Barbie e Oppenheimer hanno una cosa in comune, oltre al successo al botteghino e al modo in cui hanno monopolizzato il dibattito durante l’estate. Entrambi i film giocano a immaginare realtà alternative. Barbie lo fa in modo palese. All’inizio del film Barbie e le altre bambole vivono a Barbieland, una società basata sul matriarcato e apparentemente perfetta. Mentre i Ken passano le giornate in spiaggia, le Barbie si godono la loro indipendenza e fanno lavori prestigiosi. Le cose cambiano all’improvviso quando Barbie comincia a sviluppare pensieri umani sulla morte. Le viene in soccorso Barbie stramba, bambola saggia ed emarginata, che le consiglia di andare alla scoperta del mondo reale, dove potrà cercare la soluzione alla sua crisi. In Oppenheimer il regista non costruisce un mondo alternativo ma lascia allo spettatore la possibilità d’immaginare scelte ed esiti storici alternativi, mentre segue i dilemmi scientifici e morali dei protagonisti.
Gli espedienti narrativi di questo tipo non sono certo una novità, ma da qualche anno sembrano diventati quasi l’unica chiave di lettura della società, soprattutto in film e serie tv. Vengono in mente due dei film più interessanti degli ultimi anni: Noi, in cui il regista Jordan Peele immagina un mondo sotterraneo abitato dalle repliche sofferenti e cattive delle persone che vivono in superficie; ed Everything everywhere all at once, in cui la protagonista, un’immigrata carica di impegni, disprezzata dalla figlia e sul punto di lasciare il marito, diventa una supereroina capace di viaggiare nel multiverso. Nel primo film il mondo alternativo è una minaccia, nel secondo un’opportunità. Ma resta il fatto che non siamo mai stati tanto affascinati dall’idea di esplorare mondi diversi dal nostro o versioni diverse di noi. Perché?
Ho trovato la risposta – o meglio tanti tasselli di una spiegazione complessa – leggendo Doppio. Il mio viaggio nel Mondo Specchio, il nuovo libro di Naomi Klein, appena uscito per La Nave di Teseo. Per stile e tipo di racconto è un libro diverso da quelli che hanno reso famosa l’autrice canadese, come No logo (Baldini Castoldi Dalai 2000) e Shock economy (Rizzoli 2007). Klein racconta l’esperienza assurda e straniante di essere scambiata per un’altra persona, di avere cioè un doppelgänger, un doppio. Lo fa in modo scherzoso, a tratti divertente, con gustosi riferimenti ai doppelgänger nella cultura e nella psicanalisi. Ma resta comunque un libro molto politico: partendo dalla propria crisi d’identità, l’autrice descrive il disagio diffuso nella società e lo attribuisce a forme di sdoppiamento che tutti noi viviamo a vari livelli, dalle relazioni personali al rapporto con la tecnologia e la politica. “Il libro non è sul mio doppelgänger”, mi ha detto qualche giorno fa durante una chiacchierata su Zoom. “L’ho usato come una guida per conoscere il suo mondo, come Alice che entra nella tana del Bianconiglio”.
La prima volta
Il doppio di Klein è Naomi Wolf, una scrittrice che negli anni novanta diventò popolare grazie a un libro, Il mito della bellezza (Tlon 2020), in cui sosteneva che gli standard estetici delle società occidentali erano uno strumento di controllo delle donne. Il libro conteneva molte imprecisioni e forzature, ma fu accolto bene da una parte delle femministe e in generale nel mondo progressista. Klein si è accorta per la prima volta di essere scambiata per Wolf intorno al 2011, durante le proteste del movimento Occupy Wall street a New York, negli Stati Uniti. All’inizio la cosa non le dava fastidio e capiva perché tanta gente tendeva a confonderle. Non era solo per il nome: “Sia io sia Wolf abbiamo scritto libri che hanno avuto una buona accoglienza. Entrambe abbiamo i capelli castani che a volte diventano biondi per l’esposizione al sole. Siamo tutte e due di origine ebraica e in quegli anni gli ambiti delle nostre ricerche avevano cominciato ad avvicinarsi”.
Per qualche tempo Klein ha gestito la cosa come una seccatura sopportabile, poi si è accorta che Wolf stava imboccando strade pericolose. Erano gli ultimi anni della presidenza di Barack Obama, quando montava la rabbia populista che poco dopo avrebbe portato alla vittoria di Donald Trump e sui social network cominciavano a dilagare teorie complottistiche di ogni tipo. Il doppio di Klein era convinto che Edward Snowden fosse in realtà una spia, che Washington volesse importare l’ebola negli Stati Uniti per imporre un lockdown di massa e che gli omicidi del gruppo Stato islamico fossero una messinscena organizzata dal governo americano.
