Il misterioso rialzo dell’oro
Nelle ultime settimane il prezzo dell’oro ha raggiunto quotazioni record attestandosi intorno ai 2.200 dollari all’oncia (31,1 grammi). Quest’impennata ha colto di sorpresa gli esperti. Molti ritengono che il rialzo sia legato alla previsione che le principali banche centrali, in particolare la statunitense Federal reserve (Fed), cominceranno presto a tagliare il costo del denaro. Di solito, infatti, il prezzo dell’oro sale quando i tassi d’interesse scendono e cala quando i tassi salgono: l’aumento dei tassi rende le azioni, i titoli di stato e altri investimenti più attraenti, mentre la loro diminuzione spinge gli investitori verso l’oro, considerato tradizionalmente il principale bene rifugio per i periodi di difficoltà finanziaria.
Di recente, tuttavia, Jerome Powell, il presidente della Fed, ha precisato che il suo istituto, prima di abbassare il costo del denaro, ha ancora bisogno di “un po’ più di evidenza” che l’inflazione stia davvero rientrando verso la soglia obiettivo del 2 per cento. Il 12 marzo i nuovi dati sull’andamento dei prezzi degli Stati Uniti hanno rivelato che a febbraio l’inflazione è salita leggermente al 3,2 per cento, mentre quella di base (l’indice calcolato escludendo i prezzi più volatili, come i prodotti alimentari e l’energia) è arrivata al 3,8 per cento.
Il rialzo dell’oro è considerato “curioso” o “misterioso” dagli esperti, soprattutto perché avviene in un periodo in cui c’è un diffuso ottimismo intorno alle condizioni dell’economia statunitense. L’euforia ha fatto salire alle stelle anche le quotazioni delle azioni e perfino quelle di un bene altamente speculativo come il bitcoin. Ha provato a dare una risposta Bob Henderson, esperto di borsa del Wall Street Journal intervistato nel podcast What’s News del quotidiano statunitense. Gli investitori, sostiene Henderson, si rifugiano nell’oro non solo “quando l’economia è in difficoltà, ma anche quando corre troppo e l’inflazione è considerata un pericolo”.
Oggi, però, sono decisivi anche altri fattori, aggiunge: varie banche centrali, spinte dall’aggravarsi dei rischi geopolitici, sono diventate grandi acquirenti di oro, soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Inoltre, altre economie importanti non sono nelle stesse condizioni di quella statunitense: il Regno Unito, per esempio, è in recessione, mentre la Cina è alle prese con un’enorme bolla immobiliare e il crollo delle sue borse; in India, infine, l’economia va bene, ma le preoccupazioni per l’inflazione stanno spingendo molte persone a rifugiarsi nell’oro.
Due anni fa, scrive il Wall Street Journal, guru della finanza come l’investitore Ray Dalio e Jamie Dimon, l’amministratore delegato del colosso bancario Jp Morgan, prevedevano l’arrivo di “un uragano” sull’economia statunitense e, di conseguenza, su quella mondiale. In particolare, ritenevano impossibile che la stretta creditizia imposta dalla Fed con il rialzo del costo del denaro potesse contrastare l’inflazione senza provocare una recessione.
Finora, in realtà, tutto questo non c’è stato, e gli stessi Dalio e Dimon hanno dovuto ammettere di essersi sbagliati. Ma davvero andrà tutto liscio? Davvero ci sarà quello che gli esperti chiamano “atterraggio morbido”? Probabilmente nel caso degli Stati Uniti, continua il Wall Street Journal, “i politici sono stati molto più veloci ad agire rispetto al passato, approvando generosi aiuti all’economia. Quelli approvati in occasione della pandemia di covid-19 hanno lasciato molte persone e aziende con liquidità extra che ha continuato ad alimentare i consumi.
Oggi la spesa dei consumatori contribuisce al 70 per cento dell’economia statunitense”. Come spiega Dalio, “mi sono sbagliato perché in genere, quando aumentano, i tassi d’interesse rallentano la domanda e la borsa, e tutto comincia ad andare più piano. Stavolta non è successo. C’è stato invece uno storico trasferimento di ricchezza che ha migliorato i bilanci privati, ma ha appesantito i conti pubblici”.
Resta da chiedersi come andrà a finire. Per ora molti debiti hanno il vantaggio di avere bassi tassi d’interesse fissi stipulati quando il costo del denaro era prossimo allo zero. Alla loro scadenza, però, non potranno essere rinnovati alle stesse condizioni, e già questa prospettiva abbassa il loro valore attuale. Un’altra spada di Damocle è l’enorme indebitamento del governo statunitense: secondo il Congressional budget office, nei prossimi dieci anni la Casa Bianca dovrebbe pagare 1.100 miliardi di dollari di interessi sul debito; inoltre, il deficit pubblico federale è pari al 6 per cento del pil, un tasso più alto della crescita economica. Se la tendenza al rialzo dell’oro dovesse continuare, potrebbe rappresentare il classico canarino nella miniera che segnala un ambiente tossico.
Questo testo è tratto dalla newsletter Economica.