Per chi si chiede come mai tanti statunitensi il 5 novembre sembrano aver votato contro i valori della democrazia liberale, Bálint Magyar ha una considerazione utile: “La democrazia liberale offre dei vincoli morali senza la soluzione dei problemi”, cioè tante regole e poco cambiamento, mentre “il populismo offre una soluzione ai problemi ma senza vincoli morali”. A Magyar, ricercatore ungherese esperto di autoritarismo, non interessa definire Trump un fascista. Il fascino del presidente eletto, sostiene, è l’espressione di qualcosa di più primordiale: “Trump ti promette che non dovrai pensare agli altri”.
In tutto il mondo i populisti autoritari hanno sfruttato il potere di questa promessa per trasformare i loro paesi in strumenti della loro volontà personale. Vladimir Putin e Viktor Orbán hanno promesso la restaurazione di un passato semplice, in cui gli uomini erano uomini e stavano al comando. Hanno permesso di stravolgere la convivenza civile e di seminare l’odio tra i gruppi sociali. Magyar lo definisce un “egoismo collettivo senza vincoli morali”.
Probabilmente il nuovo presidente statunitense comincerà sbarazzandosi di esperti e altri dipendenti della pubblica amministrazione che considera superflui
Il primo mandato di Trump aveva seguito sotto alcuni aspetti le orme dell’operato iniziale di Putin e Orbán. Osservare le loro traiettorie attraverso la lente delle teorie di Magyar ci offre un’indicazione chiara e agghiacciante di quale direzione potrebbe prendere il secondo mandato di Trump.
Nell’inverno del 2021, quando mi era diventato chiaro che Trump si sarebbe ricandidato, ho chiamato Magyar, che ha studiato a fondo l’autoritarismo di Orbán. Come Trump, Orbán era stato rimosso dal suo incarico nel 2002 con un voto che i suoi sostenitori avevano definito fraudolento, per poi tornare al potere otto anni più tardi. Nel frattempo aveva consolidato l’immagine di sé e del suo partito come unici rappresentanti del popolo ungherese. Quando è stato rieletto ha intrapreso quella che Magyar definisce una “svolta autoritaria”, cambiando leggi e prassi in modo da non poter essere rimosso di nuovo. A questo ha contribuito il fatto di avere un’ampia maggioranza in parlamento.
In modo simile, Trump ha passato quattro anni ad attaccare l’amministrazione di Biden e il voto che l’aveva portato alla Casa Bianca, denunciando brogli e ponendosi come unica voce del popolo. Anche lui è tornato con una tripletta di poteri: la presidenza ed entrambe le camere del congresso. Anche lui potrebbe in breve tempo rimodellare a sua immagine il sistema di governo statunitense.
Trump e i suoi sostenitori hanno dimostrato una forte ostilità verso le istituzioni civili – la magistratura, i mezzi d’informazione, le università, molte organizzazioni non profit, alcuni gruppi religiosi – che tendono a far rispettare i nostri obblighi reciproci. Leader autoritari come Orbán e Putin rivendicano per sé il diritto esclusivo di definire questi obblighi. Se in qualche modo possiamo usare come indicatori questi due leader e il primo mandato di Trump, probabilmente il nuovo presidente comincerà sbarazzandosi di esperti e altri dipendenti della pubblica amministrazione che considera superflui. Aspettiamoci di trovare i funzionari addetti a gestire le domande di asilo in cima a questa lista.
Uno dei principali bersagli al di fuori delle istituzioni di governo saranno le università. In Ungheria la Central european university, un’accademia d’avanguardia per la ricerca e l’istruzione, è stata costretta all’esilio. Per capire cosa può succedere alle università pubbliche negli Stati Uniti basta guardare la Florida, dove il governatore Ron DeSantis ha di fatto trasformato il sistema universitario in un braccio del suo governo. L’assalto del movimento trumpiano Maga (Make America great again) alle università private è in atto da tempo; questo ha portato in tempi recenti alle audizioni del congresso sull’antisemitismo, e alle dimissioni di alcune rettrici. Prepariamoci a delle iniziative che toglieranno alle università private i finanziamenti federali. Questo genere di pressioni costringerà anche le università più grandi a tagliare posti di lavoro: i college umanistici dovranno chiudere.
Se Trump fosse stato rieletto nel 2020, forse avrebbe cercato di abrogare l’emendamento che stabilisce il limite di due mandati per i presidenti. Credo che possa ancora provarci
Le organizzazioni della società civile – soprattutto quelle che assistono migranti, ex detenuti, persone lgbt, donne e gruppi vulnerabili – saranno prese di mira. Poi potrebbe essere il turno dei sindacati.
Come Orbán, inoltre, Trump ricompenserà i mezzi d’informazione a lui fedeli e attaccherà quelli che lo criticano colpendo le altre aziende dei loro proprietari. È una tattica efficace, che forse abbiamo già visto all’opera ancor prima della sua rielezione, quando i miliardari proprietari del Los Angeles Times e del Washington Post hanno deciso di bloccare la pubblicazione sulle loro testate di articoli che esprimevano sostegno ai candidati presidenziali.
La campagna elettorale di Kamala Harris, naturalmente, ha cercato di mettere in guardia su questo e altro, definendo Trump un fascista. Ma Magyar descrive i movimenti fascisti come “guidati dall’ideologia”, cosa che non vale per Trump. Prendiamo Jarosław Kaczyński, l’ex primo ministro polacco, che ha limitato il diritto all’aborto anche se i sondaggi indicavano che poteva costargli caro. Trump, invece, ha fatto campagna contro il diritto all’aborto quando gli conveniva, e poi si è posto come paladino dei diritti riproduttivi quando il contesto è cambiato.
