Il merito è stato della spesa senza precedenti – più di cinquemila miliardi di dollari – stanziata dal governo federale per affrontare la crisi sanitaria e risollevare il prima possibile l’economia, frutto di una serie di leggi approvate in poco più di un anno. Questi provvedimenti, spiega Desmond, avevano implicazioni che andavano molto oltre la crisi del momento: “In tempi normali gli Stati Uniti si distinguono tra le democrazie avanzate per gli alti livelli di povertà e il basso livello di copertura sociale. Poi, durante la prima fase della pandemia, per un attimo ci siamo trovati di fronte a un paese diverso, con uno stato sociale di tipo europeo (cioè grande) e livelli di povertà di tipo europeo (cioè bassi)”. In quei mesi era normale che giornalisti e commentatori si chiedessero se la pandemia avrebbe trasformato il rapporto tra gli americani e il loro governo (su Internazionale pubblicammo un articolo dell’Atlantic, nel marzo 2020). Questo anche perché i fondi erano stati stanziati con il sostegno del Partito repubblicano, storicamente contrario alla spesa pubblica.
La prima legge in risposta alla pandemia, il Coronavirus aid, relief, and economic security act (Cares), entrò in vigore il 27 marzo 2020 e stanziava 2.200 miliardi di dollari in dieci anni: 300 miliardi di pagamenti in contanti una tantum per tutti i cittadini in base al reddito (per un massimo di 1.200 dollari e 500 euro in più per ogni figli a carico), 260 miliardi di dollari per prestiti a fondo perduto alle piccole imprese (esteso poi con una legge successiva), 500 miliardi di dollari di prestiti per le aziende e 340 miliardi per aiutare i governi statali e le amministrazioni locali a far fronte alla pandemia. Scrive Desmond: “Tutti i politici, anche quelli repubblicani, avevano imparato una lezione dalla risposta insufficiente alla recessione del 2007: una crisi non va affrontata con moderazione”. Il Cares act ha tolto dalla povertà diciotto milioni di persone in un mese.
Il 21 dicembre 2020 il congresso ha approvato la seconda legge di aiuti economici, il Consolidated appropriations act. Il piano da 900 miliardi di dollari estendeva molti dei programmi avviati con il Cares act, in particolare le misure contro la disoccupazione, i sostegni alle piccole imprese, l’assistenza per gli affittuari, gli aiuti alimentari e i finanziamenti all’istruzione pubblica. L’11 marzo 2021, quando alla Casa Bianca c’era Joe Biden, è passato il terzo grande provvedimento economico, chiamato American rescue plan. Desmond lo definisce “l’intervento più importante del governo federale per gli americani a basso reddito dai tempi di Lyndon Johnson (anni sessanta). Stanziando 1.900 miliardi di dollari in aiuti, l’American rescue plan finanziava un’altra serie di assegni ai cittadini, aumentava i fondi per gli affittuari in difficoltà e potenziava i sussidi per i più poveri.
La misura più importante della legge riguardava il sostegno all’infanzia. Il child tax credit, un credito d’imposta per i figli che esisteva già dal 1997, è stato ampliato in modo da coprire tutte le famiglie ed essere erogato mensilmente invece che una volta all’anno, diventando quindi un’entrata costante per chi lo riceveva. Fino a quel momento gli Stati Uniti erano l’unica democrazia ricca a non avere un sussidio universale per le famiglie con figli. Grazie all’estensione del child tax credit finalmente ce l’avevano. Questa misura, insieme ad altre approvate in quel periodo, ha ridotto la povertà infantile del 44 per cento in sei mesi, portandola al livello più basso della storia degli Stati Uniti. A Natale del 2021, 5,5 milioni di bambini in meno vivevano in povertà rispetto al Natale precedente. “Questi numeri smentivano in maniera definitiva l’idea che il governo non possa fare niente contro la povertà”.
