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Ultime chiamate alle urne per le elezioni americane

Madison, Wisconsin, 23 ottobre 2024. I (Steve Apps, Ap/Lapresse)

Negli Stati Uniti l’affluenza alle urne non è mai stata particolarmente alta, nemmeno per le elezioni più importanti, quelle presidenziali. Dal 2008 è in crescita e nel 2020 si è registrato il dato più alto della storia recente (66 per cento degli aventi diritto), ma resta comunque più bassa rispetto alle elezioni degli altri paesi occidentali. Negli anni sono state date varie spiegazioni, tra cui:

Bassi tassi di registrazione alle liste elettorali. A differenza della maggior parte degli altri paesi, negli Stati Uniti la registrazione non è automatica e spetta ai singoli elettori. Alcuni esperti pensano che questa regola costituisca di fatto una barriera all’esercizio del diritto di voto, e ostacoli soprattutto chi ha pochi mezzi, in particolare gli elettori delle minoranze e quelli che hanno ottenuto da poco la cittadinanza. Altri esperti fanno notare che negli anni sono state semplificate le regole per la registrazione, eppure l’affluenza non è cresciuta più di tanto.

I requisiti per l’identificazione degli elettori. In molti stati sono in vigore norme sul riconoscimento dell’identità dei votanti, che richiedono agli elettori di fornire moduli specifici ai seggi prima del voto. Spesso gli elettori devono richiedere questi documenti in uffici delle agenzie statali in orari lavorativi, e devono pagare per averli. C’è chi dice che questi requisiti servono a contrastare i brogli elettorali, ma gli esperti fanno notare che storicamente i casi di irregolarità per motivi di identificazione sono pochissimi, e che quelle regole servono in realtà a limitare il diritto di voto delle minoranze.

L’accesso ai seggi. Negli anni molti seggi sono stati chiusi e accorpati in strutture più grandi. Secondo chi difende il diritto di voto, questo cambiamento ha costretto molte persone a fare viaggi e attese più lunghe per poter votare, anche in questo caso colpendo soprattutto le comunità con meno possibilità economiche e le minoranze.

Poi bisogna considerare che molti stati negano il diritto di voto ai detenuti e in alcuni casi anche a chi ha già scontato la pena, o rendono difficile per queste persone tornare a votare. E anche che negli Stati Uniti non si vota in un giorno festivo, come succede nella maggior parte degli altri paesi, ma durante un giorno feriale, il martedì. Questo elemento può scoraggiare tanti elettori, ma è almeno in parte bilanciato da un altro che distingue gli Stati Uniti da altri paesi: la possibilità di votare in anticipo, in presenza o per corrispondenza.

Dal 2000 è aumentato il numero di stati che lo consentono, e a ogni elezione cresce la quota di persone che ne approfitta: 14 per cento nel 2000, 21 per cento nel 2004, 31 per cento nel 2008, 33 per cento nel 2012 e 40 per cento nel 2016. Il dato del 2020 (66 per cento) è stato alterato dal fatto che si votò in piena pandemia, ma le elezioni di metà mandato hanno confermato la tendenza storica (50 per cento).

La storia del voto anticipato è interessante perché riflette molte peculiarità della cultura e della politica statunitensi.

In un paese con una geografia vasta e per certi versi ostile, l’idea di votare tutti nello stesso giorno non è mai stata veramente attuabile. Fin dalla fondazione degli Stati Uniti, alla fine del settecento, le elezioni si svolgevano nell’arco di più giorni o settimane, in modo che le persone che vivevano nelle campagne avessero tutto il tempo per andare a votare nei tribunali delle città e delle contee. Un periodo di voto prolungato permetteva di aggirare eventi meteorologici imprevisti, che rendevano impraticabili gli attraversamenti dei fiumi nelle zone rurali. Le prime elezioni presidenziali cominciarono il 15 dicembre del 1788 e finirono quasi un mese dopo, il 10 gennaio del 1789. Nel 1792 il congresso approvò una legge che consentiva a ogni stato di stabilire il giorno in cui tenere le elezioni presidenziali in un periodo di circa un mese tra novembre e inizio dicembre, complicando il calendario elettorale: la maggior parte degli stati teneva le elezioni in un solo giorno, ma alcuni le organizzavano nell’arco di due giorni.

Nel 1845 il congresso stabilì formalmente una giornata elettorale nazionale: il martedì successivo al primo lunedì di novembre. I legislatori scelsero il martedì perché la maggior parte degli stati teneva già le elezioni il lunedì o il martedì a novembre; e pensavano che fosse generalmente una buona idea avere un giorno tra la domenica e il giorno delle elezioni, quindi si preferì il martedì al lunedì. Dietro il provvedimento c’era l’idea che, limitando il voto a un solo giorno, si potessero scoraggiare le frodi elettorali, per esempio impedendo alle persone di attraversare i confini degli stati per votare più di una volta. Questo modo di ragionare ha resistito nel tempo, visto che ancora oggi ci sono politici secondo cui il voto anticipato permette di “truccare” le elezioni (ci arriviamo tra un po’).