Questa distinzione non mi convince. Per usare l’espressione di George Orwell, il volto di un politico si modifica per adattarsi alla sua maschera ideologica. Forse l’esempio migliore è Vladimir Putin, un tempo un cinico senza convinzioni politiche, che oggi sta conducendo una guerra costosa e disastrosa nel nome di un’ideologia (per quanto incoerente) di sua invenzione. E solo con il senno di poi i fascisti del novecento appaiono guidati da un’ideologia coerente: i contemporanei descrivevano le loro visioni come un guazzabuglio d’idee. Jason Stanley, filosofo di Yale e autore del libro Noi contro loro. Come funziona il fascismo (Solferino 2019) ha affermato che i fascisti non sono definiti tanto dalle loro convinzioni quanto dal loro agire politico: manipolano la paura e l’odio contro l’altro, affermano la propria supremazia sull’altro. Tutte cose che descrivono Trump, non è vero?
Ho presentato questa tesi a Magyar, ma senza successo. Lui mi ha detto: guarda la propensione della famiglia Trump a trarre profitti dal suo incarico politico. Questa non è una cosa tipica dei fascisti. I nazisti “quando espropriavano gli ebrei dei loro averi, non se li intascavano. Li mettevano nel bilancio dello stato”, mi ha detto. Molti nazisti trassero vantaggio dal saccheggio, ma l’arricchimento personale non era lo scopo principale del movimento. Per diventare il più ricco d’America Trump dovrebbe accumulare un capitale maggiore di quello di Elon Musk, cosa che appare impossibile. Putin ha risolto il problema, ricattando gli alleati e derubando gli avversari.
Orbán ha usato la paura e l’odio verso i migranti per dichiarare uno stato d’emergenza quando nel 2015 i rifugiati dal Medio Oriente hanno cominciato ad arrivare in Europa. Poi ha usato la pandemia e la guerra in Ucraina come pretesti per adottare poteri speciali. Allo stesso modo, Trump nel suo primo mandato ha dichiarato un’emergenza nazionale legata all’arrivo dei richiedenti asilo alla frontiera meridionale. Il presidente Biden l’ha revocata nel 2021. Ma gli Stati Uniti si trovano in uno stato di emergenza permanente dal 14 settembre 2001, quando George W. Bush la dichiarò in risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001. Tutti i presidenti successivi, compresi Barack Obama e Joe Biden, l’hanno rinnovata.
I poteri speciali hanno dato a Orbán un controllo più ampio sulle forze armate, compresa l’opzione di mobilitare l’esercito per questioni interne al paese. Negli Stati Uniti il presidente, in alcune circostanze, ha già questo potere. Ma uno stato d’emergenza offre altri poteri straordinari. Compresa la possibilità di reindirizzare i fondi federali, come ha fatto Trump per finanziare la costruzione del muro al confine. E l’arsenale dei poteri arriva a limitare le comunicazioni elettroniche ed esercitare pressioni sulle aziende private. Orbán ha usato norme simili per controllare le aziende private. In Ungheria Orbán è lo stato.
Magyar descrive la svolta autoritaria come una transizione dallo stato di diritto alla legge del governo. Nel 2000 lo slogan di Putin nella campagna per le presidenziali era “Dittatura della legge”. Putin ha cominciato a governare per decreti, come fa Orbán oggi e come Trump ha fatto nel suo primo mandato e come ha detto che intende fare nel secondo.
Leggendo l’opera di Magyar su quel periodo, mi ha colpito lo stato d’animo suscitato dalle azioni di Orbán. Durante il primo mandato di Trump era diffusa la sensazione che stesse succedendo tutto nello stesso momento, che fosse impossibile concentrarsi su eventuali minacce gravi o distinguerle da ciò che invece era irrilevante, ammesso che una tale distinzione esista. Non si tratta solo di quello che fanno i leader autoritari, ma di come lo fanno: far passare leggi (o firmare ordini esecutivi) velocemente, senza alcuna discussione, a volte di notte, sempre continuando a delegittimare qualsiasi opposizione.
Per quanto riguarda i dettagli, sappiamo meno di quello che pensiamo. Secondo Magyar se Trump fosse stato eletto per un secondo mandato nel 2020 avrebbe cercato di abrogare il ventiduesimo emendamento della costituzione, quello che stabilisce il limite di due mandati per i presidenti. Credo che possa ancora provarci, aprendo la strada a una sua futura ricandidatura all’età di 82 anni.
Il Project 2025 è stato descritto come una sorta di piano legislativo per la seconda presidenza Trump. Lo storico Rick Perlstein in una serie di articoli sulla rivista The American Prospect dice che se ne è parlato in modo fuorviante. Il Project 2025 è un documento ampio e complesso, pieno di raccomandazioni contraddittorie all’apparenza suggerite da persone con idee e obiettivi differenti. In linea con la teoria di Magyar sui governi autoritari, rappresenta non tanto un documento ideologico quanto uno specchio del clan che dà forza a Trump, e che da lui è rafforzato. Non è un programma coerente di riforma legislative, ma è pur sempre un programma: un piano per travolgere il sistema di governo com’è oggi, un piano di distruzione. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1590 di Internazionale, a pagina 45. Compra questo numero | Abbonati