La svolta definitiva è arrivata durante la pandemia di covid-19, quando “l’altra Naomi”, come la chiama Klein nel libro, è stata sospesa da Twitter per le sue teorie sulla pericolosità dei vaccini e poco dopo è diventata un’ospite fissa di podcast e programmi tv di estrema destra. A quel punto Klein ha capito che i deliri di Wolf potevano danneggiare seriamente la sua reputazione e, come nella tradizione della letteratura sui doppelgänger, ha cominciato un viaggio alla scoperta del suo doppio.
Spaesamento e crisi d’identità
Il primo stadio di ogni incontro con il proprio doppelgänger è lo spaesamento: “Ci si sente umiliati nell’essere scambiati continuamente con un altro perché si ha la conferma di non essere unici ma intercambiabili. E qualsiasi cosa si faccia per dissipare la confusione in realtà non si fa altro che attirare l’attenzione sul proprio doppio, correndo così il rischio di cementare ancora di più quest’indesiderata associazione nella mente della gente”.
I software alla base dei social network peggiorano il problema. Klein racconta che a un certo punto lo scambio con Wolf era così frequente che anche Twitter ha cominciato a fare confusione. “È così che funziona l’apprendimento automatico delle piattaforme”, scrive nel libro: “L’algoritmo si limita a imparare schemi. Se il mio nome è ripetutamente confuso con quello di Wolf, comincerà a essere suggerito al posto del suo, generando ancora più confusione”.
Come i singoli individui, anche i sistemi politici e le società hanno un doppelgänger
La fase successiva è la crisi d’identità. “Il confronto solleva inevitabilmente domande destabilizzanti dal punto di vista esistenziale: sono chi penso di essere o sono invece la persona che gli altri percepiscono? E se le persone cominciano a confondermi con qualcun altro, allora chi sono io?”. Non bisogna essere una scrittrice famosa per immedesimarsi in una condizione del genere. I social network – e sempre di più l’intelligenza artificiale – spingono le persone a creare versioni online di sé più interessanti e possibilmente uniche. In realtà l’unicità è un’illusione, spiega Klein, perché sul web, usando gli stessi strumenti e rispondendo alle stesse sollecitazioni, tendiamo a somigliarci tutti. Ma alla lunga la persona reale tende ad allontanarsi dalla sua versione online, e ci si ritrova a dover gestire il proprio doppio.
Nel caso di Klein la distanza tra la percezione di se stessa e quella che le persone avevano di lei era particolarmente spiazzante. Ventitré anni fa è diventata famosa in tutto il mondo grazie a No logo, un libro in cui, tra le altre cose, criticava l’idea che le persone dovessero comportarsi come se fossero dei brand e relazionarsi con gli altri come se stessero vendendo un prodotto. Con il passare degli anni però il libro stesso, a partire dal suo titolo, era diventato un marchio, un “significante senza significato, un oggetto, un accessorio da portare in giro e non da leggere”. Parte della sua popolarità era dunque dovuta alle stesse dinamiche che criticava nel libro, e affrontando il suo doppio si è resa conto che il suo brand personale era in crisi.
Per Klein questa crisi era dolorosa, oltre che spiazzante, perché Wolf, come una gemella cattiva, si stava appropriando di alcune delle sue idee e le stava usando per promuovere un messaggio opposto al suo. Sui social network e in tv prendeva di mira gli stessi bersagli che Klein ha sempre analizzato e contestato – le multinazionali, i miliardari, le aziende tecnologiche, il governo degli Stati Uniti – ma invece di arrivare a una critica del sistema capitalistico elaborava teorie completamente false che in fin dei conti colpivano soprattutto le minoranze. È una dinamica molto riconoscibile nel dibattito politico e intellettuale di oggi in tutto il mondo occidentale.
Viaggio tra gli specchi
Dopo la crisi è arrivato il momento della ricerca. Klein ha esplorato il mondo di Wolf con una tenacia che le persone intorno a lei facevano fatica a comprendere, ascoltando tutti i podcast a cui partecipava il suo doppio, e anche tanti altri. “Le mie amiche restavano sconvolte. Mi dicevano ‘perché lo fai?’. Per loro era una sorta di tradimento. Rispondevo che è importante farlo, bisogna prestare attenzione a queste cose”. Klein si è trovata di fronte una realtà parallela apparentemente molto simile alla sua ma in cui il senso e il significato di molte cose erano ribaltati, come in un’immagine restituita da uno specchio deformato. Ha chiamato quella realtà il “Mondo specchio”.