In ogni caso le ragioni per facilitare il voto in anticipo erano maggiori di quelle di chi si opponeva. La prima ragione era la guerra. Durante la guerra civile (1861-1865) gli Stati Uniti sperimentarono per la prima volta il voto per corrispondenza su larga scala, visto che molti degli uomini con diritto di voto erano impegnati nei combattimenti lontano da casa. Durante le elezioni presidenziali del 1864 – vinte dal presidente repubblicano in carica Abraham Lincoln contro il candidato democratico George McClellan – i soldati dell’unione votarono negli accampamenti e negli ospedali da campo, sotto la supervisione di impiegati o funzionari statali.

Poi gli Stati Uniti combatterono altre guerre in cui i soldati erano ancora più lontani da casa, a cominciare dalla prima guerra mondiale, e nella prima metà del novecento l’industrializzazione e lo sviluppo dei mezzi di trasporto portarono altri argomenti a favore del voto per corrispondenza, che permetteva di esprimersi anche a chi per motivi di lavoro era distante.

Nel frattempo il corpo elettorale si allargava. Nel 1828 il diritto di voto, fino a quel momento concesso solo agli uomini che avevano delle proprietà, fu esteso a tutti gli uomini sopra i 21 anni. Il 15° emendamento alla costituzione, introdotto nel 1870, permise di votare agli uomini afroamericani (anche se per decenni, nel periodo della segregazione razziale, i governi statali escogitarono vari modi per ostacolare o rendere meno rilevante il voto dei neri). Nel 1920 fu ratificato il 19° emendamento, che concedeva il diritto di voto alle donne.

Il timore di frodi elettorali però non era scomparso, tanto che per buona parte del novecento chi voleva votare prima del giorno delle elezioni doveva dimostrare di avere una ragione valida. Le cose cominciarono a cambiare nel 1978, quando la California diventò il primo stato a consentire agli elettori di votare per corrispondenza senza dover dare una spiegazione, sdoganando definitivamente il voto anticipato negli stati occidentali del paese. Tra questi c’è l’Oregon, che già dai primi anni duemila tiene tutte le sue elezioni esclusivamente per posta.

In linea generale le persone che scelgono di votare in anticipo sono quelle che tendono a essere molto informate sulla politica, hanno un’idea precisa su chi votare già mesi prima delle elezioni e non si lasciano influenzare da nuove notizie e informazioni sui candidati. Se si considera che in molti stati si può dichiarare la propria affiliazione politica nel momento in cui ci si registra alle liste elettorali, si capisce perché i giornali prestano molta attenzione ai dati sul voto anticipato che vengono pubblicati nelle settimane prima delle elezioni.

Sta succedendo proprio in questi giorni. Più di trenta milioni di americani hanno già votato e i commentatori hanno notato che tra le persone che stanno votando in anticipo, anche in stati che potrebbero essere decisivi come Arizona, North Carolina e Nevada, sono più del solito quelle registrate come repubblicane (storicamente la possibilità di votare in quel modo è stata sfruttata soprattutto dai democratici). Questi dati, che stanno creando una certa ansia nel Partito democratico, si spiegano anche con il fatto che Donald Trump sembra aver cambiato idea sul voto anticipato. Quattro anni fa lo sconsigliava sostenendo che potesse incentivare i brogli, una posizione che secondo alcuni analisti potrebbe aver contribuito alla sua sconfitta. Oggi invece cerca di convincere i sostenitori a votare prima del 5 novembre. Non con molta convinzione, per la verità.

Durante un comizio in Pennsylvania ha incoraggiato i presenti a votare in anticipo, per poi definire stupida quella possibilità. In altre occasioni ha ripetuto affermazioni false sui brogli e frodi elettorali. È una questione su cui varie organizzazioni indipendenti si sono espresse in modo definitivo già da tempo. Secondo i ricercatori del Massachusetts institute of technology, che hanno analizzato i dati dell’Election fraud database della Heritage Foundation, solo lo 0,00006 per cento dei 250 milioni di voti inviati per posta dal 2000 erano illegali.

I dati che girano in questi giorni sui voti anticipati sono comunque da prendere con le pinze per una serie di ragioni, a cominciare dal fatto che gli elettori registrati come repubblicani possono poi decidere di votare per i democratici, e viceversa. Ci si aspetta comunque un’affluenza abbastanza alta, almeno per gli standard delle elezioni statunitensi, e sarebbe un’ulteriore dimostrazione della capacità di Trump di polarizzare e di mobilitare l’elettorato, sia quello conservatore sia, per reazione, quello progressista. Nel 2020, l’elezione con la più alta affluenza della storia recente statunitense, Joe Biden prese 81 milioni di voti, oltre 12 milioni in più rispetto a Barack Obama nel 2008; Trump raccolse 74 milioni di voti, che sarebbero bastati ampiamente per vincere in tutte le presidenziali precedenti.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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