Queste leggi erano frutto di compromessi tra i partiti. Di conseguenza erano incomplete o contenevano elementi sbagliati, e in molti casi non erano pensate per aiutare le persone più vulnerabili. Non sono stati aiutati gli immigrati senza documenti, circa dieci milioni di persone, che nella prima fase della pandemia avevano contribuito a tenere in piedi molti settori produttivi. Il credito d’imposta ampliato per l’infanzia non ha raggiunto molte delle famiglie più povere, “quelle che vivono scollegate dalle istituzioni tradizionali – banche, agenzie governative, datori di lavoro con buste paga formali – e quindi non sono a conoscenza degli aiuti elargiti da quelle istituzioni”. Gli aiuti alle aziende sono stati concessi in alcuni casi in modo frettoloso, col risultato che molti soldi sono andati alle imprese che ne avevano meno bisogno. In generale non si deve dimenticare che la pandemia ha colpito soprattutto persone già in difficoltà e ha creato nuove discriminazioni – nell’accesso alle cure, nell’istruzione, nel mondo del lavoro – che hanno fatto crescere ulteriormente le disuguaglianze.
È indubbio comunque che dopo l’inizio della pandemia gli Stati Uniti sono andati più vicini che mai ad affrontare molti dei loro problemi più grandi, questioni di cui si discute da decenni. Ma la trasformazione politica e culturale che alcuni avevano previsto non c’è stata. Molti dei programmi avviati con quelle leggi sono scaduti e non sono stati rinnovati. “Con la fine dell’emergenza sanitaria il paese è tornato alla normalità. Normalità in America significa povertà infantile diffusa e insicurezza abitativa. A settembre del 2023 il Census bureau ha pubblicato i nuovi dati sulla povertà, da cui emerge che la povertà infantile è più che raddoppiata tra il 2021 e il 2022, passando dal 5,2 per cento al 12,4 per cento. Anche gli sfratti sono tornati a crescere in modo significativo, superando i livelli di prima della pandemia in molti stati. I senzatetto sono aumentati del 12 per cento rispetto al 2022. Senza gli aiuti stanziati per la pandemia, molte famiglie si trovano in una situazione nettamente peggiore di quella in cui si trovavano all’inizio dell’emergenza”.
Perché è successo? Le cose potevano andare diversamente? Di sicuro il clima politico non ha aiutato. Finita l’emergenza, i repubblicani si sono spostati su posizioni particolarmente rigide in materia di spesa pubblica. Di recente hanno respinto ogni tentativo dei democratici di reintrodurre i sostegni per l’infanzia e anzi chiedono grandi tagli al bilancio del governo. L’impennata dell’inflazione, causato soprattutto dai blocchi nella catena di approvvigionamento globale e dalla guerra in Ucraina, ha accresciuto i timori che l’aumento della spesa pubblica potesse surriscaldare ulteriormente l’economia.
Ma la colpa principale, secondo Desmond, è stata degli elettori: “La cruda verità è che i programmi contro la povertà sono scomparsi perché non abbiamo lottato per mantenerli. Non ci siamo preoccupati abbastanza. Milioni di bambini sono stati sottratti alla povertà. Milioni di famiglie in affitto sono state risparmiate dal dolore e dall’umiliazione dello sfratto. Milioni di lavoratori della gig economy sono stati finalmente protetti dalla crudeltà del mercato. E noi sembravamo non accorgercene. Non abbiamo manifestato. Non abbiamo telefonato al deputato del nostro collegio. Non abbiamo scritto lettere ai giornali. Abbiamo smesso di parlarne”.
Matthew Desmond ha scritto articoli e libri importanti per capire la povertà negli Stati Uniti. In Italia è uscito Sfrattati. Miseria e profitti nelle città americane (La nave di Teseo 2018). Lo scorso anno ha pubblicato sul New York Times un articolo che sfata alcuni luoghi comuni sulle cause della povertà negli Stati Uniti.
Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.
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