Il dominatore incontrastato di quell’universo era Steve Bannon, ex consigliere politico di Donald Trump, che conduce un podcast molto popolare intitolato War room. Secondo Klein, Bannon è una figura fondamentale per capire molte dinamiche politiche e culturali di oggi. “Mi interessa perché è un agitatore politico. Organizza i suoi ascoltatori. Non si limita a dargli qualcosa da ascoltare. Gli dice come attivarsi per prendere il controllo del consiglio scolastico della loro città o delle sezioni locali del Partito repubblicano. E lo fa anche fuori dai confini degli Stati Uniti. Ha creato una rete di partiti politici di estrema destra, di cui fa parte anche Fratelli d’Italia. Quando Giorgia Meloni ha vinto, diventando premier nell’ottobre 2022, Bannon ha festeggiato la notizia sul podcast e si è anche preso un po’ di merito. Tutto questo è interessante perché molti mezzi d’informazione progressisti negli Stati Uniti hanno un approccio campanilistico. Non prestano attenzione a quello che accade fuori degli Stati Uniti. Il podcast di Bannon invece è internazionale”.
Le parte più inquietante, racconta Klein, è stata osservare la passività della sinistra di fronte al modo in cui gli attori del Mondo specchio si appropriavano di idee progressiste. “L’ho trovato molto inquietante da un punto di vista politico, perché mi ha ricordato che tra la fine degli anni novanta e l’inizio dei duemila, quando a Genova un milione di persone scendevano in strada per protestare contro i governi del G8, era la sinistra che parlava del potere delle multinazionali, degli abusi del governo, dei soldi che le case farmaceutiche davano ai mezzi d’informazione”. Secondo Klein, la sinistra a un certo punto “ha cominciato ad avere paura della sua stessa ombra”, ha smesso di parlare di certi argomenti e certi problemi. Hanno cominciato a farlo “persone come Steve Bannon e Giorgia Meloni, che hanno preso quei temi e li hanno mescolati al razzismo e alla transfobia”.
È anche convinta che la sinistra si preoccupa di presidiare i propri confini ideologici invece di allargare il consenso, mentre la destra radicale sta adottando strategie per allargare la sua base elettorale. Per questo, dice, non è impossibile una vittoria di Trump alle elezioni presidenziali del 2024.
È stato un processo lungo che, secondo Klein, ha subìto una brusca accelerata durante la pandemia di covid-19, per via del modo in cui gran parte della sinistra ha affrontato l’emergenza sanitaria. “I progressisti hanno reagito soprattutto sul piano delle misure individuali: convincere le persone a fare la cosa giusta, indossare la mascherina, vaccinarsi. Ma c’erano risposte collettive strutturali che avremmo dovuto chiedere ai nostri governi per combattere il virus: assicurarsi che tutti avessero un congedo per malattia retribuito, in modo che non potessero andare al lavoro se erano malate; spendere più soldi per l’istruzione, in modo che gli studenti potessero essere più sicuri, e per la sanità, visto che molte persone sono morte perché i nostri ospedali non hanno finanziamenti adeguati. La sinistra non ha lottato per eliminare i brevetti sui vaccini, per assicurarsi che nessuno tragga profitto da quello che dovrebbe essere un bene pubblico. Questo ha creato un vuoto politico che è stato riempito dalla destra cospirativa”.
Alla fine del suo viaggio nella tana del Bianconiglio, Klein arriva alla tesi centrale del suo libro: come i singoli individui, anche i sistemi politici e le società hanno un doppelgänger che è sempre sul punto di prendere il sopravvento. “Molte opere d’arte sui doppelgänger sono in realtà delle metafore sul fascismo. Per esempio i film dell’orrore, come quelli di Jordan Peele, in cui c’è una sorta di mondo alternativo dalle caratteristiche mostruose. Quel mondo rappresenta il contraltare di una società aperta, democratica e tollerante che all’improvviso si capovolge. A quel punto il tuo vicino, che sembrava una brava persona, ti denuncia, e il bambino innocente in fondo alla strada comincia a girare con una pistola”. È successo in passato e rischia di succedere ancora, continua Klein: “Per voi italiani fa parte della storia. E anche gli Stati Uniti hanno il loro doppio fascista, che minaccia sempre di prendere il sopravvento. Dopo la guerra civile ha preso il sopravvento nel sud del paese, dove le persone venivano linciate per strada”.
La consapevolezza di questa possibilità fa aumentare la polarizzazione politica, che secondo Klein è a sua volta una forma di sdoppiamento. “Nei miei studi sui doppelgänger ho scoperto che esiste una malattia psichiatrica chiamata ‘sindrome di Capgras’. Chi ne soffre è convinto che le persone della sua vita – coniugi, figli, amici – siano state sostituite da repliche o doppi. Ma come si chiama il disturbo per cui una società si divide tra due gruppi in guerra, tutte e due convinti che l’altro sia stata sostituito da un doppelgänger? È stata diagnosticata una sindrome per questo? Esiste una soluzione?”. La propensione all’annientamento reciproco è chiara nei rapporti tra israeliani e palestinesi, a cui Klein dedica un lungo capitolo del libro (riflette molto sul suo sdoppiamento anche a partire dal fatto che sia lei sia Wolf sono ebree).
