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Una Casa Bianca piena di contraddizioni

Donald Trump a Salem, in Virginia, 2 novembre 2024. (Chip Somodevilla, Getty Images)

La settimana scorsa si parlava di quanto siano paranoici Trump e le persone che gli ruotano intorno, al punto da convincersi che i problemi della sua prima amministrazione fossero dovuti a un complotto dello “stato profondo”. In realtà i fallimenti del primo mandato di Trump erano la conseguenza diretta e inevitabile del suo modo di fare politica e di gestire il potere. Il trumpismo ha dei princìpi fondamentali (fedeltà al leader, nazionalismo e spirito illiberale), ma non ha una visione politica coerente.

Si può pensare a Trump come a una scatola vuota che altre persone – i finanziatori, gli elettori, i leader di partito, i “mercati”, gli studiosi – riempiono di volta in volta con le loro idee e con i loro progetti. In campagna elettorale Trump (come altri leader populisti di destra) può dire tutto e il contrario di tutto senza pagare dazio, anzi viene premiato per questo: perché fa sembrare il suo movimento accogliente e aperto a idee diverse in un momento in cui il Partito democratico diventa invece più rigido e ideologico; perché l’ostilità contro la sinistra fa da collante tra persone e gruppi che avrebbero interessi distanti o perfino opposti; e anche perché chi ha abbastanza risorse per spostare gli equilibri di un’elezione (Elon Musk, per esempio) punta su di lui per poi cercare di imporre i propri interessi e la propria visione del mondo.

Ma la scatola vuota diventa un problema quando c’è da gestire il potere e i ruoli di governo vengono assegnati in base al grado di lealtà verso il presidente più che seguendo una linea politica: i disaccordi e i conflitti tra correnti che spingono in direzioni opposte sono inevitabili, e possono creare le condizioni per il caos politico. Vedremo quante delle nomine fatte da Trump in questi giorni resisteranno fino a gennaio e quante passeranno il vaglio del senato, ma a prescindere dai nomi possiamo già immaginare che la prossima amministrazione sarà segnata da contraddizioni simili a quelle che fecero deragliare la prima.

Su Vox, Zack Beauchamp ha spiegato che il problema è alla radice, nel senso che alla Casa Bianca ci saranno persone che hanno idee molto diverse tra loro su cosa sia il trumpismo e su chi e cosa debba rappresentare. “Una fazione, guidata da Musk e da altri grandi imprenditori, lo vede come una celebrazione della grandezza individuale e del capitalismo senza freni. La seconda fazione, che comprende i nazionalisti economici e persone bizzarre come Robert F. Kennedy Jr., pensa che Trump abbia avuto il mandato per cercare di trasformare la società americana, anche attaccando le pratiche delle grandi aziende che non si adattano alla loro visione nazionalista”.

Ne derivano idee molto diverse su come tradurre gli slogan di campagna elettorale in proposte e provvedimenti politici. In politica interna la prima fazione, che oltre a Musk comprende anche l’imprenditore Vivek Ramaswamy e le élite economiche tradizionali del Partito repubblicano, vede l’attacco allo “stato profondo” soprattutto come una guerra alla burocrazia governativa che ostacola il progresso, l’innovazione e lo spirito imprenditoriale. L’obiettivo di queste persone è diffondere quel tipo di spirito libertario in tutto il paese e nel frattempo far avanzare determinati interessi commerciali. Questa fazione spingerà per nuovi e pesanti tagli fiscali, da finanziare probabilmente smantellando parte del governo federale e tagliando i programmi di assistenza sociale.

Dall’altra parte ci sono persone come Stephen Miller, vice capo dello staff e consigliere per la sicurezza interna, che non sono per niente sostenitrici del libero mercato, sono favorevoli a pesanti dazi commerciali (che colpirebbero anche gli affari di Musk con la Cina) e all’espulsione di massa degli immigrati irregolari, due misure che avrebbero un pessimo impatto sull’economia. Poi c’è la linea del vicepresidente J.D. Vance, che mira a ricostruire l’America secondo i dettami del conservatorismo cristiano, anche limitando il potere delle grandi imprese quando minacciano l’integrità della società americana. O quella di chi pensa che il governo non debba essere smantellato ma semplicemente orientato verso altre priorità.

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In politica estera ci saranno contraddizioni e contrasti simili. Persone come il segretario di stato Marco Rubio e il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz pensano che gli Stati Uniti debbano fare il possibile per restare saldamente in cima alla gerarchia del potere globale, e questo implica affrontare in modo aggressivo chi sfida l’ordine esistente a guida americana, come la Russia e soprattutto la Cina, e mettere in riga, se necessario con la forza, le dittature ostili come l’Iran. Bisogna poi riaffermare il dominio sul continente americano, sostenendo una politica molto più aggressiva nei confronti delle dittature di sinistra come Venezuela e Cuba.

