso reddito mancano i dati di riferimento, il che significa che servono altri metodi per colmare il divario. Uno dei metodi che i ricercatori potranno usare sarà quello di indagare sui decessi nelle famiglie a livello locale, estrapolando poi i dati a livello nazionale.

(Traduzione di Federico Ferrone)


Questo articolo è uscito sul settimanale britannico New Scientist.

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