Come uscirne migliori
Se il viaggio di Klein finisse qui, il suo sarebbe un libro su un disastro imminente. Ma come in tutte le storie di doppelgänger, anche in questo caso il confronto con il doppio comporta la possibilità di una svolta positiva. Una delle interpretazioni più interessanti dei doppelgänger è quella che li descrive come strade non percorse, possibilità non esplorate. “Sappiamo tutti che esistono più versioni della nostra vita”, dice Klein. “Da una parte ci sono io che ho fatto determinate scelte – ho frequentato quella scuola, l’ho abbandonata, mi sono sposata, ho avuto un figlio – e poi c’è un’altra versione di me che non ha fatto nessuna di quelle cose, che ha avuto una vita completamente diversa. E l’idea che ci sia un altro me in giro, un doppio, come sostiene Freud, rappresenta la consapevolezza che avremmo potuto avere un’altra vita. Credo che questo sia uno dei motivi per cui l’idea del multiverso sia così attraente”.
Le strade non prese sono quindi potenzialità che possiamo sfruttare, a patto di fare un percorso che è allo stesso tempo individuale e collettivo.
“Ripensando ai miei guai con il doppelgänger, mi rendo conto che nel complesso mi hanno aiutato a raggiungere in una certa misura la libertà dalla tirannia del mio Io”, scrive nel libro. “Quella che è cominciata come una forma di autodifesa (riaffermerò la proprietà delle mie idee, della mia identità!) è diventata pian piano una forma di autorinuncia, di distacco da sé. Mettendo in crisi il mio brand, introducendo una massiccia dose di ironia nella serietà con cui un tempo prendevo la mia immagine pubblica e mostrandomi quanto sia triste passare la vita a cercare di essere influente, l’Altra Naomi non mi ha lasciato altra scelta che distaccarmi da quella versione recitata e scissa di me stessa. Così facendo ho ritrovato una maggiore calma. E come mi ha insegnato tanto tempo fa John Berger, ‘la calma è una forma di resistenza’”.
Un passaggio fondamentale di questa ricerca è la riscoperta dell’empatia. Nel libro Klein non mostra rancore nei confronti del suo doppelgänger. È interessata invece a capire perché tante persone finiscano nel Mondo specchio. Nel caso di Wolf, un fattore scatenante è stato il bullismo di cui è stata vittima online. “Ha fatto degli errori nei suoi libri e ha detto cose ridicole per cui avrebbe dovuto essere corretta e di cui avrebbe dovuto prendersi la responsabilità. Ma non doveva subire gli attacchi di migliaia di persone su internet”. Questo sembra l’aspetto più preoccupante della cosiddetta cancel culture. “Credo che dovremmo guardarci un po’ allo specchio. Quando ci troviamo a far parte di una di queste folle di invasati online, dovremmo ricordare che se spingiamo le persone fuori da certi spazi, non scompaiono. Molte vanno da qualche altra parte, e alcune finiscono nei circoli di destra, dove fanno molti danni”.
L’empatia diventa uno strumento per ribaltare la logica perversa del doppelgänger, come fa Charlie Chaplin nel Grande dittatore, forse l’opera sui doppi più famosa della storia del cinema. Alla fine del film il barbiere ebreo perseguitato è scambiato per il dittatore e si ritrova davanti alle masse naziste, dove pronuncia uno straordinario discorso antinazista.
La ricostruzione di relazioni personali dovrebbe essere alla base di una nuova solidarietà collettiva che servirà a trasformare la società in una versione migliore di se stessa. “Non penso che tutto sia perduto”, dice Klein. “C’è sempre una possibilità. Ho fatto parte di movimenti politici abbastanza a lungo per sapere che non si sa mai quando arriva una nuova grande ondata. Quando ho scritto No logo, negli anni novanta, c’erano solo piccole sacche di resistenza contro il potere delle aziende. Ma quando il libro era in tipografia sono scoppiate le proteste a Seattle contro l’Organizzazione mondiale del commercio”.
Sulla crisi climatica, la questione che alla fine determinerà quale versione del mondo decideremo di abitare, Klein intravede dinamiche simili. “Una rivoluzione ci salverà è uscito nel 2014. All’epoca speravo in un movimento per il clima che unisse i puntini tra gli attacchi al mondo naturale e quelli ai lavoratori e ai diritti umani. E poi sono arrivati i movimenti di massa, il Green new deal e Alexandria Ocasio-Cortez. Non so cosa succederà. Quello che so”, conclude, “è che dobbiamo essere pronti per il momento successivo. Spesso i movimenti non hanno l’organizzazione e la piattaforma necessarie per portare avanti un progetto politico quando si presenta l’opportunità. E in quei casi il vuoto è riempito dalla destra”.
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