La rivolta degli scontenti in Germania
A dicembre, poco prima di Natale, il governo federale tedesco guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz ha deciso di tagliare alcune sovvenzioni riservate al settore agricolo, in particolare quelle legate alle tasse sui veicoli a motore e soprattutto quelle sul carburante. Le principali organizzazioni dei coltivatori hanno protestato duramente annunciando un’ondata di scioperi. L’8 gennaio in tutta la Germania gli agricoltori hanno invaso le città tedesche con i loro trattori e bloccato strade e altre infrastrutture. Circa 5.500 mezzi agricoli sono confluiti a Monaco di Baviera, mentre a Stralsund, nel nordest del paese, sul Mar Baltico, una fila di trattori e veicoli lunga venti chilometri ha bloccato l’accesso al porto. Proteste simili sono state organizzate ad Amburgo, Brema, Düsseldorf e Berlino.
Il governo tedesco è stato costretto a varare un cospicuo pacchetto di tagli alla spesa pubblica in seguito alla crisi di bilancio provocata dalla corte costituzionale di Karlsruhe. Il 15 novembre 2023 i giudici hanno bocciato un provvedimento con cui nel 2021 Berlino aveva cambiato destinazione a sessanta miliardi di euro stanziati in origine per contrastare il covid-19: dal momento che questi soldi non erano stati usati, l’esecutivo aveva deciso di dirottarli nel fondo per la transizione ecologica, il Klima- und Transformationsfond (Ktf).
La conseguenza è stata un buco di sessanta miliardi, che va riempito senza ricorrere a nuovi debiti: dopo la pandemia, infatti, è stato reintrodotto il tetto all’indebitamento pubblico in vigore in Germania dal 2009 ma sospeso nel 2020 per affrontare l’emergenza sanitaria. Tra i tagli voluti da Berlino per coprire la falla ci sono anche quelli ai sussidi agricoli: si tratta di 485 milioni di euro destinati all’esenzione delle tasse sui veicoli a motore di coltivatori e allevatori e di 450 milioni che finanziano l’acquisto del gasolio.
In teoria la somma non dovrebbe provocare danni enormi (se si escludono aziende già in cattive condizioni) a un settore che negli ultimi anni ha registrato cospicui profitti. Tra l’altro si tratta solo di una parte delle sovvenzioni: ogni anno l’agricoltura tedesca riceve 2,4 miliardi di euro da Berlino e sei miliardi dall’Unione europea; a questi soldi si aggiungono le agevolazioni sull’assicurazione sanitaria e sulle pensioni.
In queste misure, tuttavia, i coltivatori e gli allevatori tedeschi vedono un’ulteriore minaccia a un sistema che finora in Germania ha garantito protezione della concorrenza straniera e soprattutto prezzi molto contenuti sugli scaffali. Da tempo tutto è messo in discussione sia dalla necessità di fornire prodotti più sani a prezzi accessibili sia da quella di garantire attività più sostenibili dal punto di vista ambientale. Obiettivi che impongono investimenti e regole molto più severe, compresi ora la riduzione dei sussidi considerati danno per il clima. Gli agricoltori, inoltre, si sentono trattati ingiustamente: sostengono che il loro settore contribuisce all’1 per cento del pil tedesco, ma paga una quota molto più alta dei tagli decisi dal governo. Berlino ha cercato il compromesso, offrendo una dismissione graduale delle sovvenzioni, ma per ora la protesta continua.
Il movimento dei coltivatori ha anche registrato la solidarietà di altri lavoratori, in particolare degli autotrasportatori, delle ditte di consegna, dei tassisti e degli artigiani. Come spiega la Süddeutsche Zeitung, si tratta di categorie ugualmente colpite dai tagli del governo, che per esempio a dicembre ha deciso di aumentare i pedaggi stradali per i camion. Ma dietro la questione strettamente economica c’è la necessità di maggiore riconoscimento e attenzione. Gli agricoltori, come i camionisti e gli artigiani, si sentono penalizzati e abbandonati a se stessi da Berlino che invece, sostengono, non esita a concedere finanziamenti e agevolazioni alla grande industria, alle multinazionali e ai progetti sul clima. Il loro malcontento è chiaramente cresciuto in un periodo molto difficile per il paese, che vede messo in discussione il suo collaudato sistema economico a causa di problemi come il rincaro dei prezzi dell’energia, l’eccesso di burocrazia, la carenza di lavoratori specializzati.
Quello degli agricoltori, infatti, non è l’unico sciopero in Germania. Il 10 gennaio è cominciata la protesta dei macchinisti delle ferrovie, promossa dal sindacato Gdl, che chiede salari più alti e la riduzione dell’orario di lavoro da 38 a 35 ore settimanali. L’iniziativa mette a rischio l’80 per cento dei treni nazionali e locali. Le ferrovie tedesche hanno consigliato ai clienti di spostare i viaggi prenotati fino almeno al pomeriggio di oggi 12 gennaio.
Il ministro dell’agricoltura, il verde Cem Özdemir, ha dichiarato che le proteste di questi giorni sono il riflesso di una società che rischia di diventare sempre più divisa, come negli Stati Uniti: “Non si dialoga più, non si ha più fiducia in nessuno e ognuno è convinto di avere contro tutto il male del mondo”. La crisi economica (il paese è in recessione) ma soprattutto il malcontento e la sfiducia verso il futuro sono sfruttati abilmente e cinicamente dai populisti. In particolare quelli dell’estrema destra, che si stanno muovendo per attaccare il governo Scholz e alimentare la rabbia contro le istituzioni.
Già il 21 dicembre, racconta la Süddeutsche Zeitung, Stephan Protschka, il responsabile delle politiche agricole in Baviera per Alternative für Deutschland (AfD), aveva dichiarato il suo sostegno agli agricoltori lanciando il motto: “Se muore il contadino, muore il popolo!”. L’AfD era ovviamente presente a tutte le manifestazioni di questi giorni, insieme a varie sigle dell’estrema destra tedesca. A Dresda, per esempio, la Freien Sachsen ha partecipato a una grande manifestazione con slogan contro il governo, gli Stati Uniti e la Nato, esibendo cartelloni con i più noti politici tedeschi in divisa da galeotto. Al cancelliere Scholz, sottolinea la Frankfurter Allgemeine Zeitung, si ripresenta l’incubo che in Germania possa esplodere una protesta simile a quella dei gilet gialli francesi. A quel punto si scoprirebbe che il problema del paese non sono semplicemente le decisioni di un governo o la crisi economica, ma l’odio e il risentimento all’interno della società.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.
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