L’altra fazione, di cui fanno parte Pete Hegseth, nominato da Trump segretario alla difesa, e Tulsi Gabbard, scelta come direttrice dell’intelligence nazionale, è sulle posizioni più nazionaliste, il cosiddetto America First. “Pur credendo nella forza militare degli Stati Uniti, non sono così preoccupati di proteggere aggressivamente l’ordine geopolitico esistente. Se la Russia vuole impadronirsi di una parte dell’Ucraina, non è una vera preoccupazione americana. Gli Stati Uniti dovrebbero invece preoccuparsi di uccidere i loro nemici, di far avanzare i loro interessi limitati e proteggere i loro confini, anche lanciando una guerra in Messico per combattere i cartelli della droga e i trafficanti di esseri umani”.

In questi giorni i collaboratori di Trump che parlano con i giornali stanno insistendo molto sul fatto che la prossima amministrazione sarà più efficiente della prima, grazie a un processo decisionale strutturato e a una maggiore disciplina a tutti i livelli della Casa Bianca. Ma è veramente possibile dare una disciplina a un presidente, e a un movimento, che prospera nel caos e, appunto, nelle contraddizioni?

A proposito di organizzazione e disciplina: quello che stiamo vedendo negli ultimi giorni fa pensare che il secondo Trump possa somigliare molto al primo. Nella scelta dei ministri e dei direttori delle agenzie governative Trump sta ignorando quelle regole pensate per garantire un passaggio sicuro e trasparente di poteri da un presidente all’altro. Un primo problema riguarda i controlli sulle persone interessate a entrare nell’amministrazione. Di solito i presidenti eletti, prima di annunciare le nomine, chiedono all’Fbi, la polizia federale, di indagare per capire se ci sono eventuali conflitti d’interessi, precedenti penali o elementi che possano mettere a rischio la sicurezza nazionale.

Trump ha completamente saltato quel passaggio, e forse i problemi con le nomine dipendono anche da questo. Il 21 novembre Matt Gaetz, che era stato scelto come ministro della giustizia, si è fatto da parte. La sua candidatura era già traballante per via dei dubbi di tanti colleghi repubblicani, che lo considerano estremista e pericoloso, ed è diventata insostenibile quando si è cominciato a parlare con insistenza di un rapporto sulle accuse di tratta di persone minorenni a scopo sessuale. Al suo posto Trump ha nominato Pam Bondi, ex procuratrice generale della Florida, che è stata anche avvocata del presidente nel suo primo processo d’impeachment.

Un altro problema che potrebbe contribuire a creare confusione alla Casa Bianca è che la squadra di Trump non sta collaborando con la General services administration (Gsa), l’agenzia federale che si occupa della transizione da un’amministrazione all’altra. Per questo motivo i collaboratori del presidente eletto non hanno l’autorizzazione a consultare documenti riservati e materiale che riguarda questioni militari, un problema che potrebbe rendere più lento e macchinoso l’insediamento della nuova amministrazione. C’è anche un problema di sicurezza: nelle telefonate con i capi di stato stranieri, Trump ha tagliato fuori il dipartimento di stato, quindi lavora con telefoni e computer privati, non sicuri.

Ancora sulle nomine. Trump ha scelto Linda McMahon per guidare il dipartimento dell’Istruzione. McMahon, 76 anni, è tra i principali finanziatori del presidente e nella sua prima amministrazione ha gestito l’agenzia governativa che si occupa delle piccole imprese. È conosciuta soprattutto per aver fondato insieme al marito la World wrestling entertainment (Wwe), la principale organizzazione di wrestling professionistico degli Stati Uniti. In campagna elettorale Trump ha detto più volte di voler eliminare il dipartimento dell’istruzione.

Il cardiochirurgo Mehmet Oz, è stato scelto invece come direttore dei Centers for medicare and medicaid services, un’agenzia che amministra alcuni dei programmi sanitari più importanti degli Stati Uniti. Nel suo programma televisivo Oz ha spesso dispensato consigli medici discutibili e durante la pandemia ha sostenuto che l’idrossiclorochina potesse prevenire il coronavirus. Per il dipartimento dell’energia Trump ha scelto Chris Wright, imprenditore del settore petrolifero e negazionista climatico. Come segretario al tesoro (cioè ministro dell’economia) ha nominato Scott Bessent, gestore di un hedge fund, favorevole ai tagli allo stato sociale, alla deregolamentazione economica e ai dazi sulle merci importate.

Intanto anche la nomina di Pete Hegseth a segretario della difesa sembra in bilico, dopo che un rapporto della polizia ha rivelato nuovi dettagli su una presunta violenza sessuale nei confronti di una donna, risalente al 2017. Qui tutte le nomine di Trump.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana.

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